Il mio mito

Caro Dott. Aparo,
mercoledì mi ha chiesto di produrre uno scritto sulla mia vita “vissuta”.

Non sono tanto bravo con carta e penna, ma gli incontri con il gruppo mi stimolino tanto e trovo giusto almeno provarci, non solo per produrre uno scritto, ma più che altro per imparare che ogni limite affrontato può essere anche superato.

Vengo dalla Sicilia, più precisamente da Catania, terra che lei conosce abbastanza bene (abbastanza perché lei rappresenta la parte per bene, io quella fatta di male: una moneta che mostra le due facce).

Quando avevo quattro anni mamma e papà hanno divorziato, e si sa che queste decisioni, quando vengono prese non civilmente, finiscono per ripercuotersi sui figli. Io e mia sorella siamo cresciuti con mia mamma, donna che ha sempre lavorato per provvedere ai nostri bisogni; quindi, per motivi nobili diventava assente nella nostra vita quotidiana, diversamente da mio padre che era assente semplicemente per una sua scelta.

Frequentavamo la scuola delle suore proprio per le necessità lavorative di mia mamma, la scuola delle suore infatti ci teneva impegnati per tutto il giorno, dalle 8.30 alle 18.30 e sapere che noi eravamo a scuola permetteva a mia mamma di sentirsi sicura.

Purtroppo, tante volte si guarda al problema più lontano e non a quello che abbiamo davanti agli occhi, infatti la possibilità di una mia devianza era proprio in famiglia. Mio cugino, il nipote di mio padre, era più grande di me e aveva una visione della vita distorta, deviante: era un rapinatore. Purtroppo, nel nostro contesto sociale è più facile nascondere una devianza che una cosa buona. Con mio cugino ci trascorrevo tanto tempo, ero affascinato da lui, dal suo modo disinvolto che aveva verso la vita quotidiana. Io non ero un bambino stupido, anzi ero molto sveglio: nel quartiere dove sono cresciuto, o eri furbo o eri scemo.

Una volta iniziate le scuole medie mi sono sentito più adulto, in grado di scegliere la mia vita; mentre in me crescevano tutte queste domande, un giorno arriva una risposta tanto concreta: ammazzano mio cugino. In quel momento in me entrò il buio totale, l’odio: il male peggiore. Era stato ucciso il mio idolo, il mio mito, quello che aveva dato un senso a tutto quel vuoto della mia vita.

Da quel momento in me era sparita ogni traccia di quel bambino dalle scelte insicure: sapevo cosa volevo, vendicare mio cugino, l’unico modo per scacciare quel dolore che premeva dentro.

Dopo un po’ anche a scuola la mia rabbia era padrona, infatti alla prima occasione è emersa, esplosa. Una convocazione con la preside per un mio comportamento in classe fu l’occasione per farmi allontanare dalla scuola: alzai le mani sulla preside.

Il mio allontanamento da scuola per cinque anni e gli impegni lavorativi di mamma favorirono la mia “libertà”. Ho iniziato a vivere la strada, meditare sempre di più la mia vendetta. Da quel momento in poi la mia vita è stata un continuo progredire verso la delinquenza, affinché chi della strada era padrone potesse accorgersi di me. Con gli anni si sono accorti di me, del dolore che avevo dentro, della rabbia e dell’odio cresciuto in me, della mia sete di vendetta, alla quale non ho nemmeno provato a resistere quando se ne è presentata l’occasione. Il giorno in cui ho ucciso l’uomo che aveva ucciso mio cugino, mi sono sentito bene.

La mia vendetta era stata fatta, ma anche il mio futuro era stato segnato.

Angelo Cacisi

Percorsi della devianza

Il volto si riscrive

Il volto d’ogni uomo si sciupa e si riscrive
Antonino Di Mauro

Il tempo fugge… e ogni cosa si modifica, si deteriora, cambia: mutano i paesaggi, si alterano le cose, il volto di ogni uomo si sciupa e si riscrive nel sopravvenire delle rughe, così come la sua anima.

Come mai non sono stato capace di proteggere quella bellezza naturale con cui ogni essere umano nasce e che io sento ancora dentro di me? Come sono giunto a tale degrado?

Un ambiente disattento e degradato, salvo per qualche raro caso fortunato, può spiegare la vita di un uomo incrostato nell’animo e indurito nelle sue forme? Di un individuo arrabbiato, che ha letteralmente bruciato la sua esistenza? Che cosa mi aveva ridotto a una tale condizione? Come mai non sono stato capace di proteggere quella bellezza naturale con cui ogni essere umano nasce e che io sento ancora dentro di me?

Certamente ho bisogno di curare il mio essere perché è stato trascurato! Ma come si può curare un uomo cresciuto in balia di se stesso, convinto che le sue scelte fossero quelle giuste e quelle degli altri quelle sbagliate? Come fargli capire che lui il carcere lo ha già nella sua testa e che di questo carcere è lui stesso il carceriere? Quali sono gli strumenti per aiutarlo a crescere a dispetto degli anni, delle scelte, delle trasgressioni di una vita? Per riportare l’animo a una nuova bellezza che dentro di noi vuole tornare a risplendere? Forse una risposta vera e propria non esiste!

L’essenziale, per quella che è la mia esperienza, è ricercare e ritrovare in quello stesso uomo proprio il punto in cui si è perso; nutrirsi dei primi ricordi e riprovare a crescere in maniera naturale proprio dal momento in cui la fiducia nella guida si è spezzata; ritrovare quella stessa fiducia in chi oggi è presente e ti soccorre, in chi crede nella persona che puoi essere e vuoi diventare, e ti tende una mano. E credo che la cultura abbia un ruolo fondamentale in questo processo di ricostruzione e rigenerazione della personalità.

Infine, penso che quell’uomo avrà bisogno del maggior sostegno nel momento in cui avrà piena coscienza del fallimento della propria vita. Dico il maggior aiuto, perché credo sia un momento delicatissimo, dove si può raggiungere la depressione più totale.

Personalmente, potrei dire che fra tutti i miei rimpianti vi è quello di aver trascorso così tanti anni dove sono stato e dove mi sono privato del bello.

Restauro & Recupero  – Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici