Periferie di leggerezza precaria

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Francesco Scoccimarro

Francesco Scoccimarro – Intervista sulla creatività

Franco Scoccimarro ha lavorato nell’ambito della produzione industriale, ma al cuore della sua attività, fin da bambino, ci sono sempre stati il disegno e la pittura. Ricorda con simpatia che alle scuole elementari ebbe anche un premio per un disegno raffigurante il Duomo di Milano. La consapevolezza della sua passione per l’arte figurativa, tuttavia, si fa chiara molto più tardi, quando comincia a collezionare i numeri de “I maestri del colore”. Da adulto, ha seguito la sua passione spesso lavorando di notte, riuscendo a volte a vedere i colori nella luce naturale soltanto nel fine settimana.

 

Alice: Cos’è per lei la creatività?

Franco: La creatività può essere diverse cose: un percorso che produce una novità; la capacità di connettere categorie estranee tra loro; l’invenzione di antichi strumenti di sopravvivenza per rispondere ad una emergenza; possiamo anche dire che è  selvaggia dell’intelligenza.


Ciro – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: Cosa avvia, come si sviluppa la sua creatività e in quali condizioni?

Franco: Premesso che per me non esiste un ambito preferenziale per esercitare questa specie di gioco, mi capita in ogni momento di avvicinare idee o cose di genere diverso, di assemblarle, rivoluzionandone finalità, architettura e logica, e questo per creare un oggetto nuovo. Forse le migliori occasioni in cui scatta l’impulso creativo sono quelle in cui scoppia il conflitto che a volte vivo con il “comune sentire”. Altre volte nasce da un contrasto fra l’oggetto che ho davanti e quello di cui avrei bisogno. A quel punto si attiva una ricerca di soluzioni per farlo diventare quello che desidero.


Disordine e armonia – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: c’è un’immagine che per lei rappresenta bene l’atto creativo?

Franco: l’atto creativo è soprattutto negli occhi di chi guarda, non sempre è clamoroso, a volte basta una piccola armonia inedita (che si può scovare, peraltro, in qualsiasi momento della vita) per rinnovare vecchi equilibri omologati o giungere, attraverso sentieri imprevisti, a una nuova consapevolezza personale. A volte l’ultimo granello di sabbia della duna, rotolando giù, innesca lo spostamento totale.


Periferie di leggerezza precaria (OTAITTAB) – Franco Scoccimarro

 

Alice: Che incidenza ha l’atto creativo sulle emozioni e sulla percezione di se stesso?

Franco: Mi piace e mi fa star bene costruire uno scaffale con vecchie imposte o una lampada con il cocco a far da paralume e un tendicavo per alzarla ed abbassarla. Questo stesso meccanismo si ripete con i concetti e le idee; allora vengono le battute, gli accostamenti trasgressivi. E’ bello scoprire contraddizioni, oppure, se le cose vanno troppo lisce, inventarle. Pensiamo, ad esempio, ai tagli di Fontana. Da parte mia, Quando finisco un’opera sono contento perché mi sono impegnato nel portare avanti una sfida. In linea generale, riconosco che mantenere una certa continuità con la mia attività artistica e tentare di fare al meglio ciò che faccio mi aiuta a stare in pace con me stesso…  anche nei periodi in cui con me stesso non sono in ottimi rapporti.

Schegge – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: E che effetto ha nel rapporto con gli altri?

Franco: Non sempre la mia creatività entra nel rapporto con gli altri. Ho figli e nipoti, un soddisfacente e normale rapporto con gli altri. Se la conversazione si sposta sui miei lavori, il discorso ha ogni volta le sue peculiarità e prende pieghe diverse.

 

Alice: Quanto è importante il riconoscimento degli altri verso il suo prodotto

Franco: È importante perché mi gratifica, indubbiamente, ma non è un’ossessione, non è la ragione per cui dipingo. Non penso mai a come una mia opera possa essere accolta. Io stesso sono critico con i miei lavori e capisco che anche gli altri possano esserlo.


Frammenti – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: pensa che esista una relazione tra depressione e creatività?

Franco: Non mi sembra che mia creatività sia correlata in un senso o nell’altro con la depressione, parlo della depressione che in qualche misura tutti vivono di tanto in tanto. Ma penso che entro certi limiti possa esistere fra le due cose una relazione. La depressione è entrare di più in sé stessi ed evitare, per diverse ragioni, la comunicazione con l’esterno per periodi più o meno lunghi. Questo, a volte, è anche il mio atteggiamento: l’atteggiamento di chi frequenta la creatività. Dunque, ci sono delle analogie. Ma che io sappia, nel mio caso, non ci sono ricadute negative: non considero il mio cercare in me stesso un modo per escludermi dall’ambito sociale. Ognuno ha le sue attitudini.

 

Alice: Quando un prodotto creativo è concluso?

Franco: Mai. Molte volte, anche a distanza di anni, torno a mettere le mani su miei lavori vecchi.


