La nave di Teseo

Rimescolando quotidianamente le riflessioni fatte con il Gruppo della Trasgressione e leggendo, qualche volta, passaggi di libri “casuali”,  sono stato affascinato dalla narrazione della nave di Teseo: una imbarcazione rimasta intatta nel suo splendore, pur avendo affrontato viaggi impegnativie le inevitabili logorazioni del tempo.

Allora mi sono chiesto: ma com’è possibile mantenersi integri malgrado tutto questo tempo? La risposta è stata semplice nella sua complessità.

La nave godeva di accudimento e manutenzione. Ogni pezzo consumato veniva sistematicamente sostituito. Ecco la ragione della sua perfetta integrità e della sua immutata bellezza nel tempo.

Ma si tratta ancora della stessa nave costruita all’epoca o, pian piano e in conseguenza delle manutenzioni e delle sostituzioni delle componenti usurate, si tratta di un’altra nave, un’altra identità?

La cosa certa è che la nave è rimasta quella di Teseo, pur se le vicende le difficoltà affrontate l’hanno indubbiamente modificata. Il tempo trasforma, sostituisce e a volte riesce a cambiare l’identità di un uomo, pur rimanendo l’uomo, la sua identità e i suoi primi obittivi riconoscibbili.

Se le istituzioni riuscissero a concepire ciò, forse avrebbero meno difficoltà ad aiutare le persone che passano dal carcere a rinnovare ciascuna la propria nave.  In questo modo potrebbero restituire alla collettività nuove identità con nuove e consapevoli responsabilità.

Roberto Cannavò

  • Quanti sogni, di Vito Cattaneo
  • Invincibili, di Cristiano De André

Abbiate Guazzone, Marzo 2010- La Trsg.band e il Gruppo della Trasgressione

Kintsu-gi

Kintsu-Gi
Centro di svago e di ricerca creativa
Gruppo della Trasgressione

CARATTERISTICHE E FUNZIONI DELLA SEDE

  • Un centro culturale aperto (Rashomon e il Kintsugi), dove gli adolescenti e i giovani adulti di Peschiera possano portare i loro prodotti creativi (nel campo della pittura, fotografia, video, musica, scrittura) e dove si possa preparare una manifestazione In teatro nella quale, una o due volte l’anno, i diversi contributi possano essere presentati e valorizzati. A tale riguardo si prevede la collaborazione con aziende sponsor locali e non, che partecipino al finanziamento dell’iniziativa, mentre pubblicizzano se stesse.
  • Un locale per la produzione del materiale per Bio-Optica. Circa 50 mq, dove sia possibile installare le macchine necessarie per il lavoro con un’azienda produttrice di vetrini per esami istologici e, in genere, di prodotti per esami medici. Con Bio-optica abbiamo una collaborazione molto bene avviata.
  • Un mini ambiente per una cella frigorifera utile alla nostra attività con la Bancarella di Frutta & Cultura e per la distribuzione di frutta e verdura ai nostri clienti (ristoranti, bar, centri sociali, gruppi di acquisto solidale);
  • Spazi all’interno e all’esterno adibiti a ristorazione e a intrattenimento con
    • 1) frequenti incontri mirati a valorizzare la produzione artistica dei giovani del posto e dintorni e con periodiche presenze di artisti esterni di un certo rilievo;
    • 2) incontri periodici su “I protagonisti dell’avventura”.

OBIETTIVI

  • Prevenzione del degrado e, in particolare, prevenzione di comportamenti devianti, di ricorso alle droghe, all’alcol, al gioco d’azzardo (vedi La squadra anti-degrado);
  • inclusione del condannato in misura alternativa e di chi ha finito da poco di scontare la pena;
  • integrazione di immigrati residenti in situazioni di disagio e/o di emarginazione;
  • formazione di studenti universitari e di neolaureati sulla prevenzione e sul trattamento delle dipendenze da droga, alcol, videogiochi;
  • formazione e impiego di Peer support e valorizzazione del percorso grazie al quale i principali testimonial dell’iniziativa sono passati dallo stile di vita di chi alimenta e diffonde il degrado a quello di chi lo contrasta mentre promuove fra gli adolescenti un rapporto fattivo con le proprie risorse, con l’ambiente e con le istituzioni.

Torna all’indice della sezione

 

Rashomon e il Kintsugi

Rashomon e il Kintsugi, ovvero… come passare dall’enunciazione di punti di vista diversi, tutti contenenti brandelli di verità e di menzogna (Rashomon, Kurosawa 1950) alla tecnica del Kintsugi, una cucitura che non nasconde le fratture, ma le ricorda con un filo d’oro che evidenzia le loro linee di sutura, la nostra coscienza del passato e la comune responsabilità del presente.

*****

Qualsiasi punto di vista, anche quando viene da persone non consapevolmente capziose, risponde al bisogno di ricostruire un quadro ragionevole della realtà, ma anche (e spesso soprattutto) a quello di dare una versione degli accadimenti compatibile con l’impostazione ideologica di un determinato momento storico. Vedi le diverse dichiarazioni che su “Lo Strappo” rilasciano i vari protagonisti del documentario, che a volte risultano contrastanti già all’interno dello stesso soggetto in quanto rappresentative di diverse epoche della stessa vita.

Il pensiero razionale, anche quando apparentemente libero, non è mai esente dal bisogno di garantire a noi stessi un ruolo sostenibile nella complessità delle cose. Tenendo conto di ciò, il ricercatore scientifico non si illude di essere sulle tracce della verità ultima, ma cerca una versione delle cose che permetta di formulare affermazioni utili a governare territori sempre più ampi e inclusivi della realtà.

