Una giornata con Sisifo

Una giornata con Sisifo, Alberto Marcheselli

Mi sono assunto l’impegno di raccontare l’incontro avvenuto tra gli studenti di una scuola media di Buccinasco e il Gruppo della Trasgressione, incontro durante il quale i membri del gruppo hanno inscenato il Mito di Sisifo.

Il Mito, io credo, è un modo per rappresentare i vizi dell’uomo, le sue debolezze e i suoi difetti. Metterli in scena è uno strumento attraverso cui la tragedia da sempre svolge il compito di esorcizzare e di metabolizzare le carenze e la caducità dell’umana condizione, un rito che consente all’uomo di interrogarsi sull’uomo. Fino a qui, tutto difficile ma nulla di rivoluzionario.

L’insolito è mettere in scena il Mito con attori che non sono attori e che di miti greci ci capiscono assai poco (o niente) davanti a un pubblico di studenti, che poi sono poco più di ragazzini e che di miti greci ne sanno poco di più. Farlo, poi, senza copione, affidandosi all’istinto, all’intuito, al vissuto, è rasentare l’incoscienza.

Ma l’effetto è stato incredibile (lo è ogni volta). Gli attori o meglio i non attori hanno portato sul palco pezzi di vita, scorci del loro passato, sguardi sul futuro con la conseguenza che anche questa volta è avvenuto l’incontro tra due mondi, il confronto tra esperienze agli antipodi su un terreno fatto di comprensione e di attenzione, con momenti in cui Sisifo/Ivano si diverte e diverte come un giullare, trovando a ogni svolta della vicenda nuovi spunti, con un’originalità e una genialità che sembra quasi abbia studiato tutta la vita, alternati alla fatica di Nicola e a quella di Rosario che fanno i consiglieri e diventano rossi davanti ai ragazzini.

Un turbinare di emozioni, che si succedono e s’intrecciano, un’atmosfera gestibile solo attraverso una profonda conoscenza dell’uomo. Non ho ancora ben capito come il dott. Aparo riesca a “liberare” le persone, a far sì che si mostrino come sono o come vorrebbero essere.

Nel dibattito subito dopo la rappresentazione, il detenuto diventa padre, lo studente figlio; il figlio/studente diventa rimpianto per il passato e spunto per il futuro; e poi la guida, l’insegnante, le assenze e le lacrime (qualche volta). Un amalgama di passioni, quella della guida, quella del dottore e la dedizione di qualcuno di noi (detenuti).

Insomma, c’è una domanda che spesso viene fatta al Gruppo della Trasgressione e cioè “cosa facciamo al gruppo? Lo so, lo vedo, lo sento, lo vivo: creiamo pensiero, costruiamo passione!

Qualche gruppo fa il dott. Aparo “ha fatto un pezzo” (così io l’ho sentito) di estremo valore su come i colori della mente diventino pensieri e poi prendano forma attraverso le parole e su come le parole possono essere usate per liberare o imprigionare gli uomini. Un grande potere quello delle parole!

Ecco io credo che tutte le volte che ci confrontiamo, tra di noi e con i ragazzi delle scuole, trasformiamo i nostri colori in pensieri, diamo alle nostre parole il potere di renderci liberi. Questo riusciamo a farlo perché il dottore ha messo la sua intelligenza a nostro servizio e per questo io gli dico grazie e mi ritengo fortunato perché non è facile incontrare qualcuno capace di dare alle parole tanta forza.

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Il divenire della coscienza

Chi commette reati, prima che delinquente, è pazzo. Lo siamo tutti, ma la sua pazzia è aggravata dal fatto che, per abusare del suo potere sugli altri, il delinquente va dritto, dà per certo di essere in credito con la vita; la sua vittima è solo una piccola, trascurabile parte del mondo che non gli ha dato il dovuto.

Per chi vive fra reati e droga al vertice della gerarchia non c’è l’autorità, ma il Potere. A questo si aggiunge che per loro nessuna autorità è credibile, non è compito loro contribuire al benessere sociale, elaborare strategie o regole per farlo andare avanti.

