Mettersi in gioco

Alice Gabriella Viola, Matricola: 831984
Psicologia Sociale, Economica e delle Decisioni
Tipo di attività: Stage esterno

Periodo: dal 12/04/2021 al 12/07/2021
Il Gruppo della Trasgressione, Mettersi in gioco

 

Caratteristiche generali dell’attività svolta (istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento):

Più di vent’anni fa, il dottor Angelo Aparo ha messo in piedi il Gruppo della Trasgressione, un’associazione costituita da detenuti, ex detenuti, studenti, parenti di vittime di mafia e comuni cittadini volta al sostegno e al confronto reciproco.

Il gruppo opera in ambito sociale, in particolare in quello carcerario, fornendo un appoggio, un’alternativa di presa di coscienza della quale fruiscono non solo i cittadini reclusi, ma anche quelli liberi.

E’ proprio il percorso di autoconsapevolezza a guidare il lavoro del gruppo: l’ascolto reciproco, la possibilità di esternare le proprie fragilità in un contesto non giudicante e di mutuo aiuto permette di far crescere il gruppo, ma soprattutto di crescere con il gruppo.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte:
Il Gruppo della Trasgressione non ha una struttura rigida, con ruoli e compiti severamente definiti; il suo punto di forza è lo scambio alla pari, è la possibilità di dare a tutti i membri la libertà di agire in modo creativo nel rispetto dell’altro.

La mancanza di rigidità, che certamente costituisce un metodo innovativo oltre che fruttifero, permette di immedesimarsi nell’altro con minor distacco e pregiudizio, di entrare in contatto con realtà diverse in un modo molto più diretto ed empatico.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati:
In questi tre mesi di tirocinio ho avuto la possibilità di partecipare attivamente alle attività del gruppo, sebbene l’attuale pandemia abbia limitato fortemente le occasioni di incontrarsi nella sede di via Sant’Abbondio, dove abitualmente il gruppo si riunisce per svolgere gli incontri settimanali.

Fortunatamente, la possibilità di svolgere gli incontri da remoto ha permesso al gruppo di portare avanti i suoi progetti.

Ogni Lunedì, il Gruppo della Trasgressione si riunisce per dare voce ad un dibattito su temi emersi a partire da un film che ciascun membro guarda per proprio conto durante la settimana. Il filo conduttore dei film proposti è il tema della banalità e complessità del male, utile nel far emergere da ognuno le proprie fragilità e generare un confronto costruttivo.

Il martedì, invece, gli incontri vertono su tematiche di varia natura, elicitate dal racconto di un membro, da un progetto in corso o semplicemente da un pensiero condiviso. In questo spazio, ciascuno mette a nudo una parte di sé, dandosi in questo modo nuove opportunità di lettura del proprio vissuto, grazie alla restituzione e al confronto con gli altri.

Il sabato, grazie alla Cooperativa Sociale, alcuni componenti del gruppo vendono “frutta e cultura” al mercato settimanale di viale Papiniano. In questo contesto, il gruppo interagisce con l’esterno e matura la responsabilità lavorativa sostenuta dal percorso parallelo di presa di coscienza. Questa attività, oltre a dare al gruppo una fonte di autosostentamento, costituisce una dimensione dove imparare a collaborare e a condividere responsabilità e soddisfazione.

L’ “officina creativa” è un altro progetto a cui ho potuto prendere parte durante questi tre mesi. Insieme ad altre studentesse tirocinanti, ho avuto modo di intervistare artisti e figure istituzionali riguardo al tema della creatività. L’obiettivo di tale progetto è quello di utilizzare proprio la creatività per prevenire la devianza, il bullismo e contrastare le dipendenze.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte:
Il dottor Aparo, coordinatore del gruppo, è il punto di riferimento per tutti i membri dell’associazione. Incentivando a mettersi in gioco, mi ha aiutata a comprendere il significato del lavoro di squadra, dell’importanza di dare oltre che di ricevere; con la sua costante presenza mi ha anche reso chiaro l’impegno e la dedizione necessari per svolgere il lavoro di psicologo, facendomi rivivere la passione con la quale ho intrapreso questo percorso di studi.

 

Conoscenze (generali, professionali, di processo, organizzative), abilità (tecniche, operative, trasversali) acquisite e caratteristiche personali sviluppate:
Entrare in contatto con questo tipo di realtà, fatta di verità e determinazione, è stato per me salvifico. Mettermi in gioco e in discussione è sicuramente ciò che più sento di aver appreso durante questi tre mesi: proprio grazie alla modalità con cui il Gruppo della Trasgressione è strutturato ed organizzato, ho imparato ad andare incontro all’ignoto, ad avere fiducia e soprattutto ad ascoltare.

 

Altre eventuali considerazioni personali:
Negli ultimi mesi, prima di intraprendere questa esperienza, avevo perso la fiducia nel cambiamento, non ero più motivata a continuare i miei studi perché la realtà in cui vivevo da qualche tempo non mi dava speranza sul fatto che le persone potessero cambiare.

Conoscere il Gruppo della Trasgressione mi ha fatto ritrovare l’entusiasmo e l’energia di andare avanti nel mio percorso, insegnandomi che il cammino verso il miglioramento è faticoso, ma possibile.

Mi sento dunque di dover ringraziare tutti i componenti del gruppo per avermi fatto ricordare, ognuno a modo suo, che nessuno si salva da solo.

Relazioni di tirocinio

Carla Chiappini

Carla Chiappini – Intervista sulla creatività

Carla Chiappini, laureata in lettere moderne e in giornalismo, docente della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, si impegna da più di vent’anni nella scrittura autobiografica, utilizzandola come strumento di aiuto nelle realtà carcerarie. Carla Chiappini è la coordinatrice di un gruppo di detenuti della sezione di alta sicurezza del carcere di Parma, con i quali lavora alla redazione di Ristretti Orizzonti”, il giornale nato all’interno della Casa di reclusione di Padova e diretto da Ornella Favero. L’incontro tra cittadini liberi e cittadini reclusi è alla base dell’umanizzazione della pena; per questo Ristretti Orizzonti lavora in favore dell’apertura delle carceri al mondo esterno e alimenta il dialogo tra queste due realtà. Va nella stessa direzione il suo lavoro su frammenti autobiografici dal carcere.

 

Ottavia: cos’è per lei la creatività?

Carla Chiappini: per me la creatività è un atto generativo; è mettere al mondo qualcosa che prima non c’era, anche solo un pensiero, un’intuizione, un progetto. È inventare, generare qualcosa di nuovo.

 

Alice: come si sviluppa la creatività? In quali condizioni?

Carla Chiappini: penso che la necessità di essere creativi sia qualcosa con cui si nasce; la creatività caratterizza alcuni individui, ma ha bisogno di stimoli per essere mantenuta viva, necessita curiosità. Non riesco ad immaginare un creativo che non sia curioso.

