Sulla Tossicodipendenza

Bollate, 11/02/2016 – Verbale dell’incontroManuela Matrascia

La riflessione sulla tossicodipendenza prende avvio da una domanda: La tossicodipendenza è una malattia? Sicuramente la questione è complessa: nella tossicodipendenza vi è un incrocio tra libertà e schiavitù, fra libera scelta e bisogno dell’organismo indotto dall’assuefazione. Il modo di interagire con il tossicodipendente cambia in base a come si intende la cosa: per la malattia, la risposta prevista è la cura; per la libera scelta, no.

Questo tema è stato discusso all’incontro del Gruppo a Bollate, dove i detenuti hanno cercato di rispondere a tre precise domande:

  • Cos’è la tossicodipendenza?
  • Qual è la risposta opportuna alla tossicodipendenza?
  • I reati connessi alla malattia vanno considerati parte integrante della malattia?

Di seguito, una parte delle risposte della giornata alle domande formulate dal dott. Aparo.

 “E’ importante riconoscere la malattia e intraprendere un percorso, essendone convinti e facendolo per se stessi. La tossicodipendenza è un problema al quale vanno date delle risposte; ma queste risposte non sono le stesse che si danno a una comune malattia (i farmaci); la tossicodipendenza va curata con esperienze positive e obiettivi.”

“La tossicodipendenza è una malattia a livello mentale. Perché provo piacere”

Dott. Aparo: riteniamo che fare uso di droghe sia una scelta,  un’espressione della nostra libera volontà o il risultato di una malattia che riduce i nostri margini di scelta? O riteniamo si tratti di una condizione alla quale non ci si può sottrarre e nella quale i nostri margini di scelta sono azzerati? Il tossicodipendente è un individuo che ha perso la propria libertà o è una persona che ha la facoltà di guidare la propria vita?

“La tossicodipendenza è un disagio mentale che nasce in determinate situazioni. Si può intervenire stimolando il cervello di una persona”

“La tossicodipendenza è una malattia SCELTA dalla persona, si può curare con la volontà!”

“Dire che siamo malati è brutto, quindi diciamo che è una scelta, ma in questo modo non riusciamo nemmeno a riconoscere la necessità della cura”

“Quando ho chiesto aiuto in galera mi sono sentito libero, perché la droga ti svuota, ti senti vuoto dentro”

“La tossicodipendenza non ti lascia uguale a come eri, ti svuota e ti toglie sempre più le risorse; quindi l’intervento da effettuare è sempre più importante”

“Le persone iniziano a drogarsi perché hanno un vuoto dentro, ma considerarla una malattia vorrebbe dire potermi arrogare dei diritti per il fatto di essere malato, la userei come scusante”

Aparo: si è parlato dell’importanza di nutrirsi di altro, di trovare dell’altro che riesca ad appagare il soggetto più della droga, ma è stato anche osservato che occupare il tempo per scacciare il pensiero non basta…

“Lavoravo dodici ore al giorno ma pensavo solo alla droga, è necessario scavare dentro se stessi e scoprire nuove parti di sé.”

“Non accettiamo la parola “tossico” e quindi non riconosciamo la malattia, quando riconosci di essere tossico, capisci che è una malattia. Quando sei tossico non vedi più la luce, quindi per garantirti la droga o vai a rubare o ti prostituisci. Poi cresci, arrivi in carcere, ma ancora non lo accetti e non ti fai aiutare. Con la maturità e quando riconosci la tua condizione, incontri le persone giuste che ti indirizzano a non vergognarti. Se scelgo di farlo per qualcuno non funziona, funziona quando inizi a farlo per te stesso”

Aparo: che ci voglia la volontà del soggetto è sicuro, ma basta la volontà? In ogni caso, malattia o no, i reati che si commettono per provvedere alla dipendenza, li consideriamo parte integrante della malattia?

“Per fabbisogno, per riempire la mancanza, se non hai sostegno economico, devi trovare i soldi delinquendo, spacciando, così hai anche la droga per te.”

“Ci sono dei miei amici che rapinano senza drogarsi, è malattia o no? Rubano anche quando non hanno esigenze di soldi.”

