Prigioniero dell’ebbrezza

Prigioniero dell’ebbrezza, Massimo Moscatiello

Ho iniziato a usare sostanze alteranti molto presto. Era un periodo di vuoto e lo colmavo rifugiandomi in miscugli alcolici. Così cominciai a provare l’ebbrezza di superare i limiti imposti dall’autorità, quella che avrebbe dovuto governarmi.

Pian piano iniziai a imprigionarmi in una sensazione di libertà guidata dall’eccitazione. Preso dalla foga del potere e dal bisogno di placare l’astinenza, iniziai a commettere reati. Stordendomi con sensazioni sempre più forti, entrai nel pieno della schiavitù della dipendenza.

Credo di aver cominciato per un senso di appartenenza e per un senso di mancanza che, con l’uso delle droghe e con la sensazione di tenere in mano le vite di chi veniva a comperare da me, riuscivo a zittire. Il bisogno di chi veniva a chiedermi mi esaltava.

Al gruppo ci siamo posti la domanda su quali conflitti si provano durante la tossicodipendenza. Pensandoci, c’è stato solo un periodo in cui mi ero imposto di smettere ma è durato solo 22 giorni perché quella voglia di potere mi rendeva fragile. Per continuare come prima, ho detto a me stesso che non spacciavo solo per me, ma anche per far vivere ai miei familiari una vita più agiata.

Io non concepisco la tossicodipendenza come una malattia; la vivo piuttosto come una prigione mentale e, se non arrivi a colmare il vuoto che hai dentro, quella prigione ti tiene sempre più stretto e fa sì che tu faccia altrettanto con chi viene da te.

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L’eroina, la spada e la stoccata

L’eroina, la spada e la stoccata, Diego Carponi

Mi affaccio per la prima volta a tutti voi per dirvi che mi ha colpito quanto ha detto Veronica in uno degli ultimi incontri e quello che in questo gruppo viene alla luce.

E allora, eccomi. Sono nato in una famiglia dove l’onore e il rispetto venivano inneggiati, ma dove tutto era coperto e non c’era spazio per un sorriso. All’età di nove anni la vita mi ha messo davanti la più grande difficoltà. Mia madre scappa di casa, lasciando nelle mani di mio padre quattro figli, di cui io e mia sorella gemella un po’ più piccoli. Ero lì davanti al televisore a guardare un cartone animato quando lei mi accarezza il viso per l’ultima volta e furtivamente corre verso l’uscita.

E così siamo cresciuti senza una madre. Mio padre, per disperazione, sfoga la sua rabbia contro di noi e per cancellare il vuoto di mia madre comincia a bere uccidendosi giorno dopo giorno. Passano gli anni sotto una dittatura che non finiva mai.

Per quanto riguarda la tossicodipendenza, non do alcuna colpa ai miei genitori, la droga era lontanissima da quello che i miei genitori avevano tentato di insegnarmi. A 14 anni lascio il primo anno di perito industriale e conosco la mia amante, l’eroina. Da lì il carcere minorile da dove esco a 18 anni. Raggiunti i 20 anni, altro carcere e poi altro ancora.

Il poco che ho vissuto fuori da queste sbarre, in realtà era un’altra galera; quello che io credevo di possedere in realtà mi possedeva. In ogni istante della mia vita sono in conflitto con me stesso, non solo per l’eroina, ma per tutto quanto c’è di vivo davanti ai miei occhi.

Vi ringrazio per l’attenzione, sento che qui abbiamo l’opportunità di ascoltarci e di darci una mano l’un l’altro.
La spada non punge solo per far male,
con la giusta stoccata ci si può rinnovare.

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