L’abuso di potere dei pazzi che non vanno in carcere, invece, arriva sempre accompagnato da ragionamenti più o meno sbilenchi, qualche volta persino in buona fede. In fondo, ogni rapinatore, spacciatore o dirigente a un milione di euro l’anno, a modo proprio, condisce di arzigogolate giustificazioni i propri abusi nel mondo.

Al Gruppo della Trasgressione si cerca di far luce sul rapporto fra gli abusi subiti e quelli praticati e sui sentimenti che ne discendono. Via via che se ne prende coscienza, diminuisce la possibilità di commettere reati senza nemmeno farci caso.

Ma la coscienza di sé e dei propri grumi non la si impara come si fa con i teoremi; essa cresce piuttosto via via che ci si riconosce nell’altro. Per questo, a un certo punto, sono stati costituiti il gruppo esterno, l’associazione e la cooperativa Trasgressione.net.

I detenuti allievi di questo corso con la Croce Rossa sono figli e interpreti di questa coscienza in divenire ed è in nome di questo divenire che abbiamo chiesto alla Croce Rossa la sua alleanza, in quanto organizzazione dove competenza e autorità sono chiaramente riconoscibili come forza al servizio degli altri.

(Testo per la presentazione del Corso della Croce Rossa)

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L’aiuto

L’aiuto, Simone Testa

Ho aiutato a vendere droga, ho aiutato prestando soldi e facendomene dare il doppio, ho aiutato a distruggere i sogni di tante persone, che grazie alla droga si sono rovinate. Intanto che mi costruivo la strada per venire in carcere, ho distrutto per i miei figli il sogno di ogni bambino, quello di crescere vicino a entrambi i genitori.

Oggi con il giusto aiuto e con il desiderio di cambiare vita, sono arrivato ad avere un’importante opportunità di riscatto, quella di aiutare nel vero senso della parola. Spero di cuore che io possa rientrare in questo progetto della C.R.I.

Da molto tempo la mia paura più grande è quella che mio figlio possa imitarmi ripercorrendo i miei passi. Questo progetto sarebbe la giusta medicina per far capire a mio figlio che, nonostante gli errori che ho commesso, oggi sto ricostruendo la mia strada nella maniera giusta. Spero che, se vuole emularmi, cominci a farlo da oggi, che sto imparando come e chi aiutare.

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Fra miserie e cose serie

Fra miserie e cose serie, Roberto Cannavò

Se al dolore hai risposto con la negazione
Guardaci dentro, non farne una prigione
Prova a viverlo per la costruzione
Vedrai che rivoluzione…

Il corpo, non è uno scherzo, è intrappolato
Ma il tuo passato non è del tutto frantumato
È la tua storia che va rivisitata
lavora sui cocci e vedrai il risultato…

L’evoluzione è in agguato
Lasciale spazio
E avrai il risultato di chi
Guardando indietro potrà dire:
Erano macerie, erano miserie,
Oggi sono cose serie

Mi è bastata una semplice considerazione
per dare un senso a questa mia condizione…
il detenuto non è un mattone
non è parte delle mura della sua prigione

E allora ripartiamo dalle macerie
per costruire cose serie
in tasca mi porto la semplicità
la moneta della mia rivoluzione

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La ninna nanna e le mazzate

In previsione degli incontri e della collaborazione su “La ninna nanna e le mazzate”, si richiede di leggere i due dialoghi: “La rotta del peluche” e “Nica” e di rispondere ai seguenti item:

  • Prime evocazioni spontanee per ciascuno dei due dialoghi
  • Tratti distintivi dei quattro personaggi
  • Tratti emergenti della relazione nell’uno e nell’altro caso
  • Confronto fra i due dialoghi e individuazione delle analogie e delle differenze fra i due tipi di relazione genitori/figli
  • Quali conflitti vivono i genitori nei due dialoghi
  • A quali atteggiamenti ricorrono per affrontarli
  • Cosa fa venire in mente l’ultimo atto del figlio nell’uno e nell’altro caso
  • Prefigurazione di cosa accadrà negli anni successivi al dialogo nell’uno e nell’altro caso.

Dopo la lettura dei dialoghi, ci si può servire della voce “Lascia un commento” per rispondere alle diverse domande e per aggiungere ulteriori contributi personali.

