Tra l’ospedale e Delitto e Castigo

Dott Aparo, scrivo questa sorta di accompagnamento allo scritto non per giustificarmi ma per chiarire alcune cose. Ne approfitto anche per scusarmi di non essere sceso al gruppo ma ho dolori a tutte le ossa, in più la mia vena polemica è abbastanza amplificata rendendomi più antipatico del solito.

Allora, prima di andare in ospedale Nunzio Galeotta ha iniziato a stressarmi come al solito, dicendomi che avrei potuto sfruttare il tempo che avrei trascorso in ospedale per fare uno scritto.

“Stai là, tanto vale che impegni il tempo per fare uno scritto, magari per le scuole”. Gli ho risposto che non era cosa, dato che dal periodo di Natale vivo un forte conflitto con mio figlio, per cui non mi sentivo di scrivere ai ragazzi delle scuole. Allora lui mi fa: “va bene, allora scrivi qualcosa sul mito di Sisifo, oppure su Delitto e Castigo, tanto sono argomenti che tratteremo, per cui tornerà sempre utile”.

Non so perché,  ma ho una specie di repulsione verso il mito di Sisifo… non mi entra in testa in alcun modo. Dopo nemmeno 10 minuti il mio cervello in automatico cancella tutte le informazioni sul tema rendendomelo quindi antipatico!

Non restava quindi che trattare Delitto e Castigo. Ma in ospedale le cose non sono andate in modo tale da permettermi di avere la “serenità di scrivere”, oltre alla mia riluttanza proprio nell’atto pratico. Quando sono ritornato me lo sono pure dovuto sciroppare, in quanto Nunzio mi rimproverava del fatto che in 24 giorni non ero stato in grado di scrivere nemmeno degli appunti da poter usare più avanti.

E così, appena rientrato dall’ospedale, è tornato alla carica, dato anche che l’ultimo convegno era incentrato proprio su Delitto e Castigo.

Tutto questo è per dirvi: Caro Prof, è inutile che mi fate quelle guardate come a dire “ma che scendi a fare se non hai niente da dire?”. 

Ho già lui che mi stressa, non vi ci mettete pure voi.

Antonio Antonucci


Se dobbiamo fare una sorta di analisi del testo non possiamo non dire che è un MATTONE… è complesso non solo nei termini, ma anche nel farsi seguire come narrazione! Almeno per me!!

Anzi, se penso alla spiegazione del Dott. Cajani che ci accompagnava nel racconto, allora dico che è normale che oggi la gente preferisce ascoltare i libri anziché leggerli.

Ci sono diverse analogie con il personaggio di Raskol’nikov che si possono evidenziare; in più credo che un titolo e una storia così, abbiano motivato a  riflettere molti di noi del gruppo “interno”.

In primis è il DELITTO, la privazione della vita, il sentirsi letteralmente superiore all’altro, tanto da poterne decidere il destino, quindi certamente in linea con la maggior parte di noi, che abbiamo fatto parte di associazioni di stampo mafioso. Stavamo attenti a restare impuniti, proprio come Raskol’nikov con il suo delitto perfetto. Peccato però che poi non sia andata così!

Poi altre riflessioni più personali, per esempio il personaggio del giudice istruttore che mi ha fatto ripensare al mio P.M. ai tempi del “minorile”, il quale per aiutarmi mi faceva prendere il minimo della pena, addirittura facendo derubricare reati, diventando quasi difensore e non più accusatore. Il giudice istruttore capisce la colpa di Raskol’nikov, ma comunque non lo arresta subito, anzi cerca di fargli ammettere le proprie responsabilità. Questo avviene anche grazie al sentimento che nasce tra il protagonista e Sonia, una prostituta (costretta a farlo per sfamare la famiglia), che per amore lo costringe a guardarsi dentro.

Anche qui vedo un’analogia in quanto il primo accenno di cambiamento l’ho avuto quando la madre di mio figlio è entrata nella mia vita ricoprendo un ruolo importante, appunto come Sonia nel romanzo di Dostoevskij.

La figura dell’uomo “superiore” al quale tutto è lecito , tutto è permesso, ma anche la stessa convinzione di uscire dalla miseria; è vero, l’usuraia è una donna perfida che sfrutta la disperazione altrui, ma la sorella è stata uccisa, nonostante non avesse niente a che vedere con queste cose. Una “vittima collaterale”, come le tante che hanno prodotto una parte di noi che siamo seduti a questo tavolo.

Volevo dire qualcosa anche sugli oggetti portati dal Dott. Cajani, ma adesso non me ne viene in mente nemmeno uno.

Ultimamente ho problemi di memoria, oltre ad avere i “pensieri confusi, a guerr n’cap”, però l’ultima analogia la voglio scrivere, perché riguarda il Professor Aparo. Secondo me, può essere associato alla figura della prostituta… vi prego dall’astenervi nel fare sorrisini e battute fuori luogo. Può anche essere associato alla figura del giudice. Entrambi questi personaggi entrano in relazione con l’aspetto psicologico del protagonista, inducendolo, in modi diversi, al confronto con se stesso.

Antonio Antonucci

Delitto e Castigo

La voce del masso

Il mito di Sisifo nasce da un’idea del nostro coordinatore, il dottor Aparo, il quale ha messo in evidenza l’intreccio tra la nostra rappresentazione del mito e le vicende personali di noi detenuti del gruppo della Trasgressione.

Sisifo, re di Corinto, pressato dal suo popolo che è rimasto senza il bene prezioso dell’acqua (anche a causa di una serie di sprechi), chiede aiuto al dio delle acque fluviali, Asopo. Quest’ultimo, inizialmente, non ha alcuna considerazione per il re e, dall’alto della sua superiorità, rifiuta anche il mero contatto fisico.

Ma Asopo si troverà costretto, suo malgrado, a sottostare alla richiesta del re di Corinto, essendo Sisifo l’unico che può fornirgli informazioni su sua figlia Egina. La ragazza, infatti, dopo un brutto scontro col padre, era scappata di casa, arrabbiata contro Asopo, che si disinteressa del suo lavoro e ha verso la figlia un atteggiamento autoritario e superficiale, senza rendersi conto che quei comportamenti hanno azzerato la sua credibilità e la fiducia di Egina nei suoi confronti.

La ragazza, in preda a un distruttivo sentimento di rivalsa e di contestazione nei confronti del padre, vada per il bosco di Corinto, dove viene avvicinata da Giove, re dell’Olimpo, che la invita a partecipare ad uno dei tanti “festini” organizzati apposta per soddisfare la sua smania di potere.

Sisifo, venuto a conoscenza di ciò, sfrutta la cosa a suo vantaggio, mettendo però in atto la stessa arroganza, la stessa sete di potere che aveva a sua volta subito. Nonostante abbia già ottenuto da Asopo acqua in abbondanza in cambio delle informazioini sulla figlia, Sisifo umilia il dio dell’acqua, costringendolo a inginocchiarsi e riservandogli lo stesso trattamento che egli aveva subito fino a poco prima.

Tutto ciò, non può essere accettato da Giove, il quale non accetta che un comune mortale metta in atto tali comportamenti. Il re dell’Olimpo chiama il fratello Ade e gli ordina di mandare il Dio della morte a catturare Sisifo per farlo giustiziare.

Sisifo però riesce a farsi beffe anche di Thanatos, che, in preda ad una crisi di coscienza, non vuole più accettare il ruolo di killer. Sisifo ne approfitta, lo ubriaca, lo lega e fugge.

Giove, di fronte a questo ennesimo oltraggio alla autorità degli dei, condanna Sisifo, non più alla morte, bensì alla vita eterna, imponendogli come punizione che egli spinga perennemente un grande masso su per una montagna per il resto della sua esistenza.

Lo sforzo è immane, ma con il tempo Sisifo si renderà conto che quel masso non è altro che la sua coscienza non ascoltata, la quale adesso si manifesta con insistenza. Sisifo capisce che mentre ascolta il masso e ne intende le ragioni il suo fardello diventa meno opprimente.

