Una vita senza stelle

Mercoledì scorso, all’evento che si è tenuto presso il teatro di questo istituto insieme con gli studenti della scuola Clerici di Brugherio, il Dottor Aparo ci ha invitati a reagire ad una frase: “L’infinito senza stelle”.

A primo acchito ho risposto: “Senza stelle? Non ci sarebbe vita!”.

Mi è venuto in mente una frase che ho letto giorni fa: “Per aspera ad astra”, ovvero, attraverso le asperità si arriva alle stelle. Rispondere in poche righe a cosa può voler dire “Un infinito senza stelle” sicuramente non è facile. Credo che la frase voglia dire che qualsiasi conquista è raggiungibile solo al prezzo di grandi sacrifici e molte difficoltà.

Sono stati tanti, nei vari secoli, gli scrittori, i filosofi, i poeti che hanno raggiunto le stelle attraverso i loro sacrifici.

Giacomo Leopardi, con la sua immensa opera “L’infinito”, ha tirato fuori una situazione in cui la possibilità visiva di guardare fino all’estremo orizzonte è impedito da un ostacolo: la siepe. È proprio la siepe ad attivare l’immaginazione del poeta che in un primo momento si raffigura mentalmente l’immensità dell’infinito.

I primi navigatori dell’antichità seguivano la rotta attraverso le stelle per navigare. Poi, quante volte abbiamo detto “Sei bella come una stella”, oppure “Gli amici veri sono come le stelle, non sempre si vedono ma sappiamo che esistono”, o ancora “Sei nato sotto una buona o una cattiva stella”, “Portare alle stelle qualcuno”, “Salire alle stelle”.

Io rapporto “l’infinito senza stelle” con lo stile di vita che ho condotto in questi lunghi anni; senza scendere nei particolari, direi che oggi, anche se privato della libertà di spazio, gli impedimenti soprattutto affettivi mi hanno condotto a un’analisi che mi ha liberato dalla schiavitù dell’arroganza.

Avevo già una vita che mi regalava tante ricchezze ma forse quelle che avevo le davo per scontato e non le apprezzavo abbastanza. Forse per bisogno di un’affermazione più gratificante, forse per spirito di ribellione verso quel contesto sociale che mi stava stretto, forse per il fascino di quel male che spesso si presenta nelle vesti di bene, o forse per tutti questi motivi messi insieme, ho cercato una vita differente.

L’altra metà l’ho passata rinchiuso in carcere, pagando le conseguenze delle mie azioni devianti. Oggi posso dire che, attraverso le asperità, ho raggiunto le stelle perché penso che, nel mio caso, i cambiamenti più significativi sono avvenuti a seguito di riflessioni e analisi personali, anche se ovviamente stimolate dal contesto detentivo e dal tavolo del Gruppo della Trasgressione, che mi ha permesso fare nuove conoscenze, di maturare nuove consapevolezze e di scoprirmi capace di emozionarmi.

Dopo tanti anni rinchiuso in un piccolo spazio che farebbe impazzire chiunque, dopo avere smesso di dare un senso al tempo che scorre, ecco che qualcosa cambia.

Come diceva Atenodoro: “Se tornerai agli studi, sfuggirai a qualsiasi sensazione tormentosa di stanchezza e di disinteresse nei confronti della vita propria e altrui; e non aspetterai la notte perché il giorno ti annoia, né ti sentirai di peso a te stesso e inutile agli altri, molte persone ti diverranno amiche e saranno i migliori a venire da te”.

Mentre Curio Dentato diceva con grande verità che preferiva essere morto piuttosto che vivere da morto: “Il peggiore dei mali è uscire dal rango dei viventi prima di morire”.

Per me, il peggiore dei mali sarebbe uscire da questo mondo che ho riscoperto, fatto di passione, di serenità, di semplicità, di intensità, di apprezzamento, come quello che mi sta regalando la Trasgressione con i vari progetti che abbiamo realizzato e stiamo realizzando; come quella stupenda esperienza che ho vissuto di recente al salone tirocini dell’Università Bicocca di Milano, insieme alle bravissime Carlotta e Anita.

È stata una giornata per me di emozione e di commozione: essere stato partecipe e protagonista in rappresentanza del Gruppo della Trasgressione e spiegare ai futuri tirocinanti, laureati, post-laureati che cosa fa il gruppo per il recupero dei detenuti è stata una sensazione incredibilmente bella perché mi avete permesso di essere una persona normale, malgrado il mio tragico passato criminale.

Come non parlare poi della partecipazione all’evento della Fabbrica del Vapore, che mi ha consentito di visitare il Cimitero Monumentale che sembra un museo a cielo aperto, con tutti i suoi sepolcri scolpiti da mani di sapienti artisti. Mi hanno fatto emozionare per le loro opere. Che sensazione!

Quanti pensieri in quel momento mi hanno invaso la mente! Pensavo alle persone che per causa mia non ci sono più, ai miei genitori, a tutte le persone che soffrono per me. Provavo tanta tristezza, tanto dolore, tanta vergogna.

Spero che attraverso questa mia consapevolezza di oggi, io possa lenire il dolore di ognuno di loro e dei loro famigliari.

Pasquale Trubia

L’infinito senza stelle

Un padre e un figlio

Purtroppo, nel mio lontano passato, tra tutte le nefandezze che ho fatto, ho trovato pure il tempo e l’egoismo di mettere al mondo un bambino che, quando è nato, oramai io ero in carcere da quattro mesi. La prima volta che l’ho visto aveva tre mesi: mia moglie l’ha portato presso l’aula bunker di Firenze, dove stavo facendo uno dei miei tanti processi. Mi ricordo che i carabinieri che ci scortavano all’aula bunker mi avevano concesso di prenderlo in braccio dentro la gabbia, ma io mi sono rifiutato perché non volevo vedere mio figlio dentro quella gabbia. Ho preferito uscire le braccia tra le sbarre e toccargli la tenera testolina.

Da quel momento ho iniziato a vederlo, quando era possibile, nelle varie carceri italiane in cui ero recluso. Nel frattempo, il bambino cresceva e io, da irresponsabile, non capivo cosa potesse realmente servire a quel bambino perché ero preso dai miei malaffari.

Le cose sono cambiate quando il bambino ha iniziato a fare delle domande: mi chiedeva come mai mi trovavo in carcere e se era vero quello che aveva appreso a scuola, ovvero che avevo ucciso delle persone.

Io, che ero cresciuto in un ambiente con la regola di tenere tutto segreto, figuriamoci se potevo parlare con un bambino degli orrori che avevo commesso, così, con l’arroganza e la presunzione di essere suo padre, gli ho risposto che tutto quello che aveva sentito su di me era una menzogna perché c’era tanta gente cattiva che ce l’aveva con me e che, in ogni caso, lui non doveva parlare più di queste cose. Da quel momento, le cose sono sempre peggiorate con mio figlio: tutte le volte che veniva a colloquio era un litigio continuo perché non voleva ascoltare minimamente quello che gli dicevo.

Avrei voluto che qualcuno mi aiutasse a far crescere mio figlio. Nell’inconscio sapevo che io non avevo gli strumenti per farlo come poi ho visto che fa il Gruppo della Trasgressione, che aiuta a prendere coscienza i detenuti che sono disposti a rivedersi.

Un giorno, durante un colloquio l’ho rimproverato perché non era andato a scuola. Mi ha risposto: “Ma tu cosa vuoi da me? Chi sei? Cos’hai fatto per me?”. Quelle parole mi hanno stordito, ma sono servite a farmi chiedere cosa significasse avere un figlio e mi hanno svegliato dal sogno che aveva preso il posto di una realtà che non avevo mai conosciuto. Ho iniziato a chiedermi spesso perché mio figlio fosse così scontroso, presuntuoso, arrabbiato verso tutto quello che lo circondava. Ma forse il motivo di tutti questi comportamenti non era a lui che dovevo chiederlo, bensì a me stesso.

Ho continuato a farmi delle domande, lunghe riflessioni e ricerche introspettive, cercando di recuperare quella parte di me soffocata ma sana, che ho tenuto abissata per tanti anni. Dopo un’attenta valutazione sono arrivato alla conclusione che era meglio raccontargli chi ero stato veramente, pur sapendo che rischiavo di non essere compreso o di produrre un effetto boomerang.

E invece lui mi ha risposto con un grande abbraccio e, piangendo, mi ha detto che era fiero di avere un padre che aveva saputo riconoscere i propri errori e che oggi è diventato capace di vivere quei valori che in passato non sentiva per nulla.

Grazie al rapporto con mio figlio, oggi sono riuscito a capire quali possono essere i miei limiti. Riconosco che fare il padre, nella mia situazione di detenzione, è molto difficile anche perché non ho avuto nessuna esperienza paterna. Solo da una decina d’anni sono riuscito a capire il giusto significato del mio ruolo di padre. Attualmente nei riguardi di mio figlio mi sento effettivamente legato sia come padre sia come un amico sincero su cui lui potrà fare affidamento in qualsiasi momento lo vorrà.

Pasquale Trubia

Genitori e Figli

Un’avventura mai vissuta

Un’avventura mai vissuta
Pasquale Trubia

Non voglio tentare di giustificare il mio passato, ma mi chiedo come sono potuto arrivare a fare quello che oggi non potrei più fare. Non so proprio rispondere. Credo di essermi trovato in una situazione difficile senza gli strumenti per affrontarla e senza riferimenti per non perdermi. Ho cominciato a trasgredire e sono entrato in un tunnel di follia. Ho risposto al male col male, lasciandomi risucchiare in un vortice dove ho perso ogni misura.

Ho anche messo al mondo un figlio che, con me in carcere, è cresciuto da solo, come se non fosse stato già abbastanza avere reso orfani figli di altri padri. Me ne sono disinteressato, non l’ho visto nascere, crescere, diventare uomo.

Genitori e figli. Avrei avuto l’occasione per immergermi in questa meravigliosa avventura, ma per egoismo, superficialità, follia, ho perso la strada. Adesso ho imbroccato quella giusta, ma non ho più le condizioni per fare il padre.

Spero solo che, anche se non sono stato un genitore, oggi mi si possa dare l’opportunità di essere almeno amico di un figlio oramai uomo. Forse un giorno, quando tutto finirà, potrò avere l’esperienza di crescere un nipote e riservare a lui quello che avrei dovuto fare con mio figlio.

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Il Cinque giugno

Egregio direttore, dott. Silvio Di Gregorio,

noi detenuti del gruppo della trasgressione le scriviamo questa missiva per informarla di quello che abbiamo prodotto in queste ultime settimane, tra cui lo scritto di un componente del gruppo e l’evento con i nostri familiari.

Come Lei sa, i componenti del gruppo producono a volte dei testi che vengono letti e commentati nelle riunioni settimanali e poi pubblicati sul sito del gruppo. In questi scritti ognuno può parlare della propria vita e di tutto quello che gli passa per la mente; ovviamente con la serietà che contraddistingue il Gruppo della Trasgressione.

Mercoledì 29 maggio scorso, uno di noi, Cosco Vito, ha portato uno scritto riguardante la sua storia personale, che è stato poi commentato e apprezzato. Lo scritto ha suscitato in noi molte emozioni per la sua drammaticità. Di conseguenza, molti di noi hanno parlato del triste passato personale e della bellezza di sapere oggi che anche noi possiamo avere quella coscienza che avevamo accantonato.

Nell’evento del cinque giugno scorso siamo stati con le nostre famiglie e le abbiamo messe a conoscenza del nostro lavoro, facendoci scoprire delle persone che sanno ammettere le proprie responsabilità e gli errori del passato.

Abbiamo parlato davanti a loro e abbiamo visto i nostri figli e i nostri genitori emozionarsi con noi. Con il risultato che siamo usciti da questo evento molto più ricchi nell’anima e con la speranza di riuscire a coinvolgere più spesso i nostri cari e tutti quelli che vorranno seguirci in questa bellissima avventura.

Per il Gruppo della Trasgressione
Pasquale Trubia e Angelo Aparo

Pasquale Trubia

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