 

Ottavia: secondo lei, esiste un’immagine che possa ben rappresentare l’atto creativo?

Carla Chiappini: la prima immagine che mi viene in mente è una lampadina che si accende, ma essendo la creatività fatta di connessioni, penso che possa essere ben rappresentata dall’immagine di due mani che si uniscono.

 

Alice: quanto è importante il riconoscimento degli altri per un artista? Come può incidere sulle relazioni?

Carla Chiappini: io credo che l’atto creativo dia gioia e soddisfazione all’artista già di per sé. Se però l’arte diventa la propria fonte di sussistenza, è evidente che serva anche un riconoscimento, oltre che una critica costruttiva da parte degli altri.

 

Ottavia: chi sono i principali destinatari del prodotto creativo?

Carla Chiappini: è difficile definire quali siano i destinatari di un prodotto creativo; io direi tutti: la creatività arricchisce il mondo ed io, personalmente, amo l’arte che riesce ad arrivare a tutti. È chiaro, però, che ci sono diversi tipi di creazioni e che alcune di queste non comunicano con tutti.

 

Alice: La creatività ha o può avere una funzione sociale? Se sì, quale?

 Carla Chiappini: Sicuramente sì, credo che la creatività sia una delle forme più elevate della comunità. Secondo me, attraverso la creatività viene rappresentato il meglio di noi stessi. Un gesto creativo può essere anche un gesto d’aiuto, non concepisco la creatività come atto riservato agli artisti. Un atto creativo è rappresentato anche dalla domanda giusta al momento giusto, ben esemplificato da ciò che fa il Gruppo della Trasgressione. La creatività è qualcosa di interdisciplinare e che può apportare benefici a tutti.

 

 Ottavia: Parliamo dell’atto creativo nelle diverse età. Cos’è per il bambino, per l’adolescente, per la persona adulta?

 Carla Chiappini: Per quanto riguarda l’infanzia, io trovo molto creativa la mia nipotina di tre anni che fa parlare i suoi peluche, si vede che ha una grande fantasia e non tutti i bambini sono così. Inoltre, nei bambini piccoli, la fantasia permette di creare un mondo che non c’è. Per quanto riguarda gli adolescenti, mi sembra che la creatività venga maggiormente canalizzata, non si tratta più di creare un mondo ma di esprimersi all’interno di quel mondo. Per l’adulto, invece, la creatività è ritornare bambino, è conservare quello scatto, quella forza che il bambino possiede. Credo che la creatività sia anche molto prepotente: se c’è, bisogna lasciarla parlare con tutta la sua forza.

 

 Alice: La creatività è un dono naturale, privilegio di pochi, o si tratta di una competenza accessibile a tutti e che può essere allenata?

 Carla Chiappini: Secondo me è un bisogno che alcune persone sentono in maniera molto più forte di altri, non è uguale per tutti. Sicuramente la creatività può essere stimolata e incentivata, però conosco gente estremamente intelligente che non si sfida attraverso la creatività, non ne sente l’esigenza né il desiderio. In definitiva, non trovo sia un requisito comune a tutti come lo sono il camminare o il parlare.

 

 Ottavia: A scuola che ruolo e quali effetti potrebbero avere delle ore dedicate alla creatività?

 Carla Chiappini: La curiosità si connette molto bene con la creatività, un autore che mi piace molto diceva che la persona curiosa è migliore un po’ in tutto. Oggi mi accorgo, rispetto ai miei tempi, che la creatività si esprime moltissimo anche in cucina, cosa che a me non interessava minimamente. Invece, vedo i miei figli e i loro compagni che in cucina sono estremamente creativi.

A scuola la creatività dovrebbe essere una dimensione trasversale, le materie dovrebbero aprirsi a un approccio creativo. Purtroppo, invece, le materie umanistiche incanalano le persone in strutture morbose e noiose. La scuola dovrebbe trovare lo spazio per la creatività, ma non mancano i problemi perché, se gli insegnanti non hanno interesse o propensione per la creatività, è difficile che si faccia qualcosa in tal senso. La creatività è difficile da giudicare e da contenere e la scuola è un’istituzione praticamente semi-totale.

 

 Alice: Pensa che la creatività possa avere un ruolo utile nelle attività di recupero del condannato?

 Carla Chiappini: Sicuramente sì, l’espressione creativa potrebbe far provare alla persona detenuta un tipo di soddisfazione alternativa rispetto a ciò che provava prima dell’arresto. Penso che un progetto di rieducazione che non preveda la soddisfazione, il desiderio e la fantasia sia un progetto con forti rischi di ricaduta. Casa, lavoro e famiglia per un condannato non sono abbastanza ai fini di un reinserimento efficace. È importante far provare un tipo di soddisfazione diverso e più funzionale, in modo che non lo si vada a cercare altrove.

Intervista ed elaborazione di
Alice Viola e Ottavia Alliata

Carla ChiappiniFacebook –  Interviste sulla creatività

La bancarella di Viale Papiniano

Sabato 19-06-2021 – Milano

Alice Viola

Adriano Sannino, Maddalena Baù

Adriano Sannino, Alice Viola, Anita Saccani, Elisabetta Vanzini, Roberto Cannavò, Arianna Picco,

Adriano, Alice, Anita, Elisabetta, Roberto, Arianna, Khaled Al Waki

Adriano, Arianna, Elisabetta, Angelo Aparo, Alice, Roberto Cannavò, Anita Saccani

Adriano Sannino, Alice Viola, Arianna Picco, Roberto Cannavò, Elisabetta Vanzini

Emanuela Pistone

Emanuela Pistone – Intervista sulla creatività

Emanuela Pistone è un’attrice e regista teatrale originaria di Catania che dal ’94 si occupa della promozione di progetti interculturali. L’amore e l’interesse per il mondo dello spettacolo, racconta, sono nati in maniera del tutto casuale, come conseguenza di una timidezza originaria. Su suggerimento di un amico, Emanuela Pistone inizia a frequentare dei laboratori teatrali cui si appassiona fino a iscriversi a una scuola di recitazione a Catania. Una volta ottenuti il diploma di recitazione e la laurea in lingue, decide di trasferirsi a Roma, dove segue un corso di perfezionamento in traduzione letteraria all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e inizia a lavorare per la Compagnia della Luna di Nicola Piovani.