Aparo: comunque s’intenda la questione, sappiamo che la dipendenza genera una mancanza alla quale il soggetto cerca di provvedere con la sostanza. Ma quali sono i confini di questa mancanza o di questa malattia? E inoltre, in un progetto terapeutico, che ruolo ci sembra possa avere la persona portatrice di questa mancanza? Che ruolo diamo a chi risponde alla sua mancanza con delle azioni che ledono gli altri e portano in galera? Che ruolo diamo al malato per tirarlo fuori da questa malattia?

“E’ l’influenza di chi è più grande di te”, “E’ il vuoto che provi dentro”, “E’ che sei arrabbiato”.

“Ma lei, dott. Aparo, cosa ne pensa?”

Aparo: per il momento, preferisco lasciare a voi e porre a me stesso una serie di domande:

  • Acquisito che il reato con cui si cerca di procurarsi ciò che manca è un danno per il soggetto e per la collettività, quali strumenti ho per rispondere a questo danno?
  • E quale ruolo dovrebbe avere il tossicodipendente nella risoluzione del problema?
  • Se, come diverse persone hanno detto, è necessario che il soggetto abbia un alleato, come deve essere questo alleato?
  • Come deve essere quest’alleanza, questa relazione fra alleati? Perché l’alleanza fallisce così spesso?
  • E’ utile per il tossicodipendente essere considerato una persona che ruba non perché ha deciso di farlo ma perché costretto da una mancanza? Dobbiamo considerarlo il burattino della sua mancanza? Un burattino pilotato da una mancanza che però ha preso corpo quando non si era ancora burattini e magari ci si sentiva o si sperava di diventare burattinai
  • Fra burattini vinti e burattinai di cui si sono perse le tracce, con chi dobbiamo provare a formulare un’alleanza utile? A chi chiederlo se non a voi che conoscete sia l’uno che l’altro?

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Una giornata con Sisifo

Una giornata con Sisifo, Alberto Marcheselli

Mi sono assunto l’impegno di raccontare l’incontro avvenuto tra gli studenti di una scuola media di Buccinasco e il Gruppo della Trasgressione, incontro durante il quale i membri del gruppo hanno inscenato il Mito di Sisifo.

Il Mito, io credo, è un modo per rappresentare i vizi dell’uomo, le sue debolezze e i suoi difetti. Metterli in scena è uno strumento attraverso cui la tragedia da sempre svolge il compito di esorcizzare e di metabolizzare le carenze e la caducità dell’umana condizione, un rito che consente all’uomo di interrogarsi sull’uomo. Fino a qui, tutto difficile ma nulla di rivoluzionario.

L’insolito è mettere in scena il Mito con attori che non sono attori e che di miti greci ci capiscono assai poco (o niente) davanti a un pubblico di studenti, che poi sono poco più di ragazzini e che di miti greci ne sanno poco di più. Farlo, poi, senza copione, affidandosi all’istinto, all’intuito, al vissuto, è rasentare l’incoscienza.

Ma l’effetto è stato incredibile (lo è ogni volta). Gli attori o meglio i non attori hanno portato sul palco pezzi di vita, scorci del loro passato, sguardi sul futuro con la conseguenza che anche questa volta è avvenuto l’incontro tra due mondi, il confronto tra esperienze agli antipodi su un terreno fatto di comprensione e di attenzione, con momenti in cui Sisifo/Ivano si diverte e diverte come un giullare, trovando a ogni svolta della vicenda nuovi spunti, con un’originalità e una genialità che sembra quasi abbia studiato tutta la vita, alternati alla fatica di Nicola e a quella di Rosario che fanno i consiglieri e diventano rossi davanti ai ragazzini.

Un turbinare di emozioni, che si succedono e s’intrecciano, un’atmosfera gestibile solo attraverso una profonda conoscenza dell’uomo. Non ho ancora ben capito come il dott. Aparo riesca a “liberare” le persone, a far sì che si mostrino come sono o come vorrebbero essere.

Nel dibattito subito dopo la rappresentazione, il detenuto diventa padre, lo studente figlio; il figlio/studente diventa rimpianto per il passato e spunto per il futuro; e poi la guida, l’insegnante, le assenze e le lacrime (qualche volta). Un amalgama di passioni, quella della guida, quella del dottore e la dedizione di qualcuno di noi (detenuti).

Insomma, c’è una domanda che spesso viene fatta al Gruppo della Trasgressione e cioè “cosa facciamo al gruppo? Lo so, lo vedo, lo sento, lo vivo: creiamo pensiero, costruiamo passione!