Tangenze – Franco Scoccimarro

 

Alice: secondo lei la creatività è un dono naturale o una competenza che si può allenare?

Franco: La creatività non è un dono, come non lo sono i peli del naso o l’intestino cieco; tutti noi siamo l’esito del sacrificio selettivo di chi ci ha preceduto; la creatività è l’eredità della selezione di cui siamo potatori e beneficiari e alla quale siamo giunti, una generazione dopo l’altra, mentre alcuni dei nostri antenati venivano sopraffatti dalle avversità e altri riuscivano a venirne a capo. La creatività è una delle nostre abilità e certamente può essere stimolata e allenata.

 

Ottavia: Chi sono i principali fruitori del prodotto creativo?

Franco: penso che ogni lavoro artistico abbia dentro di sé la capacità di coinvolgere qualcuno; ma perché ciò accada è necessario che l’osservatore abbia una sensibilità che possa entrare in comunicazione con l’opera. Cerco nell’armonia un mezzo di per comunicare. Se non fossimo in un ragionevole equilibrio fisico e armonico non potremmo esistere. Tutto l’universo è costruito su queste singolarità e tutto il resto viene di conseguenza; l’armonia è il linguaggio dell’universo e, forse, come sostengono i fisici, l’universo è linguaggio.


Coriandoli – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: secondo lei la creatività può avere una funzione sociale? Se sì, quale

Franco: Si, eccome! Spesso le immagini e le sintesi creative arrivano molto più rapidamente ed efficacemente al destinatario. Ad esempio, il quadro “La zattera della medusa” – di Géricault – esprime il dramma di un naufragio come nessun’altra descrizione.

Non è possibile trasmettere così direttamente il senso di un naufragio raccontandolo a parole.

Anche il “Guernica” di Picasso rappresenta un dramma come delle parole non riusciranno mai ad esprimere.

 

Allo stesso modo, la foto di Robert Capa del soldato sulla collina che sta per cadere a terra dopo essere stato colpito da un proiettile.

Oltretutto, un linguaggio attraente spesso è fondamentale nella comunicazione, come ben sanno i pubblicitari che hanno il creativo come figura professionale…

 

Ottavia: la creatività può avere un ruolo nelle scuole o nelle attività di recupero del condannato?

Franco: Si, sicuramente. La creatività può contribuire all’autoconsapevolezza, alla capacità di apprezzare, riconoscere e alimentare il proprio impegno nei confronti della società, delle relazioni. Chiunque si ponga nei confronti delle relazioni in modo consapevole ha una chance, una carta in più. Riconoscere, educare e allenare le proprie capacità cambia profondamente la propria immagine e concorre considerevolmente a positive relazioni sociali.


Residui – Franco Scoccimarro

Credo che la creatività, intanto che viene coltivata, permetta all’individuo sia di migliorare il rapporto con se stesso sia di avere una relazione funzionale con la collettività. Sono importanti entrambe le cose anche se qualche volta l’una si sviluppa in contrasto più o meno aspro con l’altra. A volte, la spinta che motiva a ottenere il riconoscimento degli altri va a discapito del rapporto con le nostre peculiarità e l’esplorazione delle nostre risorse.

Intervista ed elaborazione di 
Alice Viola e Ottavia Alliata

Galleria F. ScoccimarroInterviste sulla creatività

Cornici

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Cornici
Dolci confini
A volte ambiti
Altre rifiutati
Inutili limiti
Quando occhi
Curiosi
Sulle proprie lunghezze d’onda
Declinando
Segni e colori
Se stessi definiscono

Franco Scoccimarro

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Burattini danzanti

Burattini, burattinai, scelte, libertà.
Ragnatele per catturare burattini,
che diventano labirinti in cui si perdono i burattinai.

Danziamo, seguendo ritmi e melodie,
che ci trascinano fino a farci perdere,
mentre cerchiamo armonie di cui sentirci autori.

Ci deve essere un modo, una palestra, una via
per non sciupare la malinconia,
per una speranza che non sia pura follia,
per un gradino che allarghi l’orizzonte,
senza scordare che non c’è vita senza ponte.

Angelo Aparo

La responsabilità dei burattiniNelle mani del burattinaio
Un labirinto dove si è perso Dedalo – Lo scopo del dolore
La nostra palestraLa galleria di Franco Scoccimarro

 

Dialogo tra inconscio e ragione

DIALOGO TRA INCONSCIO E RAGIONE
Scoccimarro non ha padri
di Davide Lajolo

Questo è sostanzialmente vero e nuovo: ecco un pittore per il quale è inutile cercare i padri, vicini o lontani. E’ un pittore che si è costruito, grezzo o elegante, così come è, in modo piuttosto strano: ragionando con l’inconscio. Pare ed è una contraddizione mettere accanto all’inconscio la ragione, ma tant’è, a Franco Scoccimarro è toccata quest’avventura.