Non è indispensabile rispondere a tutte le domande, che vogliono essere soltanto un aiuto per ordinare le idee e poterle confrontare con quelle degli altri scout e dei detenuti del gruppo.

Infine, chi ne ha piacere può partecipare all’iniziativa inviando a associazione@trasgressione.net un proprio dialogo che risponda ai requisiti richiesti per la serie “La ninna nanna e le mazzate”:

Un genitore vorrebbe fare addormentare il figlio, ma il bambino o l’adolescente continua a fare domande perché teme che, se si addormenterà, il padre o la madre andranno via. Le domande possono essere di qualsiasi genere. Ciò che non cambia è che, di fronte alle domande sempre più pressanti del figlio, le risposte del genitore diventano sempre più evasive, fino a quando, in uno scatto d’ira, il genitore esasperato addormenta il figlio con una scarpata in testa.

Chi lo desidera può chiedere di essere accreditato come collaboratore di Voci dal ponte e inserire direttamente sul sito il proprio racconto.

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Sulla tossicodipendenza

Bollate, 11/02/2016 – Verbale dell’incontroNuccia Pessina

Il dibattito si è snodato a partire da una prima domanda e da alcune riflessioni a margine di questa: la tossicodipendenza è una malattia o una scelta? E’ importante rispondere perché un elemento, una situazione, un problema, a seconda di come viene definito, induce differenti reazioni. Secondo alcuni dei presenti, la tossicodipendenza può avviarsi e/o consolidarsi come una libera scelta; per altri inizia come scelta e diventa successivamente una malattia. Come si vede, la relazione tra scelta e malattia non è lineare; al convegno in programma è perciò opportuno che le esperienze di ognuno vengano ben documentate e comunicate dopo un’adeguata riflessione.

Massimiliano: Mi drogo da quando avevo 15 anni. Non so dire se è una malattia, ma so che, come il diabete, dovrò curarla per tutta la vita. Ma per me non ci sono pastiglie, ho bisogno di progetti, di cose intelligenti da fare, di cose e persone in cui credere. Sono 8 anni che non mi drogo, da quando ho ammesso di avere bisogno di aiuto e ho accettato di riceverlo; per la prima volta in vita mia, pur se in galera, paradossalmente, mi sono sentito libero.

Alessandro: Più che malattia, la chiamerei dipendenza.

Luciano: Penso che la prevenzione possa funzionare e debba essere stimolata.

Gianni: E’ una malattia che uno decide di prendere.

Dott. A: Malattia, disagio, libera scelta? Ogni diversa definizione dà luogo a risposte diverse; e questo vale per i diretti interessati, per le persone con cui i tossicodipendenti hanno relazioni, per le autorità legali e sanitarie.

Maurizio: Diciamo di aver fatto una “scelta” perché in realtà “malattia” è un termine che non ci piace.

Diego: Trovare qualcosa che ti dà piacere come te lo dava la droga è la risposta, ma non è così facile che questo accada.

Massimiliano: La droga ti svuota. Più ti droghi e più ti svuoti. Devi nutrirti di altro, ma ti ci vuole uno stimolo, un aiuto.

Massimo: Non riesco e non voglio considerarla una malattia, perché ciò potrebbe indurre ad adagiarsi nella cosa. Comunque, la droga ti svuota, ma spesso quando cominci è per riempire un vuoto che c’è già.

Gaetano: Per me è una malattia. Noi non accettiamo la parola “tossico”. Se non la accetti, non accetti di essere malato e dunque non ti curi. Ho cominciato a 15 anni, con la “maturità” dei 15 anni. E a 15 anni rifiuti l’aiuto, vivi solo per quello e ti svuoti. Poi maturi e “scegli” di uscirne, ma devi sceglierlo tu, devi sceglierlo per te.

Giuseppe A: Fare cose non basta per distrarsi dalla droga. Bisogna avere stimoli diversi.

Franco: La vera medicina per uscire dalla droga è avere un diverso nutrimento.

Roberto Dambra: Mi sono drogato a fasi alterne. Pulito dal 1996 al 2004. Vero che gli obblighi imposti dalla mia situazione (analisi presso il SERT e via dicendo) mi hanno aiutato, ma sono stato pulito per circa 4 anni dopo la fine degli obblighi. Poi ci sono ricascato. Perché? Non lo so.