Nella prima metà degli anni ’90, grazie all’iniziativa di alcuni studenti universitari allievi del traduttore Riccardo Duranti, direttore del corso di perfezionamento, Emanuela Pistone avvia con loro una collaborazione aiutandoli a mettere in scena un testo teatrale. L’attività proseguirà per quattro anni diventando un Laboratorio permanente di formazione teatrale guidato da E. P., la cui caratteristica principale è il lavoro su testi di autori contemporanei dell’Africa Subsahariana. Questo grazie a Paolo Maddonni, uno degli allievi, impegnato annualmente in progetti di collaborazione e aiuto in Africa dove aveva raccolto una serie di testi e di racconti teatrali africani. È l’inizio di una passione per l’Africa, le sue culture e i suoi autori, culminata nel 2005 con la fondazione dell’associazione Isola Quassùd che, partendo dalle pratiche teatrali come strumento di educazione trasversale, cerca di diffondere un’idea positiva di società multietnica attraverso attività rivolte a migranti di origini diverse, che crescono e si arricchiscono di anno in anno.

 

 

Alice: Che cos’è per lei la creatività?

 Emanuela Pistone: Una capacità visionaria che dà l’opportunità di guardare oltre, di ‘vedere’ ciò che è invisibile agli occhi. Credo che la creatività sia una caratteristica che possiedono molte persone, alcune hanno l’opportunità di sperimentarla mentre altre, più che impararla hanno bisogno che venga stimolata fornendo loro una serie di strumenti per poter esprimersi in un modo nuovo. Ad ogni modo, alla fine credo che creativi si nasca.

 

Ottavia: Quali sono i principali ingredienti del processo creativo?

 Emanuela Pistone: Un ingrediente del processo creativo è la capacità di vedere qualcosa che non è presente materialmente, un altro riguarda la capacità di concretizzare qualcosa che non esiste materialmente se non nella testa del visionario. Basti pensare alla creatività che viene espressa da ogni membro di un gruppo teatrale, scenografo, musicista, costumista, tecnici. Penso anche alla creatività di un artigiano che costruisce cose, alla creatività in cucina, nell’arredamento, nella moda, con le piante, nella scienza… La creatività non si manifesta solamente sul piano teorico ma anche su quello concreto, attraverso un pezzo artigianale o un arredamento, o una creazione in qualunque ambito. Il punto di partenza è una capacità visionaria a cui segue lo sforzo di renderla viva: allora può diventare un quadro, un oggetto, un abito, un giardino, una composizione musicale, una ricetta…

 

Alice: Come si sviluppa la sua creatività e in quali condizioni?

 Emanuela Pistone: Credo di ricevere più stimoli in ambienti caotici, tra le energie e gli stimoli di altre persone e oggetti. Per me sono importanti la collaborazione e l’ascolto dell’Altro. A questo proposito, la musica ha avuto, e ha, per me un ruolo fondamentale. Sono cresciuta con la musica dentro le mura di casa; mio fratello è musicista, e credo che questo abbia influito sullo sviluppo della mia parte creativa. La musica è per me il primo stimolo, ma trovo stimolanti anche le conversazioni altrui: entrare di traverso in conversazioni che non riguardano il mio ambito specifico mi incuriosisce, è un’altra fonte di stimolo. Comunque, all’interno del processo creativo ci sono fasi diverse e in alcuni momenti è necessario anche l’isolamento.

 

Ottavia: Che conseguenze ha sulle sue emozioni e sul suo stato d’animo la produzione creativa?

 Emanuela Pistone: La produzione creativa influisce sulle emozioni ma non in maniera lineare perché tutto dipende dalla specifica fase dell’atto creativo. Nella fase iniziale ci sono una grande esaltazione e una grande partecipazione emotiva perché si vede qualcosa per la prima volta. Dopo questa visione subentra invece una fase più concreta che può essere attraversata da sensazioni diverse come, ad esempio, il disprezzo per la cosa creata o in via di creazione. Ad ogni modo, vi è una grande influenza sulle emozioni perché la mia visione delle cose è condizionata dall’idea sulla quale sto lavorando in quel periodo.

 

Alice: Che incidenza ha l’atto creativo sulla percezione di sé?

 Emanuela Pistone: Sicuramente nell’atto creativo emerge il proprio essere. Io sono piuttosto autocritica, non sono quasi mai soddisfatta di quello che faccio e magari, a posteriori, mi trovo invece ad apprezzare ciò che avevo realizzato in passato. Non so dire se l’atto creativo determini dei grossi cambiamenti sulla percezione che ho di me stessa, sicuramente i momenti critici dell’esistenza coincidono con le fasi della parte creativa.

 

Alice: Cosa determina il suo atto creativo nel rapporto con gli altri?

Emanuela Pistone: In famiglia sono considerata un po’ fuori dalle regole, anche se in realtà quando conosco persone nuove vengo scambiata spesso per una professoressa. Credo sia a causa del mio aspetto borghese, rassicurante, che però contrasta nettamente con il mio modo di pensare e di fare.

 

Ottavia: Per lei è importante il riconoscimento degli altri per il prodotto creativo?

 Emanuela Pistone: Anche se molti artisti dicono di no, secondo me il riconoscimento degli altri è importante, a maggior ragione se si fa della propria arte il proprio mestiere. L’approvazione degli altri ha un peso, ma per alcune forme d’arte come la musica o il teatro, non credo che l’esibizione in pubblico sia il momento più determinante per l’artista; la composizione, la preparazione, la ricerca di alchimie, le prime esecuzioni, le prove, sono i momenti di maggior creatività. L’applauso del pubblico è certamente la gratificazione massima che un artista può avere sul palco, ma io non credo che coincida con l’apice della creatività.

 

 

Alice: Chi sono i principali fruitori del prodotto creativo? Come ne traggono giovamento?

Emanuela Pistone: Secondo me i principali fruitori sono gli artisti stessi, ma chiunque abbia voglia e abbia modo di accostarsi al risultato di un lavoro creativo può fruirne. Ci sono diverse categorie di persone che si avvicinano, in vari momenti, alla pratica creativa. I motivi possono essere i più diversi: per un’esigenza precisa, utilizzando l’arte come terapia; per il semplice piacere di gioire di un’attività diversa da quelle quotidiane. Molte persone che vivono ai margini della società non hanno la possibilità immediata di incontrare un atto, un percorso o un prodotto creativo, perché sono troppo impegnate a risolvere problemi più concreti e materiali; in questo caso, in qualche modo, andando incontro a chi non ha questa possibilità i risultati sono positivi. Questo è quello che cerco di fare con la mia associazione.

Ottavia: Quale immagine le viene in mente che possa ben rappresentare l’atto creativo?

 Emanuela Pistone: Dalla finestra del mio soggiorno vedo l’Etna, che in questi ultimi tre mesi ha dato uno spettacolo straordinario, perciò al momento per me non c’è atto creativo più forte di un’eruzione vulcanica: la potenza e la forza di un’energia incalcolabile e sotterrata, che ogni tanto ha la possibilità di emergere e che può anche distruggere.