In definitiva, la difficoltà di addomesticare la nostra complessità è quel che ci diverte e ci ricorda il nostro mestiere di uomini. Per questo cerchiamo persone che vogliano dar voce e nome agli interpreti principali dell’iniziativa: figure istituzionali, imprenditori, familiari di vittime della criminalità, ex criminali, studenti.

Il Kintsugi non punta alla verità e non vuole ignorare la difficoltà di tenere insieme gli uomini e le idee; cerca piuttosto di connettere i cocci di una passata unità, nella consapevolezza della loro comune origine e della loro e nostra precarietà.

Alcuni testi sul tema o ad esso collegati…

Fra i nostri attuali alleati:

Dallo Strappo al Kintsugi

Ferve in sartoria l’impegno per ricucire Lo Strappo!

Tra l’altro, gli incontri del Gruppo della Trasgressione esterno, dal 6 febbraio 2018, avranno luogo nella sede dell’Associazione Libera di Milano, in Via G. Donizetti, 8/4, Milano, tutti i martedì dalle ore 14:00 alle ore 17:00.

E intanto si moltiplicano le alleanze in favore del Kintsugi

A volte ti ritrovi, all’improvviso, in un posto dove sembra che solo un missile ti avrebbe potuto portare; e invece anche lì sei arrivato grazie alle persone che ti hanno aiutato a zappare.

La Trasgressione: dal sintomo allo studio

Valeria Pozzoli, Matricola:789787
Corso di studio: Scienze e tecniche psicologiche
Tipo di attività: Stage esterno

Periodo: dal 5/04/2017 al 30/04/2017
Titolo del progetto: Gruppo della Trasgressione

Caratteristiche generali dell’attività svolta:
istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

L’associazione presso cui ho svolto il mio tirocinio è una realtà atipica: si tratta di un gruppo, coordinato abilmente da un altrettanto anticonvenzionale psicologo, composto da detenuti, ex detenuti, studenti e da tutti coloro che hanno desiderio di approfondire e far proprio l’oggetto principale di studio di cui il gruppo si occupa, ovvero la devianza; ma questo, lungi dall’essere confinato alla sola realtà del delinquente e della galera, diventa punto di partenza per una riflessione che riguarda l’essere umano e il suo modo di dialogare con il mondo.

Nei diversi incontri che si tengono sia all’interno che fuori dal carcere, tutti i membri si impegnano nell’approfondimento di temi di grande rilevanza che riguardano tanto chi si trova confinato quanto chi è, o meglio, si crede, al di fuori di questi confini; ogni incontro si arricchisce, così, delle esperienze di vita e delle riflessioni personali dei suoi partecipanti. L’obiettivo principale di questo agglomerato variegato di persone è quello di accorciare le distanze tra il mondo socializzato e quello delinquenziale, di ricordare alla società un po’ miope che la trasgressione esiste e non basta un muro di cemento per sbarazzarsene.

Il Gruppo della Trasgressione lavora per fare in modo che la reintegrazione sociale del detenuto sia il meno traumatica possibile e gli strumenti principali per fare in modo che questo avvenga sono la conoscenza e la consapevolezza; i detenuti all’interno del gruppo incominciano, infatti, ad imparare una lingua nuova e sconosciuta che spesso poco si concilia con quella vecchia e familiare che li contraddistingueva. Il reiterarsi degli atti delinquenziali deriva proprio da questo problema di comunicazione; per fare in modo che il nuovo linguaggio diventi florido e produttivo il percorso è lungo: perché “educarsi a godere di una margherita” è un’arte non facile da apprendere ed è proprio questo che il detenuto deve imparare a fare, attraverso un lungo e complesso lavoro interiore.

Accorciare le distanze con il mondo deviante significa anche umanizzare il mostro: dall’inconsueto  binomio detenuto-studente nasce infatti un tipo di interazione che mira alla ricerca, nella storia personale di ciascuno, di zone d’ombra e di luce; sia l’uomo carcerato sia quello che vive al di là delle mura del carcere condividono, in qualche misura, frammenti di vita che li rendono creature mostruose, e altri, che li dipingono invece come esseri umani spesso sopraffatti dalle proprie fragilità e dai propri conflitti.

Sebbene si possa dare per scontato che l’umanità tutta proviene dallo stesso “seme”, non è così facile comportarsi di conseguenza: è necessario un lavoro, di testa si intende, e un obiettivo comune. Il Gruppo della Trasgressione, a tal proposito, si occupa di prevenzione in scuole medie e superiori; l’approccio del Gruppo alla prevenzione della devianza minorile è, ancora una volta, unico nel suo genere: i giovani studenti diventano agenti attivi che condividono esperienze e riflessioni con i detenuti e imparano che la trasgressione, da esperienza lontana e mostruosa, può diventare, se ben amministrata e addomesticata, una ricchezza.

Le forze trainanti del gruppo sono la cultura e la sete di conoscenza che vengono costantemente promosse con passione ed entusiasmo dalla sua guida e che si dispiegano in una grande varietà di iniziative quali spettacoli teatrali, lettura di poesie, concerti  ecc. Il Gruppo della Trasgressione, come cooperativa, si impegna, inoltre, in attività di restauro, di manutenzione e nella vendita di frutta e verdura. L’obiettivo è sempre quello di sensibilizzare la società e i suoi cittadini a un modo nuovo di pensare alla devianza: far sì che i limiti che prima il delinquente oltrepassava animato dall’arroganza, da smanie di potere e dal desiderio di sentirsi completo e libero, vengano ora varcati con un rinnovato tipo di consapevolezza: quello delle proprie fragilità e di un senso del potere tutto nuovo, quello della conoscenza.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Quella fatta all’interno del Gruppo della Trasgressione non può essere definita un’esperienza di tirocinio tradizionale: lo studente è, per prima cosa, un membro del gruppo che, come tutti gli altri, partecipa attivamente alle riflessioni su cui, di volta in volta, ci si sofferma, esponendo il suo personale punto di vista; l’idea del tirocinante che osserva ed esegue le direttive non è contemplata. Se avessi dovuto assecondare la mia natura timida ed insicura, di certo non avrei scelto di impegnarmi in questo tipo di esperienza; forse mi avrebbe fatto più comodo fare l’assistente-cagnolino di qualche psicologo e osservare tutto da un angolo nascosto; perché esporsi, dire ciò che si pensa, mostrarsi nudi e fragili a volte spaventa, o almeno, a me personalmente fa paura.