Dott. A: Quali sono i confini della tossicodipendenza? Le azioni da essa indotte come il furto, la rapina, come vanno considerati? Sono parte della malattia?

Gianni: Un drogato è offuscato. Serve la mano di qualcuno e la propria volontà. Se commetti una rapina mentre sei in crisi di astinenza, è una conseguenza della malattia.

Maurizio: O rubi e poi ti droghi perché fa parte dello stile di vita delinquenziale o ti droghi e poi rubi per sopperire alla mancanza di soldi.

Gaetano: A proposito di ludopatia, molti reati sono commessi da persone tra i 50 e i 60 anni. Se sei malato, anche le azioni compiute sono conseguenza della malattia.

Massimiliano: Ho fatto furti anche quando non avevo necessità di drogarmi. E allora?

Esposito G: Mio figlio è drogato da quando aveva 13 anni. Io non ho mai toccato sostanze. La malattia è il vostro cervello. La fascinazione che provate per la droga è frutto del vostro cervello malato.

Alessandro: Anche mio padre ragiona come Giuseppe. Se io lavorassi, avessi una bella moglie, un figlio, alla sera, stanco per il lavoro della giornata, potrei anche farmi una canna. Che male c’è?

Gianni: Ma lei Dott. A che ne pensa?

Dottor A.: Ho cominciato a scrivere ciò che penso su “Voci dal ponte”, vi aggiungeremo quel che direte voi, cercando di ottenere un quadro progressivamente più organico delle nostre considerazioni sul tema.

Luciano: (per bocca di Tango) Qualcuno forse si droga perché fin da piccolo vede gente drogarsi.

Gianni: Il dottore non ha risposto!

Dott. Aparo: Credo sia opportuno considerare il tossicodipendente una persona che sceglie la malattia. Ma quali sono i confini della tossicodipendenza? Dal momento che la tossicodipendenza comporta un danno per la persona e per la società quali sono le reazioni appropriate a questo danno? Esiste un’alleanza che il tossicodipendente possa considerare valida e nei confronti della quale possa ritenersi ed essere ritenuto responsabile? E se l’alleanza fallisce e il danno ricomincia, cosa facciamo? Il tossicodipendente va considerato l’autore del furto o un burattino guidato dalla tossicodipendenza? Qual è l’atteggiamento più produttivo da parte dello psicologo? Nelle mie aspirazioni, io vorrei essere l’alleato di un burattinaio dimenticato che prova a restituire al burattino la libertà che gli ha tolto.

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Un paradosso divertente

E’ un divertente paradosso che l’uomo, quando non sbaglia strada, insegue l’infinito mentre cresce e diventa se stesso nella realtà finita. Chissà se ogni giorno fa i conti con la realtà nella speranza di raggiungere l’infinito o se punta all’infinito proprio per poter dialogare con la realtà! Facilmente, però, quando dimentica una delle due cose cominciano i guai! In ogni caso, sembra che un ponte permetta di fare più strada di uno sconfinamento.

Abbinamento con: Ho visto Nina volare, A Cimma, Anime Salve

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La dipendenza: scelta praticata o malattia subita?

Interrogarsi su cosa è la dipendenza non risponde solo a mera curiosità. Di fatto, ci si rivolge al tossicodipendente in modo diverso a seconda che lo si consideri un malato o una persona che sceglie più o meno liberamente di fare quel che fa.

Anche le norme penali che riguardano la dipendenza e, in particolare, la tossicodipendenza, sono inevitabilmente collegate al fatto che il comportamento in oggetto venga inquadrato come malattia o libera scelta.

Ma la questione è anche più complessa. Va infatti contemplato che il comportamento tossicodipendente possa nascere in virtù di una libera scelta e diventare nel tempo malattia. Il tossicodipendente è prigioniero della propria malattia o è responsabile di essersi consegnato alla malattia?

Il cittadino che abbia margini di scelta per aumentare o ridurre il proprio stato di malattia, a maggior ragione quando tale malattia comporti gravi conseguenze per la collettività di cui egli fa parte, ha diritto di alimentare la propria malattia?

