I racconti degli altri

I racconti degli altri, Maurizio Chianese

Nelle ultime settimane, al gruppo è accaduto che molti racconti di vita personale hanno dato a noi tutti grandi spunti di riflessione. Se Veronica, con il suo racconto, mi ha dato modo di notare quante cose in comune c’erano tra la sua esperienza e la mia tossicodipendenza; il racconto di Matteo mi ha portato a pensare al mio passato e alle mie scelte.

All’inizio Matteo, nel raccontare di sé e della violenza subita per anni, mi ha fatto provare una forte rabbia e non sono stato in grado di dirgli nulla. Tornato in cella, continuavo a pensare a lui, pensavo al coraggio che ha avuto a raccontarci il trauma che ha subito e ho provato ammirazione nel constatare che tutto questo (dolore, rabbia e delusione) non ha preso il sopravvento su di lui e non è riuscito a spingerlo in situazioni pericolose. Anzi, nonostante tutto, è stato in grado di diventare un professore, di fare nella sua vita qualcosa di positivo, di avere una vita normale.

Ho molte domande da fare a Matteo, non sulla sua vita e tanto meno sul suo trauma, ma sugli aiuti e sugli strumenti che lui ha utilizzato per diventare quello che è oggi. Penso che le risposte a queste domande saranno per me molto utili per avere degli spunti costruttivi da utilizzare nel mio percorso.

Poi c’è lo scritto della prof.ssa Nuccia su quanto le parole possano essere dei fiori o delle pietre. Quante volte mi è capitato di sentirmi dire parole che mi hanno ferito, tanto che avrei preferito un pugno per sentire meno dolore; ma ho anche sentito parole da farmi piangere dalla gioia. Grazie al racconto di Nuccia, mi sono anche chiesto perché faccio tanta fatica a parlare al gruppo. Credo che sia dovuto al mio imbarazzo e alla paura di non essere capito. Molte volte sento di voler intervenire nel gruppo e dire la mia, ma non so perché mi blocco, sono sicuro che presto riuscirò a sbloccarmi… comunque ora cerco di scrivere i miei pensieri e poi leggerli al gruppo.

Non ho avuto modo di sentire lo scritto di Massimo, ma dalla discussione che c’è stata ho intuito che il dott. Aparo ha fatto un’altra domanda (cos’è il potere per il tossicodipendente?).

Io penso che per il tossicodipendente il potere è tutto della sostanza; la sostanza mi dominava e mi portava a fare cazzate, quindi io ero il dominato. Per spiegarmi meglio, uso la storia del burattinaio e il burattino: il burattinaio sono io, la sostanza sono i fili (cioè il potere) che fanno muovere il burattino che io divento con l’uso della sostanza. Senza i fili il burattinaio non ha nessun potere sul burattino. Credo che il potere è costringere l’altro a fare qualcosa anche contro la sua volontà, come fa quello che commette rapine.

Anche lo scritto di Diego mi ha emozionato. Siccome non ero arrivato al gruppo in tempo per sentirlo, una sera gli ho chiesto se aveva una copia del suo scritto e lui con molto piacere me lo ha letto. Devo dire che è stato bello sentire come si emozionava a leggerlo anche se eravamo solo io e lui. Sono stato contento che lui, anche se al di fuori del gruppo, ha voluto condividere con me il suo vissuto.

Sono contento di questa esperienza. Ogni volta, grazie ai racconti che si condividono, trovo strumenti utili da utilizzare nel mio percorso.

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Prima e oltre il confine

Prima e oltre il confine, Angelo Aparo

Il buio apre il suo manto al tuo cammino
Ti affida un sogno aperto con cui viaggiare
Ti lascia dentro il filo con cui legare
Le vele, il legno e il fiato per navigare

Prima sarà lo sguardo di chi ti ha chiamato
Le sue colline morbide, nelle sue mani il mondo
Ne inseguirai l’odore per mille sentieri
Voci, inganni e canzoni di oggi e di ieri

Carne tenera, luce chiara
Non ti spegnere, non diventare dura

E poi l’età dei giochi, poi maschere da duro
Per diventare figlio dell’uomo che hai sfidato
Per diradare il buio e conquistare cime
Da cui sposar con gli occhi le valli e alle colline

Occhi a vedere nelle spighe il pane
Occhi a smarrire strade fra i campi e le paludi
Mani dentro le pietre a cercare cattedrali
Mani a vendere polvere e a cancellare mani

Carne tenera, luce chiara
Non ti spegnere, non diventare dura
Quanti nodi tra fiori e spine
Albe ovunque, prima e oltre il confine

Albe curiose e incerte, albe da coltivare
E ancora notti e incubi da masticare
Nella speranza che la luce del mattino
Traghetti i sogni al giorno
Senza far troppo male

Carne tenera, luce chiara
Non ti spegnere, non diventare dura
Quanti nodi tra fiori e spine
Albe ovunque, prima e oltre il confine

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Non ti spegnere!