 

Alice: Pensa che esista una relazione tra creatività e depressione?

 Emanuela Pistone: Non sono un’esperta dell’argomento, ma io stessa sono passata attraverso un periodo buio, un fatto piuttosto frequente nella categoria degli artisti. Siamo sempre di più ad avere queste sensazioni di sospensione, di attesa di un qualcosa che sembra non arrivare mai, che comporta una grande difficoltà di progettare, di guardare oltre. Quindi sì, credo che tra depressione e creatività ci sia un nesso.

 

Ottavia: Secondo lei, quando un prodotto creativo è davvero concluso?

Emanuela Pistone: Mai. Per me il prodotto creativo è in continuo movimento; anche un’opera che si fissa nel tempo (come un dipinto o un film) non ha mai una fine.

 

Ottavia: Pensa che la creatività sia un dono naturale, un privilegio di pochi o una competenza accessibile a tutti e che può essere allenata?

Emanuela Pistone: Credo che la creatività sia in parte un dono, una qualità, o meglio una caratteristica di alcune persone. È sicuramente possibile stimolare la creatività, fornendo una serie di strumenti a chi ha bisogno di esprimersi attraverso un linguaggio non verbale, ma io credo che l’arte non si possa imparare: creativi si nasce. Semplicemente qualcuno ha maggiori possibilità di altri di sperimentare la propria creatività.

 

Alice: Pensa che la creatività possa avere una funzione sociale, ad esempio nelle scuole o nelle attività di recupero del condannato?

Emanuela Pistone: Decisamente sì; la creatività è uno strumento trasversale rispetto alla possibilità di ottenere risultati positivi in moltissimi ambiti. L’arte è uno strumento poco definibile, complesso; è un modo a sé che viene percepito in modo diverso da ciascuno di noi. C’è una grande differenza tra chi sceglie di fare della propria creatività il proprio mestiere e chi invece utilizza il processo creativo per riempire o arricchire la propria esperienza di vita, ma tutte le forme d’arte possono avere una funzione sociale.

 

Intervista ed elaborazione di
Ottavia Alliata e Alice Viola

Isola Quassùd     –     Interviste sulla creatività

Carmelo Carrubba

Carmelo Carrubba – Intervista sulla creatività

Carmelo Carrubba, pittore da decenni, da qualche anno si dedica con maggiore assiduità a quella che è stata la sua passione fin da piccolo, ovvero la scultura di pietre, metalli e materiali vari che raccoglie durante le sue passeggiate, una passione che ha ereditato dal nonno paterno, un pittore figurativo discretamente riconosciuto a Catania.

Il ritorno alle origini è stato attivato qualche anno fa da una pietra che “lo guardava” mentre Carrubba era a passeggio per le campagne di Ragusa. Nel volgere di poche ore ne è nata l’opera che egli definisce come la più spontanea e la più sorprendente delle sue. In conseguenza della estemporaneità della sua ispirazione, egli definisce la sua creatività merito soprattutto del suo istinto primitivo.

 

Elisabetta: Che cos’è per te la creatività?

Carmelo Carrubba: come prima cosa, credo utile distinguere fra creatività spontanea e quella indotta:

  • La prima comprende, ad esempio, gli episodi in cui, camminando per strada, vedo un oggetto che mi ispira e dà vita a un particolare progetto. Comincio ad immaginarmi cosa potrei fare con questo elemento naturale e in un secondo momento, mentre metto mano sull’elemento che mi ha attirato e procedo con il mio lavoro, esso si trasforma in un prodotto che non avevo previsto, che non corrisponde totalmente all’idea iniziale e che non sarei riuscito ad immaginare. In generale nell’arte, tranne per gli artisti che si dichiarano seguaci di una pittura piuttosto classica e sono quindi tenuti a seguire determinati canoni artistici, nessuno parte con un’idea precisa e un piano che viene seguito pedissequamente durante la produzione. Questo perché, in corso d’opera, ci sono tanti cambiamenti che portano ad un’idea diversa rispetto a quella da cui si era partiti. Paradossalmente, la creatività può prendere vita a partire da un errore, per esempio un colpo di scalpello inflitto troppo forte sulla pietra, che causa la rottura del naso sul viso che sto realizzando, e ciò costringe a rivedere e ripensare il prodotto creativo, il quale alla fine sarà differente da ciò che avevo immaginato all’inizio. È questo tipo di creatività spontanea che caratterizza in maggior misura la mia produzione artistica.
  • Con creatività indotta, invece, mi riferisco a quel tipo di curiosità verso un ambito preciso dell’arte, che nasce per esempio nel momento in cui l’individuo rimane colpito dalla visione di un documentario riguardante artisti molto particolari, e questo fa scattare l’interesse dell’artista.

 

Alice: quali sono i principali ingredienti del processo creativo?

Carmelo Carrubba: credo siano principalmente due: da un lato, troviamo la capacità di trasformare degli stimoli ambientali in un’opera personale, processo reso possibile da un’immaginazione fervida; dall’altro, la soddisfazione che deriva dalla creazione dell’opera una volta portata a termine.

L’immaginazione è una qualità fondamentale, in quanto è ciò che permette di creare un progetto a partire da qualcosa che ci colpisce. Per esempio, l’immaginazione gioca un ruolo fondamentale quando, camminando per strada, vedo un cartellone pubblicitario sbiadito e rovinato dagli agenti atmosferici e, osservandolo bene e andando al di là del mero oggetto di carta, mi rendo conto che all’interno di esso riesco a distinguere un’immagine astratta che mi ispira.

Tuttavia sono convinto che la capacità di immaginare non sia prerogativa esclusiva dell’artista e che tutti possano cimentarsi nel processo di immaginazione. Per esempio, se si domanda ad una persona naïf (artisticamente parlando) cosa vede nell’opera che sta osservando, ella risponderà guidata da ciò che la sua immaginazione le permette di vedere, immagine che quasi certamente sarà diversa da ciò che ci vedo io.

Un altro aspetto che mi piace sottolineare è che la soddisfazione che deriva dalla realizzazione del prodotto creativo, permette l’attivazione di un circolo virtuoso che spinge alla produzione continua di nuove opere.

 

Elisabetta: cosa avvia, come si sviluppa la tua creatività e in quali condizioni?

Carmelo Carrubba: sicuramente una condizione molto importante che porta allo sviluppo del processo creativo è la spontaneità citata poco fa. L’atto creativo, infatti, prende avvio in maniera molto spontanea, come se ci fosse un fattore scatenante che mi stimola e mi spinge ad attivarmi, a muovere le mani e a produrre qualcosa di nuovo. È come se fossi guidato da un istinto che mi induce ad esternare ed a concretizzare il mio estro creativo, attraverso la lavorazione di un elemento naturale che mi colpisce e che io raccolgo per poi lavorarlo.