Qualche gruppo fa il dott. Aparo “ha fatto un pezzo” (così io l’ho sentito) di estremo valore su come i colori della mente diventino pensieri e poi prendano forma attraverso le parole e su come le parole possono essere usate per liberare o imprigionare gli uomini. Un grande potere quello delle parole!

Ecco io credo che tutte le volte che ci confrontiamo, tra di noi e con i ragazzi delle scuole, trasformiamo i nostri colori in pensieri, diamo alle nostre parole il potere di renderci liberi. Questo riusciamo a farlo perché il dottore ha messo la sua intelligenza a nostro servizio e per questo io gli dico grazie e mi ritengo fortunato perché non è facile incontrare qualcuno capace di dare alle parole tanta forza.

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Il divenire della coscienza

Chi commette reati, prima che delinquente, è pazzo. Lo siamo tutti, ma la sua pazzia è aggravata dal fatto che, per abusare del suo potere sugli altri, il delinquente va dritto, dà per certo di essere in credito con la vita; la sua vittima è solo una piccola, trascurabile parte del mondo che non gli ha dato il dovuto.

Per chi vive fra reati e droga al vertice della gerarchia non c’è l’autorità, ma il Potere. A questo si aggiunge che per loro nessuna autorità è credibile, non è compito loro contribuire al benessere sociale, elaborare strategie o regole per farlo andare avanti.

L’abuso di potere dei pazzi che non vanno in carcere, invece, arriva sempre accompagnato da ragionamenti più o meno sbilenchi, qualche volta persino in buona fede. In fondo, ogni rapinatore, spacciatore o dirigente a un milione di euro l’anno, a modo proprio, condisce di arzigogolate giustificazioni i propri abusi nel mondo.

Al Gruppo della Trasgressione si cerca di far luce sul rapporto fra gli abusi subiti e quelli praticati e sui sentimenti che ne discendono. Via via che se ne prende coscienza, diminuisce la possibilità di commettere reati senza nemmeno farci caso.

Ma la coscienza di sé e dei propri grumi non la si impara come si fa con i teoremi; essa cresce piuttosto via via che ci si riconosce nell’altro. Per questo, a un certo punto, sono stati costituiti il gruppo esterno, l’associazione e la cooperativa Trasgressione.net.

I detenuti allievi di questo corso con la Croce Rossa sono figli e interpreti di questa coscienza in divenire ed è in nome di questo divenire che abbiamo chiesto alla Croce Rossa la sua alleanza, in quanto organizzazione dove competenza e autorità sono chiaramente riconoscibili come forza al servizio degli altri.

(Testo per la presentazione del Corso della Croce Rossa)

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L’aiuto

L’aiuto, Simone Testa

Ho aiutato a vendere droga, ho aiutato prestando soldi e facendomene dare il doppio, ho aiutato a distruggere i sogni di tante persone, che grazie alla droga si sono rovinate. Intanto che mi costruivo la strada per venire in carcere, ho distrutto per i miei figli il sogno di ogni bambino, quello di crescere vicino a entrambi i genitori.

Oggi con il giusto aiuto e con il desiderio di cambiare vita, sono arrivato ad avere un’importante opportunità di riscatto, quella di aiutare nel vero senso della parola. Spero di cuore che io possa rientrare in questo progetto della C.R.I.

Da molto tempo la mia paura più grande è quella che mio figlio possa imitarmi ripercorrendo i miei passi. Questo progetto sarebbe la giusta medicina per far capire a mio figlio che, nonostante gli errori che ho commesso, oggi sto ricostruendo la mia strada nella maniera giusta. Spero che, se vuole emularmi, cominci a farlo da oggi, che sto imparando come e chi aiutare.

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Tossicodipendenza: quale malattia?

Che la tossicodipendenza sia una scelta potrei anche escluderlo.

C’è un sistema sanitario che la considera e tratta quale malattia e un sistema giudiziario che fa lo stesso, anche intersecandosi con il primo e molto più di quanto non accada per altre malattie. Ad esempio, si ritiene opportuno e si legittima (in almeno due leggi) un trattamento extramurario, spesso come priorità rispetto alla custodialità per colpevolezza. Questo non accade con altre malattie (al più trattate nei centri clinici o infermerie degli istituti). Perché???

Sempre nel sistema giudiziario (mi aiuta tenerlo come riferimento) la tossicodipendenza è riconosciuta come malattia, ma non di quelle che incidono sulla capacità di intendere e volere (per le quali c’è l’opg o l’impunibilità), nemmeno parzialmente. Il tossicodipendente è imputabile e dunque responsabile.

Allora se il tossicodipendente è malato ma imputabile, cioè la sua malattia è incistata in qualcosa e può avere quale conseguenza anche i reati, questi si scelgono. Questi non sono parte della malattia, nemmeno sono sintomi. Il tossicodipendente, anche se delinquente, non ha la malattia di commettere i reati e non è quella che si cura.

Se la tossicodipendenza è malattia allora non si sceglie di averla, tuttavia si  possono scegliere stili di vita e/o abitudini e consuetudini che sono agenti favorenti la tossicodipendenza. Ma questo è vero anche per l’infarto, il cancro, le malattie respiratorie ecc. ecc. Però se la tossicodipendenza non incide sulla capacità di intendere e volere allora si può curare e si può scegliere di curarla. Nemmeno altre malattie si scelgono, ma si curano. O forse la differenza sta proprio in questo? Nella possibilità di volere la cura? Di rinunciare alla sostanza? La tossicodipendenza  lede la volontà, l’autonomia? Non lede la capacità di intendere, ma lede la capacità di volere? Oppure coglie chi ha un difetto della volontà?

Il pilota della Wizz-air era malato, ma non incapace di intendere e volere (per come è stato premeditato, organizzato, eseguito l’atto credo che lui intendesse e volesse, e difficilmente, seppur malato, sempre secondo me, sarebbe rimasto impunito per vizio di mente). Egli voleva morire e voleva uccidere, il tossicodipendente (non il consumatore, non l’abusatore bensì il dipendente, il malato) vuole drogarsi?

Detto questo, il mio tormento è: che malattia è la tossicodipendenza? Si può definire? Si può concettualizzare con tutti gli elementi del concetto di malattia? E se sì, che definizione ne esce?

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Fra miserie e cose serie

Fra miserie e cose serie, Roberto Cannavò

Se al dolore hai risposto con la negazione
Guardaci dentro, non farne una prigione
Prova a viverlo per la costruzione
Vedrai che rivoluzione…

Il corpo, non è uno scherzo, è intrappolato
Ma il tuo passato non è del tutto frantumato
È la tua storia che va rivisitata
lavora sui cocci e vedrai il risultato…

L’evoluzione è in agguato
Lasciale spazio
E avrai il risultato di chi
Guardando indietro potrà dire:
Erano macerie, erano miserie,
Oggi sono cose serie

Mi è bastata una semplice considerazione
per dare un senso a questa mia condizione…
il detenuto non è un mattone
non è parte delle mura della sua prigione

E allora ripartiamo dalle macerie
per costruire cose serie
in tasca mi porto la semplicità
la moneta della mia rivoluzione

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Croce Rossa, Corso Primo Soccorso

Gli allievi dei due corsi
1° Corso, 29 settembre 2015

  1. Al Waki khaled
  2. Branca Domenico
  3. Capizzi Francesco
  4. Catena Antonio
  5. De Andreis Massimiliano
  6. Inzaghi Patrizia
  7. Leoni Gualtiero
  8. Liuni Giuseppe
  9. Marcheselli Alberto
  10. Messa Alessandra
  11. Moccia Ivano
  12. Ounnas Mohamed
  13. Petrillo Nicola
  14. Rambaldini Massimiliano
  15. Sannino Adriano
  16. Sorge Paolo
  17. Tango Antonio
  18. Tricomi Gabriele
2° Corso, 18 marzo 2016

  1. Monetti Maria
  2. Ottaviani Noemi
  3. Ristori Gemma
  4. Bottan Sergio
  5. Moscatiello Massimo
  6. Ricatti Francesco
  7. Migliore Giuseppe
  8. Crisafulli Alessandro
  9. Cascino Salvatore
  10. Cannavò Roberto
  11. Squillaci Franco
  12. Testa Simone

 

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La ninna nanna e le mazzate

In previsione degli incontri e della collaborazione su “La ninna nanna e le mazzate”, si richiede di leggere i due dialoghi: “La rotta del peluche” e “Nica” e di rispondere ai seguenti item:

  • Prime evocazioni spontanee per ciascuno dei due dialoghi
  • Tratti distintivi dei quattro personaggi
  • Tratti emergenti della relazione nell’uno e nell’altro caso
  • Confronto fra i due dialoghi e individuazione delle analogie e delle differenze fra i due tipi di relazione genitori/figli
  • Quali conflitti vivono i genitori nei due dialoghi
  • A quali atteggiamenti ricorrono per affrontarli
  • Cosa fa venire in mente l’ultimo atto del figlio nell’uno e nell’altro caso
  • Prefigurazione di cosa accadrà negli anni successivi al dialogo nell’uno e nell’altro caso.

Dopo la lettura dei dialoghi, ci si può servire della voce “Lascia un commento” per rispondere alle diverse domande e per aggiungere ulteriori contributi personali.

Non è indispensabile rispondere a tutte le domande, che vogliono essere soltanto un aiuto per ordinare le idee e poterle confrontare con quelle degli altri scout e dei detenuti del gruppo.

Infine, chi ne ha piacere può partecipare all’iniziativa inviando a associazione@trasgressione.net un proprio dialogo che risponda ai requisiti richiesti per la serie “La ninna nanna e le mazzate”:

Un genitore vorrebbe fare addormentare il figlio, ma il bambino o l’adolescente continua a fare domande perché teme che, se si addormenterà, il padre o la madre andranno via. Le domande possono essere di qualsiasi genere. Ciò che non cambia è che, di fronte alle domande sempre più pressanti del figlio, le risposte del genitore diventano sempre più evasive, fino a quando, in uno scatto d’ira, il genitore esasperato addormenta il figlio con una scarpata in testa.

Chi lo desidera può chiedere di essere accreditato come collaboratore di Voci dal ponte e inserire direttamente sul sito il proprio racconto.

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Sulla tossicodipendenza

Bollate, 11/02/2016 – Verbale dell’incontroNuccia Pessina

Il dibattito si è snodato a partire da una prima domanda e da alcune riflessioni a margine di questa: la tossicodipendenza è una malattia o una scelta? E’ importante rispondere perché un elemento, una situazione, un problema, a seconda di come viene definito, induce differenti reazioni. Secondo alcuni dei presenti, la tossicodipendenza può avviarsi e/o consolidarsi come una libera scelta; per altri inizia come scelta e diventa successivamente una malattia. Come si vede, la relazione tra scelta e malattia non è lineare; al convegno in programma è perciò opportuno che le esperienze di ognuno vengano ben documentate e comunicate dopo un’adeguata riflessione.

Massimiliano: Mi drogo da quando avevo 15 anni. Non so dire se è una malattia, ma so che, come il diabete, dovrò curarla per tutta la vita. Ma per me non ci sono pastiglie, ho bisogno di progetti, di cose intelligenti da fare, di cose e persone in cui credere. Sono 8 anni che non mi drogo, da quando ho ammesso di avere bisogno di aiuto e ho accettato di riceverlo; per la prima volta in vita mia, pur se in galera, paradossalmente, mi sono sentito libero.

Alessandro: Più che malattia, la chiamerei dipendenza.

Luciano: Penso che la prevenzione possa funzionare e debba essere stimolata.

Gianni: E’ una malattia che uno decide di prendere.

Dott. A: Malattia, disagio, libera scelta? Ogni diversa definizione dà luogo a risposte diverse; e questo vale per i diretti interessati, per le persone con cui i tossicodipendenti hanno relazioni, per le autorità legali e sanitarie.

Maurizio: Diciamo di aver fatto una “scelta” perché in realtà “malattia” è un termine che non ci piace.

Diego: Trovare qualcosa che ti dà piacere come te lo dava la droga è la risposta, ma non è così facile che questo accada.

Massimiliano: La droga ti svuota. Più ti droghi e più ti svuoti. Devi nutrirti di altro, ma ti ci vuole uno stimolo, un aiuto.

Massimo: Non riesco e non voglio considerarla una malattia, perché ciò potrebbe indurre ad adagiarsi nella cosa. Comunque, la droga ti svuota, ma spesso quando cominci è per riempire un vuoto che c’è già.