Lo studente che vive la realtà del gruppo è, invece, costretto a mettersi in gioco e fare i conti con le proprie fragilità. In sinergia con il detenuto, il tirocinante può, inoltre, creare ponti che accorcino le distanze tra mondi che, in realtà, un poco si assomigliano e può contribuire, con la sua opinione giovane e fresca, ad arricchire riflessioni su argomenti complessi.

Dal momento che l’attività principale del gruppo è proprio quella di fare cultura e di sollecitare la riflessione, un altro fondamentale compito del tirocinante è quello di studiare, comprendere i difficili discorsi fatti dallo psicologo coordinatore e guida del gruppo e dare prova di saperli maneggiare, a livello orale e scritto.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Senza ombra di dubbio, uno strumento imprescindibile per chi si accosta per la prima volta al Gruppo della Trasgressione è la voglia di spendere energie mentali e ragionare; non esistono mezzi concreti o particolari metodologie tecniche a cui fare affidamento. L’essenza del gruppo si fonda, inoltre, sulla capacità dei propri partecipanti di comunicare tra loro; il confronto e l’esposizione verbale dei propri pensieri è fondamentale perché la dinamica di gruppo funzioni. Le occasioni in cui tali strumenti possono essere spesi sono molteplici; quando ho iniziato il tirocinio non avrei mai immaginato di venire a contatto con una realtà tanto variegata e ricca di iniziative: oltre a seguire i gruppi dentro e fuori dal carcere, mi è stato possibile assistere agli incontri di prevenzione nelle scuole ed al geniale spettacolo teatrale ispirato al mito di Sisifo che viene, ormai da anni, interpretato da detenuti e studenti e che racconta con perspicacia la storia di compromesso e di tracotanza che contraddistingue tanto il carcerato quanto le istituzioni.

Da non dimenticare, poi, una delle ultime conquiste del Gruppo della Trasgressione: il “Coming out”; “coming out” o, in italiano “venir fuori” è il nome di un terreno in origine piuttosto malandato che, grazie al lavoro di alcuni detenuti, si sta trasformando in  una concreta possibilità di avvicinare la comunità e il mondo carcerario, nel nome della cultura, della bellezza e, perché no, anche della frutta. Sebbene il progetto sia appena partito, nel terreno rimesso a nuovo è stata piazzata una bancarella di frutta e verdura gestita da detenuti e studenti con l’obiettivo principale di far conoscere la realtà del gruppo; se la mia carriera da psicologa dovesse, per qualche motivo, rivelarsi un fallimento, potrò ripiegare sempre sulle mie abilità, per la verità per ora piuttosto scarse, di venditrice di fragole e banane!

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Una delle ricchezze più grandi di cui il gruppo può godere è rappresentata dal suo carismatico creatore nonché atipico coordinatore. Non è affatto un’esagerazione affermare che quest’ultimo è l’anima del bizzarro insieme di persone che a lui fanno capo; per i detenuti così come per gli studenti, è diventato una guida e un punto di riferimento che si fa portatore di beni preziosi quali la cultura e l’arte.  Lo definisco “atipico coordinatore” perché il suo modo di procedere e di approcciarsi a qualsiasi componente del gruppo è del tutto anticonvenzionale e allo stesso tempo acuto: i convenevoli e le belle parole sono messe da parte per lasciar spazio alla conoscenza sincera e intima dei partecipanti anche e soprattutto a partire dai conflitti e dalle fragilità che li contraddistinguono. Ci si sente, infatti, più liberi a essere introdotti nel mondo partendo da ciò che più ci fa paura; il suo modo di fare spontaneo e che alle volte può risultare aggressivo diventa un vero e proprio strumento di lavoro: attaccare l’altro, senza  tuttavia deriderlo, può essere un modo per creare familiarità e prendere confidenza; spesso, infatti, gli amici più cari sono proprio quelli che ti senti libero di insultare e di trattare male. Gli studenti che partecipano al gruppo, inoltre, ricevono sempre un feedback immediato da parte del loro coordinatore e grazie alle sue critiche e provocazioni hanno la possibilità di crescere e migliorarsi.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Ciò che questa esperienza mi ha lasciato non può essere ridotto ad una serie di competenze tecniche  e nozionistiche;  questo perché, più che semplice tirocinante, mi son sentita membro di una realtà culturale estremamente stimolante e ho potuto godere dei suoi frutti. Le questioni di cui il Gruppo della Trasgressione si occupa sono spesso complicate ma hanno anche il fascino di rivolgersi a chiunque: mi sento quasi egoista nell’affermare che frequentare gli incontri mi ha arricchito soprattutto come persona: pensavo di andar lì ad “aiutare” i detenuti come una crocerossina qualunque e invece ho aiutato me stessa; ogni riflessione affrontata mi ha permesso di capire qualcosa sulla natura umana e su di me che prima non contemplavo e, a volte, ha avuto tanta efficacia da riuscire a mettermi in crisi.