Per esempio è da due anni che sto cercando di portare a termine un’opera, la quale, pur non essendo ancora finita, non corrisponde all’idea iniziale su cui ho basato il mio progetto. La scintilla per la realizzazione di quest’opera è nata da un oggetto piuttosto singolare che ho trovato in campagna, ovvero un semicerchio incurvato di metallo che ho poi lavorato con la cartapesta. Da questo oggetto abbandonato e dimenticato ha preso forma un uomo stilizzato che cerca di scappare – una delle caratteristiche delle mie opere è che non realizzo mai le figure in maniera dettagliata ma le lascio piuttosto stilizzate –. Ad un certo punto però, mi sono reso conto che più aggiungevo elementi, meno l’opera mi soddisfaceva. Allora ho cominciato ad eliminare vari elementi e l’opera cominciava ad appagarmi di più. Tuttavia non sapevo come portare a termine il mio prodotto creativo, in quanto non riuscivo a realizzare la testa di quest’uomo e, per quanto ci provassi, non trovavo la giusta ispirazione per concluderla. Per fortuna qualche giorno fa, per caso, ho notato un oggetto da me realizzato precedentemente: ho preso un bicchiere di plastica all’interno del quale ho versato della ceramica in polvere che, dopo essersi indurita, ha dato forma ad un elemento dalla forma molto particolare, che ho usato appunto come testa dell’omino stilizzato. Ora, quando guardo la mia scultura, mi sento finalmente gratificato e soddisfatto, in quanto percepisco che mi comunica qualcosa. Oltre ad un’ispirazione improvvisa, non credo ci siano altre particolari condizioni necessarie alla creatività.

 

Alice: che conseguenze ha sulle tue emozioni e sul tuo stato d’animo la produzione creativa?

Carmelo Carrubba: sono cresciuto in un ambiente molto prolifico nel campo creativo e questo mi ha indotto a percepire la creatività come una qualità a cui aspirare. La produzione creativa mi dà forza e sapere di poter creare qualcosa mi appaga e mi fa sentire potente. È una soddisfazione personale, profonda ed intima, che nasce proprio dall’ispirazione non programmata ed improvvisa che vi sta alla base. Inoltre, quando sono impegnato nel processo creativo, mi sento permeato da un profondo senso di tranquillità.

Un altro aspetto molto interessante è che, quando realizzo un prodotto creativo, mi sento contemporaneamente estraneo e partecipe: estraneo, perché sto dando vita ad un oggetto su cui ho un progetto iniziale ma di cui non conosco il prodotto finale; partecipe, perché sto creando un’opera grazie alla sola forza delle mie mani e della mia immaginazione. In un certo senso, durante la concretizzazione del progetto, percepisco un distacco dal pubblico del mercato artistico, nel senso che non produco per piacere agli altri e quindi vendere, ma per rispondere ad un mio moto interno che mi ispira.

 

Alice: e nel rapporto con gli altri cosa determina?

Carmelo Carrubba: credo che il confronto approfondito con gli altri sia ristretto ad una cerchia di artisti con le conoscenze e le competenze necessarie per comprendere ciò che produco. Il rapporto con le persone che non appartengono al mondo artistico è più difficile. In generale, percepisco tra le persone una diffusa ignoranza artistica, causata dalla mancanza di un’adeguata educazione in tal senso. Non mi stupisce che i figli di registi, pittori e scrittori facciano, a loro volta, gli stessi lavori dei propri genitori. Questo avviene perché, fin da piccoli, sono stati educati e hanno vissuto in un ambiente artisticamente prolifico.

 

Elisabetta: quanto è importante il riconoscimento degli altri per il prodotto creativo?

Carmelo Carrubba: Ogni volta che si fa qualcosa e la si propone agli altri, è bello ricevere dei complimenti, se questi ultimi sono sinceri. È giusto che ci sia il riconoscimento, perché ognuno crede nelle sue opere e per questo è bello ricevere un riconoscimento anche da chi non condivide la tua forma di espressione; a maggior ragione quando questo proviene da persone dello stesso settore.

La mia soddisfazione, comunque, non è rivolta alle persone che guarderanno la mia opera, prima di tutto devo  essere io ad apprezzarla.

 

Alice: Chi sono i principali fruitori del prodotto creativo? Come ne traggono giovamento?

Carmelo Carrubba: I fruitori possono essere tutti e tutti ne potrebbero trarre giovamento, ma tutto dipende dall’educazione e dall’ambiente in cui si è nati. Se si ha avuto la possibilità di entrare in contatto con persone che apprezzano l’arte, sarà più facile fruire dei prodotti creativi e, di conseguenza, trarne giovamento. Il problema, a mio avviso, è la scarsità di cultura artistica, ma tutti possono ottenere e portare beneficio attraverso questa o quella forma d’arte. Ciascuno a suo modo cerca di trasmettere anche agli altri quello che sente. Qualcuno giunge all’espressione artistica solo in età adulta, senza aver avuto un percorso artistico alle spalle, e penso che questa sia una cosa bella, che tutti dovremmo fare. Tutti dovremmo avere uno scopo diverso dalla solita giornata lavorativa.

 

Elisabetta: Quale immagine le viene in mente che possa ben rappresentare l’atto creativo?

Carmelo Carrubba: Mi viene in mente un’immagine che ho visto ultimamente in un bel film su Michelangelo. Quasi alla fine del film, Michelangelo si ritrova con una grande mazza in mano e una colonna di marmo; in quel momento dice: “mi stai distruggendo” ed era proprio ciò che io volevo fare.

 

Donna

Alice:  pensa che esista una relazione tra depressione e creatività?

Carmelo Carrubba: Nel mio caso no, ma tanti altri artisti, grandi artisti, avevano dentro di loro una grande depressione. Tra questi Van Gogh, la cui depressione ha sicuramente influito sulla sua arte, sulla sua espressione ad alto livello. Dunque non escludo che possa esistere questo legame e che alcune persone possano ovviare alla depressione grazie alla loro creatività.

 

Elisabetta: quando per lei un prodotto creativo è davvero concluso?

Carmelo Carrubba: per me l’atto creativo è concluso quando io stesso sono soddisfatto; quando mi rendo conto che il risultato è quello che all’inizio cercavo, anche se non me ne rendevo conto.

 

Alice: secondo lei, la creatività può avere una funzione sociale?

Carmelo Carrubba: certo, la creatività ha una funzione sociale in tutte le sue espressioni. L’arte permette dicomunicare qualcosa agli altri, di fornire qualcosa da cui si possa trarre ispirazione.

C’è anche chi vede l’arte come uno strumento al solo scopo di lucro, di vendita, ma per me questo non è il veroobiettivo dell’arte: l’arte prima di tutto deve ispirare, fornire dei punti di riferimento.