Gaetano: Per me è una malattia. Noi non accettiamo la parola “tossico”. Se non la accetti, non accetti di essere malato e dunque non ti curi. Ho cominciato a 15 anni, con la “maturità” dei 15 anni. E a 15 anni rifiuti l’aiuto, vivi solo per quello e ti svuoti. Poi maturi e “scegli” di uscirne, ma devi sceglierlo tu, devi sceglierlo per te.

Giuseppe A: Fare cose non basta per distrarsi dalla droga. Bisogna avere stimoli diversi.

Franco: La vera medicina per uscire dalla droga è avere un diverso nutrimento.

Roberto Dambra: Mi sono drogato a fasi alterne. Pulito dal 1996 al 2004. Vero che gli obblighi imposti dalla mia situazione (analisi presso il SERT e via dicendo) mi hanno aiutato, ma sono stato pulito per circa 4 anni dopo la fine degli obblighi. Poi ci sono ricascato. Perché? Non lo so.

Dott. A: Quali sono i confini della tossicodipendenza? Le azioni da essa indotte come il furto, la rapina, come vanno considerati? Sono parte della malattia?

Gianni: Un drogato è offuscato. Serve la mano di qualcuno e la propria volontà. Se commetti una rapina mentre sei in crisi di astinenza, è una conseguenza della malattia.

Maurizio: O rubi e poi ti droghi perché fa parte dello stile di vita delinquenziale o ti droghi e poi rubi per sopperire alla mancanza di soldi.

Gaetano: A proposito di ludopatia, molti reati sono commessi da persone tra i 50 e i 60 anni. Se sei malato, anche le azioni compiute sono conseguenza della malattia.

Massimiliano: Ho fatto furti anche quando non avevo necessità di drogarmi. E allora?

Esposito G: Mio figlio è drogato da quando aveva 13 anni. Io non ho mai toccato sostanze. La malattia è il vostro cervello. La fascinazione che provate per la droga è frutto del vostro cervello malato.

Alessandro: Anche mio padre ragiona come Giuseppe. Se io lavorassi, avessi una bella moglie, un figlio, alla sera, stanco per il lavoro della giornata, potrei anche farmi una canna. Che male c’è?

Gianni: Ma lei Dott. A che ne pensa?

Dottor A.: Ho cominciato a scrivere ciò che penso su “Voci dal ponte”, vi aggiungeremo quel che direte voi, cercando di ottenere un quadro progressivamente più organico delle nostre considerazioni sul tema.

Luciano: (per bocca di Tango) Qualcuno forse si droga perché fin da piccolo vede gente drogarsi.

Gianni: Il dottore non ha risposto!

Dott. Aparo: Credo sia opportuno considerare il tossicodipendente una persona che sceglie la malattia. Ma quali sono i confini della tossicodipendenza? Dal momento che la tossicodipendenza comporta un danno per la persona e per la società quali sono le reazioni appropriate a questo danno? Esiste un’alleanza che il tossicodipendente possa considerare valida e nei confronti della quale possa ritenersi ed essere ritenuto responsabile? E se l’alleanza fallisce e il danno ricomincia, cosa facciamo? Il tossicodipendente va considerato l’autore del furto o un burattino guidato dalla tossicodipendenza? Qual è l’atteggiamento più produttivo da parte dello psicologo? Nelle mie aspirazioni, io vorrei essere l’alleato di un burattinaio dimenticato che prova a restituire al burattino la libertà che gli ha tolto.

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Non ci basta!

Non ci basta è un libro on line sulla tossicodipendenza, la cui architettura è costituita soprattutto da:

  • le osservazioni, le curiosità, le domande dei componenti del gruppo che partecipano all’indagine sulla tossicodipendenza;
  • il riassunto e la storia delle teorie più diffuse e delle prassi terapeutiche più accreditate sulla tossicodipendenza;
  • le affermazioni che non li convincono;
  • i punti di contatto fra quanto si dice sulla tossicodipendenza, le dipendenze adiacenti (alcol, gioco) e i vizi meno dichiaratamente patologici  delle persone comuni;
  • le risposte che gli studenti mettono insieme consultando quanto è stato già scritto sulla materia;
  • i punti che rimangono comunque insoluti.

Il libro dovrebbe essere “fotografato” con scadenze periodiche, così da permettere agli studenti di riconoscere facilmente quanto, a fine corso, sarà cresciuta la loro competenza sulla materia.

 

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