Il Gruppo della Trasgressione è, quindi, innanzitutto un’esperienza umana aperta a chiunque abbia voglia di investire energie mentali su temi che non riguardano solo la realtà del detenuto ma qualsiasi persona. Questo peculiare tirocinio mi ha poi dato la possibilità di osservare da vicino il mondo carcerario: una realtà che molto spesso disumanizza, che mortifica l’intelligenza, che svilisce l’esigenza innata dell’uomo di costruire e di inventare, dove il proposito rieducativo poco si spende.

Di questo mondo, il Gruppo costituisce una fortunata eccezione: i detenuti che ne fanno parte hanno alle spalle o ancora stanno compiendo un complesso e lungo percorso di consapevolezza interiore, sono persone che hanno voglia di abbandonare il loro modo di comunicare prettamente “delinquenziale” in favore di una lingua nuova, quella della cultura e dell’arte, in modo che essa diventi produttiva e spendibile.

Ho inoltre trovato estremamente interessante e formativo osservare sul campo il modo di procedere spontaneo e acuto dello psicologo coordinatore del gruppo: quest’ultimo, attraverso un’approccio assolutamente fuori dagli schemi, mi ha fatto comprendere il valore dello smarrimento e della capacità di giovarsi delle proprie crisi e dei propri conflitti. Avendo avuto a che fare con un gruppo variegato con esigenze differenti, ne ho potuto esplorare le dinamiche e gli accorgimenti che servono a mantenerlo in equilibrio.

In particolare, la relazione che si crea tra studente e detenuto è notevolmente complessa: entrambi spesso non fanno altro che appagare a vicenda i loro bisogni con il minor dispendio di energia possibile: il detenuto trova una facile scorciatoia nel farsi “salvare” da un ragazzo volenteroso, bypassando un lavoro mentale che è invece necessario, e lo studente, soddisfa, a poco prezzo, la sua voglia di aiutare il prossimo e di sentirsi importante: è facile diventare importanti per chi, di fatto, è fisicamente in gabbia.

 

Abilita acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Il Gruppo della Trasgressione è stato per me  una “palestra mentale”: ho imparato ad accostarmi alle questioni di volta in volta affrontate senza preconcetti e con la voglia di mettermi in discussione; ho acquisito più familiarità con l’oggetto principale di studio del gruppo, ovvero la devianza, anche attraverso un lavoro di rielaborazione. Dal momento che la comunicazione e l’interazione sono ingredienti irrinunciabili di questa esperienza di tirocinio, ho dovuto, per forza di cose, fare i conti anche con la mia naturale ritrosia a parlare in pubblico e a esprimere la mia opinione: ho imparato l’importanza di sapersi mettere in gioco e di diventare agenti di ciò che si pensa ma anche più semplicemente, di formulare in maniera chiara e comprensibile le proprie considerazioni.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Ho sempre invidiato le persone che procedono con un obiettivo saldo davanti a sé, sicure di quello che vogliono fare e di chi vogliono essere; questo perché io sono tutto l’opposto: sono timida, insicura e nonostante spesso abbia voglia di raccontarmi, faccio fatica ad espormi perché il mio Super io esagerato non mi concede frequentemente il lusso di sbagliare. Da questa esperienza, però, ho imparato qualcosa di assolutamente fondamentale: non basta affermare la propria esistenza.

Per fare in modo che la vita non sia vissuta all’insegna della mediocrità e del compromesso, è necessario affermare se stessi in maniera costruttiva, condividendo esperienze e non temendo di mostrare le proprie fragilità; proprio come il delinquente sceglie la strada più semplice della regressione per appagare i suoi bisogni di sicurezza, così spesso mi piace crogiolarmi nella mia natura introversa e schiva senza impegnarmi veramente in un percorso di crescita ed emancipazione che, per forza di cose, implica una spesa mentale maggiore. Qualche volta, scherzando, mi definisco una persona “a lenta attivazione”: ammetto che per mettere in pratica ciò che ho imparato, un mese di tirocinio non mi è sufficiente e che il mio percorso di crescita è solo agli inizi ma posso assicurare che ci sto lavorando!

 

Altre eventuali considerazioni personali

È proprio fuori strada chi pensa a questa esperienza come un’occasione di fare una gita turistica in una realtà distante e di osservare delle creature sconosciute e mostruose, tenendosi, però, sempre qualche passo indietro rispetto alla possibilità di essere aggrediti; la trasgressione accomuna tutti gli uomini e il fatto che esistano delle case di reclusione per chi ha fatto della devianza il suo mestiere non rende meno vera l’affermazione.

Le istituzioni preferiscono spesso indossare il paraocchi piuttosto che affrontare la questione; tutti coloro che, però, sono stufi di rimaner bendati e che hanno voglia di impegnarsi in un uno sforzo mentale maggiore, sono invitati a farlo: questo è ciò che il Gruppo della Trasgressione si auspica e ciò per cui lavora.

Se la tendenza ad oltrepassare i limiti è qualcosa che ci appartiene, la questione da risolvere è come farlo senza recare danno a chi ci sta accanto e a noi stessi: una trasgressione “addomesticata” e ragionata che sfrutti la voglia di potere all’insegna della cultura e della bellezza e che si realizzi nella relazione e nella condivisione di esperienze sembra essere la risposta. Quello che il Gruppo della Trasgressione si propone di fare è coraggioso e difficile, ma proprio grazie alla sua capacità di mettersi in discussione e alla sua voglia di migliorarsi non può che lasciare il segno in chi ha voglia di ascoltare; a me personalmente, dagli incontri del Gruppo non mi capita mai di uscire indifferente: oscillo sempre tra il massimo entusiasmo e la crisi più totale; questo mi dimostra che è proprio valsa la pena intraprendere questa avventura.