Perché lui è fatto così, la sua cultura si è intrisa nei suoi pensieri intimi e pubblici, nelle sue idee cui gli è impossibile rinunciare fino a sposare, con una testardaggine impetuosa e tenera, l’inconscio con la ragione. Perché lui vuol essere un uomo sempre usando la ragione fino ai limiti dell’impossibilità. Di fronte si è trovato l’abisso vertiginoso dell’inconscio.

Se c’è un padre a questi lucidi furori è Freud, ma Freud non dipingeva, scavava immagini e sensazioni, diagnosi e contraddizioni, ritorni indietro e fughe in avanti fino a tentare di mettere la mordacchia ai suoi allievi quando tentavano di andare oltre le sue scoperte o cercavano applicazioni inedite. Freud può essere un amico o un nemico. Bisogna intendersi. L’affascinante è pericoloso, lo è sempre più oggi in cui il mondo rotola verso rivoli o fiumi che paiono non avere sbocco. Non c’è più il mare, s’è perduto o si è fuso con il cielo o con altre cose o materie incomprensibili?

In questo mistero Franco Scoccimarro si è buttato a capofitto perché l’aveva, questo mistero, chiuso dentro di sé ed era come crepitasse, anzi gli scoppiasse in petto.

C’era una sola possibilità per evitare la fine minacciata, arroccarsi nella solitudine; attorno vi era troppo chiasso, troppa incompatibilità, c’era la caserma degli uomini e ceppi per chi non voleva sottostare. La tentazione era forte. La solitudine è abbacinante per i giovani. C’è l’illusione di trovare la purezza dell’incontro con se stesso. Ma Franco Scoccimarro ha voluto evitare questo miraggio; da un lato con il lavoro quotidiano ma nel vero, per l’anima cercando nel segno e nel colore di riproporre a sé e agli altri le immagini, le folate di colori, gli intrecci inesplicabili tra spazio, presente e tempo.

Certo che questo giovane meditativo e colto sapeva che per fare il pittore bisogna anche conoscere il mestiere oltre a certe doti che nessuno sa di possedere appieno; ma lui ha cominciato, come detto all’inizio, ragionando con il suo inconscio per il bisogno di popolare la sua solitudine esistenziale, per parlarsi e scoprirsi nella realtà sempre più fantomatica e nei sogni. Non sono i sogni quando senti di dormire e quando stai nell’inedia operativa ad occhi aperti a proporti tutti gli incontri e i dialoghi, tutte le visioni e gli interrogativi più peregrini? Non è nel sogno che dai mano a Freud e vai avanti in una strada che forse è in grado di rivelarti il tuo Io?

Ecco perché Scoccimarro ha cominciato a dipingere prima che a disegnare, ad incontrarsi nei suoi arcobaleni dentro i quali colloca tante presenze incompiute, figure multiple, volti e mani e il corpo delle donne dispiegato come un’onda, a volte intoccabile, a volte da sentirlo tattilmente con i polpastrelli e non solo nel lucore delle pupille.

Eccone i frutti. Questi dipinti, questi disegni, questo dialogo incompiuto, questo gemere e questo urlare, questo tacere e questo ragionare. La radice è qui. Ho detto all’inizio di questa presentazione che Scoccimarro non ha paternità da rivendicare né da rinunciare, né da difendere. Però insistendo nel guardare di giorno in giorno sorgere le sue immagini e le sue meditazioni a segni e colori, mi sono venuti in mente certi dipinti fra l’elegante e l’ironico di Roy Liechtenstein, del tempo della Pop Art, ma visti con i suoi mezzi e la sua cultura, con quei lampi di giallo e rossi e neri e quel volteggiare di luce che ti possono dire appunto con l’ironia del confronto, come è lucente il buio della notte. Un pittore che è entrato fatalmente nel suo subconscio e se ne è liberato sbrigativamente all’apparenza, ma senza aver tratto la convinzione di avere saputo esplorare la profondità della psiche, anzi la certezza opposta: più vai a fondo e più ti perdi.

E allora giochiamo con i segni e i colori, facciamo il nostro arcobaleno, i nostri salti mortali con capovolta, sfoghiamo il gusto di prenderci per il bavero. Un maestro di parodie ma mai ostile, presentate con gradevolezza.

Ecco Scoccimarro che probabilmente non ha mai visto nulla di Roy Liechtenstein scopre la sua arte con un tentativo di ironia. Forse non è scanzonato abbastanza nei confronti dell’arte e della vita, forse ha ancora il pungiglione della solitudine, il gusto della sofferenza, ma le sue figure cominciano a divincolarsi dai lacci, dagli impedimenti, cominciano a volare.

Se riescono a ghermirti mentre le osservi o almeno a conturbarti, ad emozionarti, a portarti nel limbo fra sogno e realtà, Scoccimarro ti ha fatto il suo discorso, ti ha donato un po’ della sua poesia.

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