 

Elisabetta: lei crede che la creatività sia un dono della natura, un privilegio di pochi oppure una competenza accessibilea tutti che si può acquisire ed allenare?

Carmelo Carrubba: non so se la creatività sia un privilegio di pochi, ma sicuramente può essere allenata. Se qualcuno che non ha mai preso un pennello in mano si mette davanti ad una tela ed comincia a impastare i colori, può scoprire di avere un talento. Sicuramente ci sono state tante persone che hanno avuto il dono innato della creatività; grandi artistiche già da piccoli riuscivano a riprodurre delle figure in maniera perfetta, senza aver mai preso lezioni di arte, che hanno imparato  da completi autodidatti.

Nel mio caso, pur essendo io un autodidatta, l’arte mi ha portato a vedere le cose in modo diverso da come le vedevo istintivamente, a scoprire la piccola scintilla che ognuno di noi ha dentro e che, se viene accesa, si può sviluppare.

 

Alice: la creatività può avere un ruolo utile nelle scuole? E nelle attività di recupero del condannato?

Carmelo Carrubba: certamente, sia nelle scuole, che nelle carceri! Se alle persone che non hanno più uno scopo si dà come obiettivo quello di creare un prodotto artistico o di fruirne, il recupero sociale è sicuramente facilitato. L’arte aiuta a sviluppare la consapevolezza di essere su una strada diversa da quella percorsa in precedenza, di poter essere utili a sé stessi e agli altri. Quando l’arte porta ad ottenere il riconoscimento e la stima degli altri, aiuta a capire che ciò che si ha dentro può essere investito anche in questa direzione che, sicuramente, da tanta soddisfazione.

L’arte, di qualsiasi tipo, dovrebbe essere utilizzata per prevenire, anche nelle scuole. Parlando con i ragazzi, spesso noto che sono molto preparati sull’arte. L’altro ieri, è venuto a farmi visita un ragazzino di tredici anni insieme a sua madre; ha visto un’opera in vetro-resina che avevo riassemblato  perché era caduta, creando così un’opera nuova. Prima di andarsene, il ragazzino mi ha detto: “Carmelo, dovresti fare altre opere così. Prendi un palloncino, lo riempi con del gesso, lo fai gonfiare, poi lo rompi e riassembli tutto”.

Questo vuol dire che l’arte permette di vedere il mondo per quello che è ma anche e forse soprattutto di immaginarlo come vorresti che diventasse e di adoperare le tue mani, nei limiti di ciò che per te è possibile, per farlo andare in quella direzione… che, oltretutto, è anche gratificante. L’unico vincolo è che, per operare nell’arte, bisogna avere qualcosa dentro di sé che dia la spinta e occorre fare attenzione a percepirne i segnali. Tante volte, infatti, ci si lascia distrarre dal frastuono intorno e non si captano i segnali che hai dentro te stesso o che ti comunica una pietra che incontri per strada.

 

Intervista ed elaborazione di 
Alice Viola ed Elisabetta Vanzini

La galleria di Carmelo Carrubba – Interviste sulla creatività

Giulio Guerrieri

Giulio Guerrieri – Intervista sulla creatività

Giulio Guerrieri ha seguito un percorso di studi nel settore fotografico. Ha partecipato ad alcune manifestazioni artistiche nel settore dello spettacolo, dove ha potuto sviluppare la sua professione di fotografo. Ha iniziato così a documentare eventi, situazioni, ambienti di vita. Negli anni si è cimentato nel cortometraggio, col quale ha trattato temi sociali sulla lotta alla illegalità e per la sensibilizzazione alla memoria storica. Tra l’altro, ha prodotto un corto per i quarant’anni della scomparsa di Peppino Impastato e uno per i dieci anni della scomparsa di Lea Garofalo.

 

Alice: cos’è per te la creatività?

Giulio Guerrieri: direi che la creatività implica e alimenta uno sviluppo dell’intelletto, della fantasia e della manualità; questo processo può portare alla fotografia, a un percorso musicale, al cinema, a una delle tante attività artistiche.

 

Asia: quali sono i principali ingredienti del processo creativo?

Giulio Guerrieri: credo possano essere infiniti: la fantasia, le emozioni. Poi, l’ordine in cui si pongono può cambiare ogni volta. Ora come ora, mi sento di mettere al primo posto l’emozione e la passione. Nel processo creativo c’è bisogno anche di impegno, di preparazione, ci vuole una ricerca e uno studio. Ci vuole un’osservazione, un “guardarsi intorno”: a volte non ci si inventa nulla di nuovo, ma semplicemente si osserva il mondo. Non deve esserci un semplice copia e incolla, ma bisogna prendere spunto da una determinata situazione, mettere la propria creatività e trasformare.

 

Alice: cosa avvia e come si sviluppa la tua creatività, in quali condizioni?

Giulio Guerrieri: per creare qualcosa ci vuole una scintilla. Come quando si avvia il motore a scoppio, che ha quattro fasi: aspirazione, compressione, scoppio e scarico. Io penso che le stesse fasi ci sono nel processo creativo. C’è il momento dell’ispirazione, quello in cui cresce qualcosa dentro che fa aumentare la pressione, poi c’è la scintilla creativa e, infine, l’esplosione, come una liberazione nel vedere la tua arte realizzata. Conclusa la gravidanza, l’artista torna alla relazione col suo pubblico e a cercarne la reazione.

 

Asia: che conseguenze ha sulle tue emozioni e sul tuo stato d’animo la produzione creativa?

Giulio Guerrieri: il processo creativo scatena un trasporto, un viaggio. Il processo creativo è come un viaggio in cui c’è una scoperta. Buona parte del processo creativo è inconscio, come viaggiare su un treno e guardare, rapiti, dal finestrino: passano davanti agli occhi immagini e situazioni, lo stato d’animo viaggia e a un certo punto ci si imbatte in un’idea che ti viene incontro.

 

Alice: che incidenza ha l’atto creativo sulla percezione di te stesso?

Giulio Guerrieri: c’è una piccola trasformazione, a volte ci può anche essere un isolamento, un’introspezione. Non è detto che ci sia sintonia tra ciò che succede nel mondo esterno e ciò che l’artista sta vivendo. Dopo che hai portato a termine l’atto creativo può cambiare la percezione che hai di te stesso, nel senso che ci può essere un’insoddisfazione o una soddisfazione. Il processo creativo, nel momento in cui si sta creando, genera sempre un dubbio, è una continua ricerca, perché sai che c’è sempre qualcosa di meglio di ciò che hai creato ed è difficile accontentarsi.

 

Asia: nel rapporto con gli altri cosa determina il tuo atto creativo?