Torna all’indice della sezione

Curiosità e arrovellamenti

Cecilia Braschi, Matricola: 788994
Corso di studio: Scienze e tecniche psicologiche
Tipo di attività: stage esterno

Periodo: dal 01/04/2017 al 30/04/2017

Titolo del progetto:
STAGE ESTERNO PRESSO “GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE”

Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Ho svolto il mio tirocinio presso il Gruppo della Trasgressione, un’associazione e cooperativa assolutamente innovativa e fuori dagli schemi ideata vent’anni fa dal dott. Angelo Aparo, psicoterapeuta che da quasi quarant’anni lavora all’interno delle carceri milanesi. Le attività del Gruppo sono molto variegate, ma tutte finalizzate al coinvolgimento ad un pari livello di detenuti, studenti universitari, adolescenti e liberi cittadini. Il Gruppo opera con le persone che vi partecipano, indipendentemente da età, status di detenuto o provenienza sociale, studiando e interrogandosi su tutto ciò che attiene alla sfera umana e relazionale, dal rapporto con le autorità al dialogo con se stessi, dal rispetto per gli altri al riconoscimento delle proprie fragilità, dal pericolo di cadere nella mediocrità all’importanza della relazione e tanto altro ancora.

Non so se il dott. Aparo abbia una corrente psicologica di riferimento, ma se dovessi definire l’approccio teorico/pratico adottato nel corso delle attività sicuramente lo etichetterei come “apariano” e niente di più. A chi non conoscesse il suddetto metodo lo spiegherei sintetizzandolo in tre parole: curiosità, arrovellamento e schiettezza, mentre per ulteriori dettagli suggerirei di partecipare in prima persona, perché solo così si può capire davvero.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Il ruolo richiesto a noi studenti è (tutt’altro che semplicemente) quello di partecipare ad ogni attività, quale che essa sia, dando il nostro personale contributo, cercando di metterci in gioco il più possibile e avendo il coraggio di mettere a nudo le nostre fragilità davanti agli altri membri del gruppo. Quest’ultimo aspetto è forse quello che viene maggiormente incoraggiato, poiché, sebbene possa sembrare destabilizzante per la persona, nei fatti è ciò che ci fa sentire vivi e uniti gli uni agli altri: un aspetto che mi ha colpito fin da subito nei detenuti è proprio il valore che attribuiscono al riconoscimento delle loro fragilità più profonde, riconoscimento che li rende più degni di stare al mondo invece che indebolirli. Ecco, da questo sforzo non è esente nessuno di noi, ognuno deve impegnarsi a tirar fuori ciò che di più profondo possiede, perché così facendo arricchisce il gruppo ma soprattutto se stesso. In un’accezione più pratica invece potrei aggiungere che nel mio ruolo rientravano compiti quali la stesura di verbali relativi alle attività svolte e la gestione di una bancarella di frutta e verdura di cui parlerò qui di seguito.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Le attività del Gruppo sono molto varie ed in continua evoluzione: alla base ci sono le discussioni che si svolgono tutte le settimane all’interno delle carceri di Opera e Bollate e in un ATS di Milano, momenti di studio, analisi e discussione di molte tematiche tra cui quelle prima citate. Sempre più consistenti e soddisfacenti stanno diventando inoltre le attività di prevenzione al bullismo e alla tossicodipendenza svolte nelle scuole, momenti in cui i detenuti insieme agli studenti offrono i racconti delle loro storie e crescite personali a ragazzi adolescenti che hanno già mostrato qualche segno di devianza, cercando di instaurare un sano rapporto di fiducia reciproca a due scopi: allontanare l’adolescente da un mondo che lo farebbe affondare e dare la possibilità al detenuto di ripagare in parte il danno commesso nei confronti del bene comune.

Recentemente alla cooperativa è stata affidata la gestione di un terreno in zona Barona a Milano che, ripulito e vivificato, oggi ospita la bancarella di frutta e verdura gestita dalla cooperativa stessa e mira a diventare luogo di ritrovo e libera espressione per detenuti, studenti, comuni cittadini del quartiere e non, ospitando eventi ed attività legati a teatro, musica, fotografia, orticoltura ecc.; il nome del terreno, “Coming out”, indica appunto la possibilità offerta da questo spazio di “venire fuori”, esprimersi liberamente e creativamente, superare la paura di esporsi.

Altra attività interessante coltivata negli anni dal Gruppo è la rappresentazione teatrale del mito di Sisifo, che per i temi affrontati ben si adatta alle vicende dei detenuti e infatti sono essi stessi ad andare in scena insieme agli studenti improvvisando di volta in volta le parti che vengono loro assegnate, proprio perché avendone studiato a fondo i significati non necessitano di alcun copione. Infine, non perché meno importanti ma semplicemente perché non vi ho mai assistito in prima persona, il gruppo svolge diverse attività di restauro a Milano e dintorni, al fine di trasmettere ai detenuti quell’idea di lavoro come gratificazione e costruzione personale, idea che in passato molti di loro avevano rifiutato scegliendo di vivere nella mediocrità.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Nonostante lui non ami identificarsi in tale figura, il coordinatore del tirocinio è stato il dott. Angelo Aparo, il quale, al di là di ogni definizione, si è rivelato una figura a tal punto “trasgressiva”, ispiratrice e quasi comica da aver in qualche modo segnato il mio percorso di formazione in quanto psicologa ma soprattutto in quanto persona. Ciò che fa continuamente, anche partendo dalle piccole cose, è di spingerci a riflettere oltre i normali limiti e le frettolose conclusioni cui si giunge la maggior parte delle volte. Innumerevoli sono state le occasioni in cui, in seguito alla riflessione di un qualsiasi membro, lui ha risposto senza tanti complimenti “no, non sono d’accordo” e con tutta la calma e le parole necessarie ha accompagnato tutti noi un po’ più in là rispetto al punto in cui ci eravamo assestati fino a quel momento. Lui è colui che si fa ispirare dalle piccole cose, dalle semplici emozioni e dalle belle immagini dando poi vita a ciò che il gruppo concretamente fa. Il suo modo di assicurarsi la nostra partecipazione consiste nel farci “pagare il biglietto”, per citare le sue parole, ovvero stuzzicarci e stimolarci per farci sempre dare un nostro contributo personale, se questo non avviene già spontaneamente. Inoltre ci è richiesta la redazione occasionale di verbali piuttosto che di qualsiasi genere di scritto, sia esso in poesia o in prosa, che insieme alle produzioni dei detenuti vanno ad alimentare il bagaglio di testimonianze provenienti dal gruppo.

Aparo è sicuramente il motore del Gruppo della Trasgressione, ma ci si augura che negli anni abbia saputo trasmettere le sue idee a tal punto da lasciare dietro di sé una traccia che possa essere ricalcata da chi meglio l’ha conosciuto e apprezzato.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Le conoscenze che ho acquisito durante questo periodo di tirocinio sono senza dubbio molto consistenti sul piano personale, hanno contribuito e stanno contribuendo a farmi capire chi sono e solo in conseguenza di ciò imparo come dovrei lavorare in futuro. Effettivamente potrei dire di aver partecipato ad ogni incontro come ad un momento di studio da cui ogni volta sono uscita arricchita, talvolta turbata ma sempre con qualcosa in più su cui riflettere. Ora riconosco che per ascoltare e capire veramente le storie delle persone l’attenzione e l’empatia non sono mai abbastanza; che per guadagnarsi la stima e la fiducia del gruppo oltre che dei singoli bisogna impegnarsi costantemente, anche con piccoli contributi, ma cercando di esserci sempre e di farsi sentire.

Ora ne so un po’ di più di un mondo che mi era completamente estraneo, quello carcerario, ma soprattutto vedo quanta necessità vi è di rivoluzionare questo stesso mondo, promuovendo a braccia aperte iniziative come quella del dott. Aparo, alla base della quale c’è il tentativo di relazionarsi con le persone, evitando di lasciarsi ingabbiare da categorie ideologiche. Ho scoperto che chiunque può tornare indietro e cambiare, apprezzare cose che prima nemmeno vedeva e gioire di emozioni molto più semplici di quelle che per una vita ha ricercato. Inoltre ho capito che i modi che usiamo per relazionarci agli altri sono giusti solo se in linea con la persona che siamo, con il nostro modo di essere, con l’esperienza che viviamo in prima persona e che ci permette ogni giorno di affinarli.

 

Abilità acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Le abilità che sento di aver acquisito durante questo tirocinio riguardano principalmente le dinamiche di gruppo, in quanto ho potuto sperimentare pro e contro di un’attività che va avanti se e solo se è il gruppo a darle continuo carburante. Inoltre ho potuto mettere alla prova me stessa all’interno di queste dinamiche, provando tutto quel continuum di sensazioni che vanno dal senso di estraneità e inadeguatezza iniziale al sempre più forte senso di complicità che si sviluppa col tempo e la conoscenza delle persone.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Ciò che mi porterò dietro da quest’esperienza è la spinta a riflettere con più attenzione innanzitutto su di me, sulla mia storia e la mia evoluzione, individuando le fragilità che mi porto dietro per poterle meglio affrontare. Sono proprio i detenuti ad avermi mostrato le difficoltà e le soddisfazioni legate a un percorso di scoperta di se stessi: sebbene per loro si tratti di un sentiero più tortuoso e doloroso, nessuno di noi dovrebbe sottovalutare le piccole cose che ci permettono giorno per giorno di evolverci e di conoscerci meglio, presupposto fondamentale per poter lavorare con gli altri.

Torna all’indice della sezione

Il volto si riscrive

Il volto d’ogni uomo si sciupa e si riscrive
Antonino Di Mauro

Il tempo fugge… e ogni cosa si modifica, si deteriora, cambia: mutano i paesaggi, si alterano le cose, il volto di ogni uomo si sciupa e si riscrive nel sopravvenire delle rughe, così come la sua anima.

Come mai non sono stato capace di proteggere quella bellezza naturale con cui ogni essere umano nasce e che io sento ancora dentro di me? Come sono giunto a tale degrado?

Un ambiente disattento e degradato, salvo per qualche raro caso fortunato, può spiegare la vita di un uomo incrostato nell’animo e indurito nelle sue forme? Di un individuo arrabbiato, che ha letteralmente bruciato la sua esistenza? Che cosa mi aveva ridotto a una tale condizione? Come mai non sono stato capace di proteggere quella bellezza naturale con cui ogni essere umano nasce e che io sento ancora dentro di me?

Certamente ho bisogno di curare il mio essere perché è stato trascurato! Ma come si può curare un uomo cresciuto in balia di se stesso, convinto che le sue scelte fossero quelle giuste e quelle degli altri quelle sbagliate? Come fargli capire che lui il carcere lo ha già nella sua testa e che di questo carcere è lui stesso il carceriere? Quali sono gli strumenti per aiutarlo a crescere a dispetto degli anni, delle scelte, delle trasgressioni di una vita? Per riportare l’animo a una nuova bellezza che dentro di noi vuole tornare a risplendere? Forse una risposta vera e propria non esiste!

L’essenziale, per quella che è la mia esperienza, è ricercare e ritrovare in quello stesso uomo proprio il punto in cui si è perso; nutrirsi dei primi ricordi e riprovare a crescere in maniera naturale proprio dal momento in cui la fiducia nella guida si è spezzata; ritrovare quella stessa fiducia in chi oggi è presente e ti soccorre, in chi crede nella persona che puoi essere e vuoi diventare, e ti tende una mano. E credo che la cultura abbia un ruolo fondamentale in questo processo di ricostruzione e rigenerazione della personalità.

Infine, penso che quell’uomo avrà bisogno del maggior sostegno nel momento in cui avrà piena coscienza del fallimento della propria vita. Dico il maggior aiuto, perché credo sia un momento delicatissimo, dove si può raggiungere la depressione più totale.

Personalmente, potrei dire che fra tutti i miei rimpianti vi è quello di aver trascorso così tanti anni dove sono stato e dove mi sono privato del bello.

Restauro & Recupero  – Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici

Restauro e recupero

logo_restauro_colore472b

Progetto: Restauro e Recupero
Proponente: Cooperativa Sociale Trasgressione.net
Indirizzo: Via dei Crollalanza 11 – 20143 Milano
Presidente: Angelo Aparo
Responsabile Progetto: Vittorina Bertuolo
Data inizio progetto: Gennaio 2013

 

OBIETTIVI DELL’INIZIATIVA E CAMPI D’INTERVENTO

Formare, attraverso un breve percorso di studio teorico e, soprattutto, attraverso l’esperienza sul campo, un gruppo di persone eterogeneo, detenuti e non, in grado di operare a vari livelli nell’ambito del restauro. In questo modo le conoscenze e le competenze della squadra di lavoro aumentano e si integrano giorno per giorno, mentre vengono applicate sul campo e mentre si impara a riconoscere il valore di beni abbandonati, a recuperarli dal degrado e a proteggerli.

Data la vastità e complessità del campo in cui si vuole operare, si ritiene opportuno circoscrivere l’ambito d’intervento agli edifici storici e, più precisamente, al recupero degli intonaci, del materiale lapideo e dei metalli.

Lavorare al recupero è, sul piano simbolico e fattuale, l’attività che meglio si sposa con gli obiettivi del Gruppo della Trasgressione: scrostare, recuperare, riattivare risorse e funzioni coincide infatti con i nostri obiettivi primari, a maggior ragione se tali interventi promuovono la collaborazione e il reciproco riconoscimento fra cittadini di diversa provenienza; implementano le competenze del gruppo di lavoro in campo storico e artistico, oltre che sotto il profilo tecnico.

 

FASI PROPEDEUTICHE E OPERATIVE

Le squadre di lavoro vengono formate all’interno degli istituti penitenziari. Con immagini e brevi filmati, sono presentati in carcere i vari tipi di intervento, i materiali, le modalità di applicazione, ecc.

La formazione vera e propria, tuttavia, avviene sia sul piano pratico che teorico soprattutto con l’esperienza in cantiere.

Condizione fondamentale per la riuscita del progetto è l’acquisizione dei cantieri che, inevitabilmente, passa attraverso l’appoggio delle istituzioni e degli alleati del gruppo.

 

PRIMI RISULTATI

A distanza di tre anni dall’avvio, ecco i primi risultati tangibili del laboratorio di restauro. Accanto a questi, pur se più difficili da quantificare, vanno conteggiati benefici in termini di formazione professionale e umana maturati dai detenuti che hanno preso parte all’iniziativa nonché la ricaduta di tale maturazione sui loro figli e sulla società in generale.

 

 


 

 


 

 

Torna all’indice della sezione

Caro fratello

Caro fratello
Noemi Ottaviani

ti scrivo perché da un po’ tempo mi sta succedendo una cosa strana: sento il bisogno di condividere la mia vita con la mamma! Tu sai perfettamente quali sono stati in passato i miei sentimenti verso di lei e sai quanto abbia sofferto la sua assenza e la sua distanza.

Spesso ripenso a quando eravamo bambini, all’Orfea, la nostra baby sitter, ricordo che quando tornava nostra madre a casa io, invece di salutarla, correvo ad abbracciare e a dare il bacio della buona notte all’Orfea e, guardandola che se ne andava, mi si riempiva il cuore di tristezza perché io avrei voluto che lei mi rimboccasse le coperte quando era ora di andare a dormire.

Ricordo le ore che passavo da adolescente attaccata alla finestra alle 9 di sera, guardando fuori, nel buio della notte d’inverno e nel profondo della nebbia della pianura, aspettando di vedere la macchina della mamma che tornava da lavoro, qualche volta la vedevo, altre, le più numerose, non la vedevo tornare perché ad un certo punto mi arrendevo e andavo a dormire. Ricordo i tanti pensieri che mi passavano per la testa: perché torna così tardi? Perché non torna a ora di cena per stare con noi? Chissà se la mamma ha un altro uomo! Come mai non è ancora arrivata, avrà avuto un incidente? Ricordo come fosse oggi il vuoto che mi pesava sul petto e quella sensazione che mi faceva sentire così poco importante per una donna che per me avrebbe dovuto essere la Mia Mamma.

Ricordo quando lei e il papà litigavano, urlando da una stanza all’altra per ore, tutte le poche ore che la mamma passava a casa. Il sabato e la domenica erano due giorni di urla e insulti, io più di una volta ho scritto un bigliettino che recitava: “smettetela di litigare per favore!”, e la risposta puntualmente era: “noi non litighiamo, discutiamo. La mamma e il papà si stanno solo confrontando su alcune cose. E’ il nostro modo di parlare”, e allora io, non esattamente convinta della loro risposta, me ne andavo, fiera di averli fatti smettere per cinque minuti e triste per la breve durata di quegli stessi cinque minuti.

Ricordo tante cose poco felici e che mi hanno fatto crescere con un senso di odio nei confronti di quella donna che avrebbe dovuto essere la Mia Mamma, ricordo i suoi tentativi di separazione e la sofferenza che ci ha fatto vivere, potrei andare avanti ore a elencare cose di questo tipo, ma non ti sto scrivendo per questo.