La storia del tossicodipendente di solito parte da un equilibrio precario, per rispondere al quale occorrerebbe una guida capace di sostenere e di insegnare a guardare lontano, e si insabbia progressivamente in una relazione con se stesso e con gli altri per cui l’orizzonte progettuale diventa sempre più ridotto e la persona sempre meno incline a fare investimenti sulla realtà.

Si finisce dentro un loop! Ma quanto è utile al soggetto essere trattato come vittima del loop che egli stesso ha attivato? Quanto giova al progetto terapeutico che il loop della tossicodipendenza venga considerato una malattia?

E infine,  in quale ambito è utile considerare malattia la tossicodipendenza? Quello del rapporto del soggetto con se stesso e con la propria inclinazione a restringere la propria facoltà di scelta o quello dell’abuso di potere che il tossicodipendente compie quando commette reati?

Il pilota russo che ha deciso di suicidarsi portando l’aereo con 150 passeggeri a schiantarsi contro una montagna, se fosse sopravvissuto, sarebbe stato considerato un omicida che, in quanto malato, avrebbe potuto godere delle attenuanti relative alla malattia? Quanto siamo tenuti a rispondere delle malattie che ci procuriamo se queste malattie portano ad abusare del nostro potere sugli altri? Abbiamo il diritto di procurarci o di lasciarci prendere dalle malattie se continuiamo ad avere con gli altri delle relazioni che vengono pesantemente investite dalle nostre malattie?

Il tossicodipendente agisce per provvedere a una mancanza che lo fa soffrire; agisce mosso dalla mancanza quasi come un burattino mosso dalle fila. Ma quanto è utile al partner del progetto terapeutico rivolgersi al tossicodipendente come a un burattino? Cosa possiamo fare per rintracciare e motivare il burattinaio che, dopo essersi legato mani e piedi alle fila, è sparito dalla memoria, lasciando al loop della droga e delle relazioni che la circondano il compito di restringere sempre più la spirale del burattino? E che ruolo è opportuno che abbia in questa ricerca il tossicodipendente?

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Caro Giulio

Caro Giulio, Carlo Lozito

Caro Giulio, paghi per la tua innocenza, il tuo desiderio di capire, la tua curiosità, i tuoi ideali, il tuo desiderio di un  mondo migliore. Caro figlio, giovane figlio, eri in terra lontana d’Egitto per studiare…

Cosa avrai provato al tuo primo osso spezzato, al secondo… al trentesimo? Quale smarrimento hai provato di fronte al sorriso sadico del tuo assassino?

Eri solo, disperato, aspettavi solo che finisse… eri solo, solo, solo ad affrontare con coraggio quegli inumani che giocavano, si divertivano, godevano del tuo massacro. Povero figlio, piango per te.

Noi riflettiamo sul dolore dei detenuti, forse poco sul dolore delle vittime… Giulio era un ragazzo, un giovane uomo che sentiva che questo mondo non gli apparteneva… lo voleva cambiare… ha mosso un dito, solo per raccontare… ha pagato col martirio.

Caro Giulio, noi siamo degli indifferenti, ci commuoviamo per te adesso, poi forse già tra un minuto ci occuperemo d’altro… riprenderemo la giostra dei consumi, dei falsi piaceri, degli stordimenti… forse così fuggiamo da questo mondo disposto a tutto per il denaro e il potere, un mondo che ogni giorno ci umilia, ci angoscia.

Caro figlio, riposa in pace, se mai potrai dopo quello che hai passato, piango per te, ti voglio bene anche se non ti conosco.

Carlo


Mandati di cattura

Ho saputo ieri dell’indagine sul conto di persone che hanno frequentato il gruppo nel recente passato e sento che non può essere ulteriormente rimandata la riflessione sulla difficoltà di emanciparsi dalla spinta a delinquere senza un innaffiamento continuo delle attività che alla delinquenza fanno da argine. Avevano smesso di frequentare il gruppo, ma lo hanno frequentato per anni e ciò non è bastato.

Se non possiamo riflettere insieme con le autorità istituzionali e strutturare con loro un piano, tanto vale chiudere il Gruppo della Trasgressione: responsabilità, rischi e frustrazioni a iosa, in cambio di quasi nulla! Ho bisogno di riflettere con le istituzioni, non per essere consolato ma per un progetto di cui possa essere verificata la consistenza.