Giulio Guerrieri: secondo me il processo creativo può aver bisogno di complicità oppure può aver bisogno di isolamento. Alcuni scrittori, ad esempio, hanno bisogno di appartarsi in un contesto, magari naturale, quando devono scrivere, hanno bisogno di uscire fuori dalla routine. Per altri, invece, il processo creativo può scattare in una situazione normale, ad esempio mentre si è in fila per fare la spesa. Nel rapporto con gli altri, quindi, ci può essere la necessità di isolamento o la ricerca di complicità con gli altri, con la vita quotidiana che si unisce al processo creativo. Io preferisco la seconda.

 

Alice: quanto è importante il riconoscimento degli altri per il prodotto creativo?

Giulio Guerrieri: il riconoscimento degli altri ha sempre una grande importanza. Nessuno nasconde che c’è un ego artistico che desidera il riconoscimento degli altri. Però non bisogna avere paura di questo. Nel processo creativo bisogna credere in quello che si sta producendo e aver cura che sia spontaneo e naturale. Il riconoscimento è importante, ma non bisogna abbattersi se non c’è. La mancanza di riconoscimento può anche aiutare a proseguire la propria ricerca e a migliorarsi nel processo creativo.

 

Asia: chi sono i principali fruitori del prodotto creativo e come ne traggono giovamento?

Giulio Guerrieri: tutti siamo fruitori attivi e passivi dell’arte e tutti possiamo trarne giovamento, sia chi la crea, sia chi la riceve. Tante volte mi capita di essere colpito e coinvolto da quello che è stato creato da altri e che fa scattare anche in me un impulso creativo, come una sorta di rispecchiamento. Penso che l’obiettivo di chi crea qualcosa sia proprio questo: coinvolgere. Dunque, tutti siamo potenziali fruitori. Ognuno, però, beneficia dell’arte in modo differente, poiché una stessa opera può essere percepita in modo diverso da ciascuno.

 

Alice: quale immagine ti viene in mente che possa ben rappresentare l’atto creativo?

Giulio Guerrieri: l’immagine della maternità mi ha sempre affascinato; unisce uomini e animali e descrive il vero, primo atto creativo.


Foto di Tina Modotti

 

Asia: pensi che esista una relazione tra depressione e creatività?

Giulio Guerrieri: chi sta vivendo una fase di depressione può essere in un polo opposto a quello della fase creativa, ma non escludo che anche la depressione possa condurre ad un processo creativo, magari anche come forma di terapia. Ci sono tanti artisti che in fase depressiva hanno prodotto opere importanti; dunque, depressione e creatività possono certamente avere un legame, anche se non diretto: in una fase depressiva, il processo creativo non si ferma.

 

Alice: quando per te un prodotto creativo è davvero concluso?

Giulio Guerrieri: ogni prodotto creativo arriva ad una conclusione, che però rimane sempre aperta. La conclusione coincide con il riconoscimento del pubblico, con l’apprezzamento, che può essere manifestato, ad esempio, con un applauso dopo una pièce teatrale o dopo un concerto. Ci sono però alcuni prodotti artistici (come libri, dipinti) che per l’autore non si concludono mai, rimangono aperti a continue modifiche, anche dopo tanto tempo dall’apprezzamento del pubblico.

 

Asia: pensi che la creatività possa avere una funzione sociale? Se sì, quale?

Giulio Guerrieri: la creatività ha sicuramente una funzione sociale; deve averla, altrimenti è esclusivamente commerciale, è una creatività su commissione. Dopo che l’artista ha vissuto l’urgenza che scatena il processo creativo, il prodotto che ne viene fuori diventa stimolo di riflessione e discussione per altri. L’artista, in questo modo, ha messo a disposizione di tutti la sua urgenza, facendo sì che altri possano interrogarsi su problematiche di interesse comune. Credo che la funzione sociale della creatività sia proprio questa: fare scattare negli altri la voglia di approfondire temi a volte di attualità a volte senza tempo e di innescare altri processi creativi.

 

Alice: pensi che la creatività sia un dono naturale, un privilegio di pochi oppure una competenza accessibile a tutti che può essere allenata?

Giulio Guerrieri: tutti abbiamo le caratteristiche e gli ingredienti giusti per poter far tutto, ma ci sono anche delle differenze. C’è dunque sicuramente una predisposizione alla creatività, che abbiamo tutti in modo diverso, ma ciò che è fondamentale è rendersene conto, scoprirla e svilupparla. In questo, i genitori sono fondamentali: riconoscere una passione nei propri figli e riproporla, senza imporla, è il miglior modo per iniziare a coltivarla.

 

Asia: la creatività può avere un ruolo utile a scuola? E nelle attività di recupero del condannato?

Giulio Guerrieri: certo, la creatività ha un ruolo utile a livello sociale (sia per chi la produce, sia per chi ne usufruisce), è utile a scuola per far comprendere la soddisfazione che deriva dalla realizzazione di un prodotto. È importante che i bambini vengano allenati fin da piccoli a utilizzare il loro potenziale creativo. Per quanto riguarda l’utilizzo della creatività per il recupero del condannato, penso che in uno stato mentale e fisico di una persona condannata, che si trova in una condizione non naturale, utilizzare il proprio lato creativo possa essere utile per poter agire al meglio.

Intervista ed elaborazione di 
Asia Olivo e Alice Viola

  La cartolina, di Giulio Guerrieri –  Interviste sulla creatività

Francesco Scoccimarro

Francesco Scoccimarro – Intervista sulla creatività

Franco Scoccimarro ha lavorato nell’ambito della produzione industriale, ma al cuore della sua attività, fin da bambino, ci sono sempre stati il disegno e la pittura. Ricorda con simpatia che alle scuole elementari ebbe anche un premio per un disegno raffigurante il Duomo di Milano. La consapevolezza della sua passione per l’arte figurativa, tuttavia, si fa chiara molto più tardi, quando comincia a collezionare i numeri de “I maestri del colore”. Da adulto, ha seguito la sua passione spesso lavorando di notte, riuscendo a volte a vedere i colori nella luce naturale soltanto nel fine settimana.

 

Alice: Cos’è per lei la creatività?

Franco: La creatività può essere diverse cose: un percorso che produce una novità; la capacità di connettere categorie estranee tra loro; l’invenzione di antichi strumenti di sopravvivenza per rispondere ad una emergenza; possiamo anche dire che è  selvaggia dell’intelligenza.


Ciro – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: Cosa avvia, come si sviluppa la sua creatività e in quali condizioni?

Franco: Premesso che per me non esiste un ambito preferenziale per esercitare questa specie di gioco, mi capita in ogni momento di avvicinare idee o cose di genere diverso, di assemblarle, rivoluzionandone finalità, architettura e logica, e questo per creare un oggetto nuovo. Forse le migliori occasioni in cui scatta l’impulso creativo sono quelle in cui scoppia il conflitto che a volte vivo con il “comune sentire”. Altre volte nasce da un contrasto fra l’oggetto che ho davanti e quello di cui avrei bisogno. A quel punto si attiva una ricerca di soluzioni per farlo diventare quello che desidero.