L’arroganza di Sisifo, mi fa pensare alla stessa arroganza che ha condizionato la mia vita “esterna”:  il sottrarmi volontariamente alle regole e il delirio di onnipotenza mi hanno fatto sentire in diritto di decidere anche della vita delle persone con una evidente inumanità.

Grazie al gruppo della trasgressione, oggi ho una discreta capacità di analisi che mi permette di avere una revisione critica nei riguardi dei comportamenti scellerati da me adottati anche dopo il mio arresto.

Fortunatamente per me, ma anche per la società che tanto ho contribuito a degradare, il masso ha iniziato a farsi sentire.

Antonio Antonucci

Il mito di Sisifo

La lettera di Vito sul TG5

Mi chiamo Antonio Antonucci e frequento il Gruppo della Trasgressione di Opera da un anno e mezzo. Avevamo letto la lettera di Vito Cosco alla riunione del mercoledì precedente, ma non ho partecipato all’incontro dei detenuti del gruppo con i familiari dello scorso 5 giugno in teatro perché ricoverato in ospedale per un piccolo intervento chirurgico.

Mentre aspettavo la mini porzione di pranzo sento leggere al TG parti della lettera… rimango colpito e, anche se riconosco le parole, vivo la sensazione di ascoltare qualcosa di molto diverso da quello che avevo sentito la settimana prima. Quello che alla riunione del gruppo in carcere era stata per me e per il resto del gruppo, componenti esterni compresi, una lettera molto coinvolgente e sulla quale ognuno di noi aveva espresso il suo pensiero, nel servizio che ho ascoltato al TG5 aveva il tono di uno scoop, con notizie sensazionali e contrasti fra familiari.

Tra l’altro, nel servizio, non ho sentito nulla di quello che il dott. Aparo, responsabile del nostro gruppo, aveva scritto in accompagnamento al testo di Vito su Voci dal Ponte e che, per noi che facciamo questo difficile percorso, non è meno importante di quello che ha scritto il nostro compagno.

Per me e per gli altri del gruppo, la responsabilità di Vito è chiara. Non voglio giustificarlo e non giustifico me che, come lui, sono ergastolano per avere commesso un omicidio. Voglio però dire che Vito con quello scritto non voleva offendere nessuno, non voleva riacutizzare il dolore dei familiari della vittima e non voleva chiedere sconti sulla pena. Chi conosce come funziona la Legge sa che quello scritto non può portare a nessuno sconto. In definitiva, Vito non ha fatto altro che ammettere di essere stato una persona spregevole, come d’altra parte lo sono stato io stesso.

Dalla sua lettera e dalle parole che ha detto al tavolo durante la discussione, si capisce soprattutto che lui oggi accetta di essere giudicato e che spera di potere avere con i suoi figli un rapporto più aperto. Tra l’altro, ho saputo da chi era presente all’incontro con i familiari che Vito Cosco ha ripetuto davanti al figlio quello che aveva detto al gruppo la settimana prima, un figlio di 13 anni, anche lui come il mio, vittima del reato del padre.

Tutto questo non toglie nulla alle sue responsabilità per quanto accaduto in passato, ma d’altra parte, nessuno ha cercato di toglierli dalle spalle il fardello che si deve portare lui, come tutti gli altri che siamo in condizioni simili o peggiori delle sue.

In base alla mia esperienza (non ho ancora compiuto 44 anni e ne ho passato oltre la metà dietro le sbarre), posso affermare che, in generale, in carcere e più facile peggiorare che migliorare. Il carcere, non è una novità, è una buona fucina per micro e per macro criminalità. Senza volere togliere niente gli altri corsi che ho frequentato durante le mie precedenti carcerazioni, mi sento di dire che, se alla mia prima carcerazione fossi stato indirizzato verso un gruppo come quello della trasgressione, non posso essere sicuro che non sarei mai più finito in carcere, ma escludo che ci sarei tornato per i reati associativi che mi hanno portato ad avere un “fine pena mai”.

Antonio Antonucci e Angelo Aparo

Antonio Antonucci

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