Non ti spegnere, Isaia Schena

La tossicodipendenza ti porta a vivere una vita non tua, che non ti appartiene, è una malattia che lentamente ti scava dentro e s’impossessa di te, dei tuoi gesti. Un tossico non ammette, non riconosce mai di esserlo; ma combattere contro qualcosa che non riconosci è impossibile.

Si parla soprattutto della dipendenza fisica, ma per me è stato il risvolto psicologico il problema più grande, più infido, più difficile da affrontare. Troppe scuse ho trovato pur di non smettere, anche di fronte ad azioni sconsiderate, alla vergogna di certi comportamenti, alla dignità persa. Non era mai abbastanza per dire basta! Troppo forti e piacevoli sono la disinibizione che ti permette la droga, il senso di onnipotenza, il coraggio e la forza che ti illude di regalarti e che ti portano ad azioni che da lucido mai avresti pensato di fare.

Inebriato da queste sensazioni, a nulla servono l’ansia, l’angoscia e i sensi di colpa del giorno dopo… già, la droga, serate d’eccesso in cui nulla è vietato, tutto è permesso e il vuoto, lo sgomento del giorno dopo non riescono a competere con tutto questo.

Nel trascinarsi stanco di quella che oramai è abitudine ci si dimentica di tutti, nulla ha più importanza, si lasciano per strada tutti i colori e le sfumature della vita vera, si crea un vortice che ti trascina sempre più giù, nel vuoto assoluto, dove smarrisci la cognizione del tempo e così, senza che tu te ne accorga, i figli che tanto dici di amare sono diventati grandi e arrabbiati, la tua famiglia un corpo estraneo, e le bugie che hai e ti sei raccontato presentano all’improvviso il conto. Vorresti tanto che loro ci fossero, ma tu non ci sei mai stato… Adesso non ti senti più così forte e, come al solito, la via più semplice è fuggire di nuovo.

Non riconoscendo la propria malattia, il proprio autolesionismo o il pressante bisogno di affermazione in un gruppo, il tossico non accetta di avere un problema e non riconosce di aver bisogno di aiuto. Di conseguenza, non solo vengono a mancare i motivi per smettere, ma talvolta, addirittura, ci si affida alla speranza che nella dipendenza ci sia la soluzione. Purtroppo, quel che accade è solo un ulteriore affossamento.

Che si possa uscire dall’assuefazione con uno sforzo di volontà è utopia, persino le varie forme di disintossicazione non bastano a liberare la persona dalle catene generate nell’anima dall’abuso. Per farcela, sono necessarie la piena consapevolezza di quanto dolore si è causato e della dignità persa, la voglia di cambiare e la piena disponibilità ad accettare l’aiuto e i consigli di persone preparate e capaci, la forza dell’amore delle persone care che, nonostante tutto, ci sono ancora vicine.

Queste possono essere le leve utili per invertire la rotta di questa strada, iniziata per chissà motivo, ma così sbagliata e distruttiva che solo per una grande fortuna mi ha concesso di essere oggi ancora qui.

Già, io sono uno dei tanti che, iniziando per gioco, si è fottuto la vita pensando di essere forte, intelligente e di poter gestire la droga: belle donne, “amici”, sempre al centro dell’attenzione, ma dentro un gran senso di vuoto, sempre alla ricerca di qualcosa di astratto, con l’idea di essere l’uomo invincibile e al di sopra di ogni cosa.

In realtà, non so ancora oggi cosa fosse, o forse sì, forse il bisogno di non sentirsi uno dei tanti. La società in cui viviamo ci porta a credere che l’importante è apparire, ci convince che conta di più piacere agli altri che a noi stessi, che è facile lasciare da parte le nostre paure e vivere la vita fingendoci quello che non siamo; in questo modo nessuno può farci domande a cui non vogliamo rispondere.

Ma in ognuno di noi sono presenti emozioni profonde che, pur se abbandonate e nascoste agli altri, ogni giorno si riaffacciano e ci pongono dinanzi a chi siamo veramente.

In un futuro non troppo lontano vorrei riuscire a incontrare la mia coscienza e dirle: scuotimi, fammi male, fammi diventare piccolo, perché ogni volta che mi dai tregua io mi rilasso e perdo di vista il senso prezioso della vita! Ma so bene che, lì vicino, perfida, mi deride la droga, mi mostra qualcosa che luccica e mi spegne la voce.

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