Educare. Dal latino “ex+ducere”, condurre fuori. In sostanza, educare significa condurre fuori, guidare il vero io di una persona alla realizzazione di sé.
Evadere. Dal latino “ex+vadere”, andare fuori. In sostanza, evadere significa uscire, andarsene, liberarsi di ciò che ti tiene chiuso dentro.
È un’idea che mi fa sorridere quella di unire questi due concetti pensando al carcere. Educare a evadere, però, è l’unica soluzione che vedo a tanti problemi.
Nei corridoi del carcere di San Vittore ho visto diverse facce, per quel poco che ho visto. Tante tristi, arrabbiate e strafottenti; alcune inquietanti; poche con il sorriso. Queste ultime le ho viste durante gli incontri con il gruppo de La Chiamata. Non so cosa abbia portato questi ragazzi in carcere e non so se lo voglio sapere, perché sento che potrei cambiare lo sguardo con cui li guardo. So solo, che se vengono tutti i giovedì mattina hanno qualcosa che li spinge, qualcosa che li fa stare meglio di come stanno quando non sono con noi. Lo dico non per superbia, ma perché quando arrivano hanno sempre il muso, gli occhi incazzati e tutto sommato poca voglia di sentire me, o altri, fare queste riflessioni filosofiche sulla galera. Però, alla fine di tre ore di sproloqui, questi sorridono. Sorridono tra di loro e sorridono a noi. Sorridono persino al magistrato che fa parte del gruppo. E se ci fosse una guardia, sorriderebbero anche a lei, sicuro.
Io non so cosa gli facciamo di bello, perché io spesso torno a casa incupito e con un sacco di pensieri ingombranti. Ma magari il senso del Reparto La Chiamata è proprio questo: creare relazioni. E come in tutte le relazioni favorire lo scambio di sé stessi. Io do a te, tu dai a me. Quello che hai, quello che sei.
Il detenuto mi dà un po’ di fatica, io gli do un po’ di normalità. Lui mi dà il suo senso di colpa, io gli do il mio senso di inadeguatezza nel non sapere come aiutarlo. E così andiamo avanti, tutti e due cercando di costruire un mondo, fuori e dentro dalla galera, migliore e che valga la pena di essere vissuto.
Costruiamo insieme una relazione che ci educa, che ci conduce fuori da noi stessi, per diventare altro, per diventare meglio. Per evadere, finalmente, dalle nostre gabbie personali e diventare persone libere.
Si, liberi. Noi e loro. Perché per quanto noi siamo fuori, siamo spesso in gabbia, presi come siamo dalla routine perdiamo il contatto con il reale e ci inscatoliamo dentro una così detta “vita normale”. E quando entriamo in carcere, parlo per me almeno, mi rendo conto di cosa voglio che nella mia vita sia diverso, che cosa mi renderebbe felice. Che cosa mi farebbe evadere dalla prigione in cui mi trovo io.
La galera, il Reparto La Chiamata e il gruppo mi stanno educando a evadere. Vorrei che questo diventasse un modus operandi non solo mio, non solo nostro, ma di tutta la società.
Evadere dalle galere deve essere il nostro obiettivo. Sicuramente è il mio.
Ciao Ragazzi. Ciao Prof. Concordo e condivido la riflessione. Tutti sono chiamati per modificare l’attuale modo di vivere in uno migliore. Il segreto è di non essere da soli. Unire gli intenti aiutandosi a vicenda per raggiungere lo scopo che non è quello di avere, di possedere. Ma quello di condividere. Condividere le fatiche, ognuno per le proprie capacità e forze, condividere i giorni di svago e di felicità divertendosi nel verificare le proprie caratteristiche, che non sono difetti ma segni univoci di distinzione e che servono come il sale per insaporire il minestrone. Grazie ragazzi. Sforzatevi nel non essere egoisti anche se a volte per questo si rischia la galera o si pensa di risultare stupidi e ingenui. La Galera, oggi ancora condotta con azioni egoistiche e limitative anche in quei posti dove viene dichiarato il contrario. Un abbraccio. Con il cuore in mano nel donarlo a chi ne vuole un pezzetto. Giorgio
Caro Giorgio, concordo con la tua riflessione, che non parte solo da una riflessione intellettiva, ma ancor di più da una condivisione “amorosa”. Lina