Disordine e armonia – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: c’è un’immagine che per lei rappresenta bene l’atto creativo?

Franco: l’atto creativo è soprattutto negli occhi di chi guarda, non sempre è clamoroso, a volte basta una piccola armonia inedita (che si può scovare, peraltro, in qualsiasi momento della vita) per rinnovare vecchi equilibri omologati o giungere, attraverso sentieri imprevisti, a una nuova consapevolezza personale. A volte l’ultimo granello di sabbia della duna, rotolando giù, innesca lo spostamento totale.


Periferie di leggerezza precaria (OTAITTAB) – Franco Scoccimarro

 

Alice: Che incidenza ha l’atto creativo sulle emozioni e sulla percezione di se stesso?

Franco: Mi piace e mi fa star bene costruire uno scaffale con vecchie imposte o una lampada con il cocco a far da paralume e un tendicavo per alzarla ed abbassarla. Questo stesso meccanismo si ripete con i concetti e le idee; allora vengono le battute, gli accostamenti trasgressivi. E’ bello scoprire contraddizioni, oppure, se le cose vanno troppo lisce, inventarle. Pensiamo, ad esempio, ai tagli di Fontana. Da parte mia, Quando finisco un’opera sono contento perché mi sono impegnato nel portare avanti una sfida. In linea generale, riconosco che mantenere una certa continuità con la mia attività artistica e tentare di fare al meglio ciò che faccio mi aiuta a stare in pace con me stesso…  anche nei periodi in cui con me stesso non sono in ottimi rapporti.

Schegge – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: E che effetto ha nel rapporto con gli altri?

Franco: Non sempre la mia creatività entra nel rapporto con gli altri. Ho figli e nipoti, un soddisfacente e normale rapporto con gli altri. Se la conversazione si sposta sui miei lavori, il discorso ha ogni volta le sue peculiarità e prende pieghe diverse.

 

Alice: Quanto è importante il riconoscimento degli altri verso il suo prodotto

Franco: È importante perché mi gratifica, indubbiamente, ma non è un’ossessione, non è la ragione per cui dipingo. Non penso mai a come una mia opera possa essere accolta. Io stesso sono critico con i miei lavori e capisco che anche gli altri possano esserlo.


Frammenti – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: pensa che esista una relazione tra depressione e creatività?

Franco: Non mi sembra che mia creatività sia correlata in un senso o nell’altro con la depressione, parlo della depressione che in qualche misura tutti vivono di tanto in tanto. Ma penso che entro certi limiti possa esistere fra le due cose una relazione. La depressione è entrare di più in sé stessi ed evitare, per diverse ragioni, la comunicazione con l’esterno per periodi più o meno lunghi. Questo, a volte, è anche il mio atteggiamento: l’atteggiamento di chi frequenta la creatività. Dunque, ci sono delle analogie. Ma che io sappia, nel mio caso, non ci sono ricadute negative: non considero il mio cercare in me stesso un modo per escludermi dall’ambito sociale. Ognuno ha le sue attitudini.

 

Alice: Quando un prodotto creativo è concluso?

Franco: Mai. Molte volte, anche a distanza di anni, torno a mettere le mani su miei lavori vecchi.


Tangenze – Franco Scoccimarro

 

Alice: secondo lei la creatività è un dono naturale o una competenza che si può allenare?

Franco: La creatività non è un dono, come non lo sono i peli del naso o l’intestino cieco; tutti noi siamo l’esito del sacrificio selettivo di chi ci ha preceduto; la creatività è l’eredità della selezione di cui siamo potatori e beneficiari e alla quale siamo giunti, una generazione dopo l’altra, mentre alcuni dei nostri antenati venivano sopraffatti dalle avversità e altri riuscivano a venirne a capo. La creatività è una delle nostre abilità e certamente può essere stimolata e allenata.

 

Ottavia: Chi sono i principali fruitori del prodotto creativo?

Franco: penso che ogni lavoro artistico abbia dentro di sé la capacità di coinvolgere qualcuno; ma perché ciò accada è necessario che l’osservatore abbia una sensibilità che possa entrare in comunicazione con l’opera. Cerco nell’armonia un mezzo di per comunicare. Se non fossimo in un ragionevole equilibrio fisico e armonico non potremmo esistere. Tutto l’universo è costruito su queste singolarità e tutto il resto viene di conseguenza; l’armonia è il linguaggio dell’universo e, forse, come sostengono i fisici, l’universo è linguaggio.


Coriandoli – Franco Scoccimarro

 

Ottavia: secondo lei la creatività può avere una funzione sociale? Se sì, quale

Franco: Si, eccome! Spesso le immagini e le sintesi creative arrivano molto più rapidamente ed efficacemente al destinatario. Ad esempio, il quadro “La zattera della medusa” – di Géricault – esprime il dramma di un naufragio come nessun’altra descrizione.

Non è possibile trasmettere così direttamente il senso di un naufragio raccontandolo a parole.

Anche il “Guernica” di Picasso rappresenta un dramma come delle parole non riusciranno mai ad esprimere.

 

Allo stesso modo, la foto di Robert Capa del soldato sulla collina che sta per cadere a terra dopo essere stato colpito da un proiettile.

Oltretutto, un linguaggio attraente spesso è fondamentale nella comunicazione, come ben sanno i pubblicitari che hanno il creativo come figura professionale…

 

Ottavia: la creatività può avere un ruolo nelle scuole o nelle attività di recupero del condannato?

Franco: Si, sicuramente. La creatività può contribuire all’autoconsapevolezza, alla capacità di apprezzare, riconoscere e alimentare il proprio impegno nei confronti della società, delle relazioni. Chiunque si ponga nei confronti delle relazioni in modo consapevole ha una chance, una carta in più. Riconoscere, educare e allenare le proprie capacità cambia profondamente la propria immagine e concorre considerevolmente a positive relazioni sociali.


Residui – Franco Scoccimarro

Credo che la creatività, intanto che viene coltivata, permetta all’individuo sia di migliorare il rapporto con se stesso sia di avere una relazione funzionale con la collettività. Sono importanti entrambe le cose anche se qualche volta l’una si sviluppa in contrasto più o meno aspro con l’altra. A volte, la spinta che motiva a ottenere il riconoscimento degli altri va a discapito del rapporto con le nostre peculiarità e l’esplorazione delle nostre risorse.

Intervista ed elaborazione di 
Alice Viola e Ottavia Alliata

Galleria F. ScoccimarroInterviste sulla creatività