Ti sto scrivendo perché in questi giorni al gruppo abbiamo parlato di cosa dovrebbero fare i figli per diventare adulti pur avendo pessimi rapporti con i propri genitori. Il Dott. Aparo, che per me è come un secondo padre e spesso mi rattristo pensando a te che non hai nella tua vita una persona come lui, ci ha parlato di bonifica dei genitori, cosa vuol dire?

Ognuno di noi nasce figlio di genitori incompleti e imperfetti e questo può far si che la vita dei loro figli venga segnata profondamente da queste loro imperfezioni. Per questo motivo ogni figlio ha il compito di bonificare il ruolo dei propri genitori perché è un’illusione che le persone di 30 o 40 anni possano diventare uomini veri senza un padre e una madre interiorizzati. Per diventare un adulto capace abbiamo bisogno di interiorizzare una figura che sia credibile, dobbiamo riuscire a far diventare l’immagine dei nostri genitori un’immagine positiva. Fino a quando conserviamo rabbia e rancore nei loro confronti non possiamo diventare persone adulte e quindi dobbiamo bonificare la loro figura. Dobbiamo rintracciare quello che di buono hanno fatto per usare questi ricordi come piccoli semi per far crescere dentro di noi un’immagine sufficientemente positiva di mamma e papà. Diversamente siamo condannati a replicare l’immagine distruttiva che abbiamo interiorizzato.

Io credo di essere sulla buona strada, perché, oltre ai ricordi di cui ti ho scritto sopra, sempre più spesso ricordo di quando la mamma nel periodo natalizio mi portava in tutte le chiese della città a vedere i presepi, insieme vivevamo quella magica atmosfera del Natale e dopo un intero pomeriggio di camminate mi portava a fare merenda in un bar dove bevevamo un thè caldo e mangiavamo un toast. Che buono quel toast in quel bar! Non sono mai più riuscita a ritrovare il gusto di quelle semplici fette di pane tostate da nessuna parte.

Ricordo di quando ci portava a comprare le scarpe e dopo ci comprava il gelato in Piazza Garibaldi, al Master Cream, la gelateria migliore di tutta Mantova, e poi ci sedevamo sulle panchine del parco contenti delle nuove scarpe e ancora di più, del fantastico gelato che avevamo tra le mani.

Ricordo di quando la domenica mattina prima di andare a pranzo dalla nonna mi faceva la doccia e con una rara dolcezza, o forse una dolcezza da me immaginata, mi metteva lo shampoo nel capelli e mi diceva di guardare gli uccellini sul soffitto in modo che non mi andasse il sapone negli occhi.

Ricordo quando passavamo le serate a fare assieme i puzzle di 5000 pezzi facendo a gara a chi riusciva ad incastrarne di più.

Ricordo quando la domenica mattina ascoltava le canzoni di De Andrè e di Gaber mentre preparava da mangiare e noi insieme sul divano giocavamo e puntualmente finivamo col picchiarci, ma va beh… noi eravamo bambini!

Da un po’ di tempo dedico i miei pensieri a questi ricordi e da un po’ di tempo ho voglia di telefonarle per raccontarle le cose belle o meno belle che mi stanno succedendo!

Con affetto,
tua sorella.

Torna all’indice della sezione

La scala dentro

La scala dentro
Sofia Lorefice

Un luogo dove scappare e ritrovarsi questo era per noi quella casa. Ha detto Carmelo al telefono.

E ora come facciamo? gli chiedo io. Ce la portiamo dentro. risponde mio fratello.

Sì ma non è facile, non lo è per noi, figurati per lui che se la è costruita e che lì dentro ha costruito la sua vita.

Mio padre è un architetto e sa costruire. Quella casa se l’è costruita per davvero. Non solo nella fantasia ma anche nei disegni, nei calcoli, nei mattoni, nelle piastrelle che mia madre gli ha fatto cambiare 16 volte per via delle fughe che a lei sembravano storte. Se l’è costruita con le finestre grandi, le pareti un po’ tonde e un po’ squadrate che escono dal volume delle stanze. Se l’è costruita con le terrazze, con il camino affusolato e con la scala a chiocciola dentro al centro della casa.

Quella scala era la parte più resistente sulla quale si reggeva tutto il resto. Bambini in caso di terremoto andate sotto alla scala, ogni tanto ce lo ricordava: Sotto la casa c’è l’argilla ma quella scala non crollerà né ora né mai, la ho fatta io.

Noi siamo cresciuti sostenendoci a quella scala. Ci abbiamo ballato intorno la sera quando rientravamo a casa con lui. E mamma non c’era. E lui accendeva la musica a palla e ballava per scacciare la nostalgia. Abbiamo sempre saputo che sotto c’era l’argilla ma sapevamo anche che quella scala teneva tutto e non sarebbe crollata. Perché? Perché la aveva costruita lui!

Dentro di me e di mio fratello e forse anche dentro a quella Nica c’è una scala a chiocciola costruita sull’argilla. È una scala che porta la firma di mio padre: la sua risata, la sua fatica, la sua forza, i suoi pensieri, la sua fantasia e l’allegria.

È una scala di marmo senza spigoli e con i buchi sul muro all’altezza di ogni scalino per non smettere di guardare il mare neanche mentre si sta salendo. È una scala dalle pareti bianche, più volte imbiancate perché tutti e tre noi figli, ciascuno a suo tempo, non ci siamo risparmiati la soddisfazione di disegnarci sopra con le matite colorate.

Dentro alla casa, nel suo cuore, ci sta quella scala che mio padre ha costruito perché sostenesse tutto il resto. L’ha fatta a prova di terremoto e di qualsiasi altra scossa. Fino ad ora aveva retto ed è difficile pensare che da una settimana esatta quella scala non sia più lì per noi. È faticoso convincersi di poterne fare a meno. E ora come facciamo? Proveremo a portarcela dentro.

Torna all’indice della sezione