La slot machine

Tra le tante attività e progetti realizzati dal Gruppo della Trasgressione, convegni, concerti, incontri con le scuole per parlare di prevenzione al bullismo e alla tossicodipendenza, una è la nostra rappresentazione teatrale,“LA SLOT MACHINE”,  che porta in scena il gioco d’azzardo.

  • Gli interpreti sono gli effettivi protagonisti di questa patologia e detenuti presso il carcere.
  • Gli obiettivi comunicativi della nostra rappresentazione sono diversi:
  • L’attrazione, la seduzione esercitata sull’uomo dal caso e dal rischio a cui si abbandona lo sfidante;
  • La vulnerabilità alla dipendenza del gioco che porta lo sfidante a perdersi in un loop nel quale il gioco diventa la sua nuova e famelica realtà, mentre la sua realtà precedente si disgrega giorno per giorno;
  • La perdita di qualcosa di valore come i legami affettivi (famiglia e amicizie), la casa, la professione, con l’ossessione di ottenere qualcosa di valore maggiore;
  • Il degrado a cui inevitabilmente va incontro lo sfidante, il desiderio incontrollabile di giocare, la “rincorsa” verso l’ennesima umiliazione per recuperare ciò che ha perso;
  • La negazione del problema, le menzogne che lo sfidante si racconta e che racconta per occultare comportamenti illegali come la frode, le falsificazioni;
  • L’annientamento dell’identità dello sfidante e la deriva psico-fisica che ne consegue.

Lara Giovanelli                   Il Gioco d’azzardo

Il gioco d’azzardo

Nelle patologie umane, anche in quelle più gravi, non c’è nulla che non sia presente in embrione anche nella esperienza comune di tutti i giorni.

Una prima osservazione sul gioco d’azzardo:

  • mentre il gioco classico è una rappresentazione della realtà, dove gli sfidanti si impegnano in una competizione che lascia sostanzialmente inalterate le vite e gli equilibri di chi ha giocato;
  • il gioco d’azzardo, al contrario, fa diventare il gioco una realtà e, nei casi più gravi, causa un progressivo degrado nella vita del giocatore.
I bari, Caravaggio

Il gioco d’azzardo è per definizione una sfida col caso nella quale non vengono impegnate le competenze dello sfidante e il cui esito non dipende da quello che lo sfidante ha saputo costruire. Il futuro dello sfidante, infatti, è affidato al caso.

Ma chi è nell’immaginario dello sfidante il caso?

  • una “mano divina” in grado di muovere le fila dell’esistenza.
  • un occhio onnipotente e malvagio, che intercetta l’immagine frammentaria che il giocatore ha di se stesso e che si nutre delle sue sconfitte;
  • un’autorità cattiva e respingente, che il giocatore spera possa almeno una volta accoglierlo, ma che alla fine lo respingerà come previsto dal drammatico copione che egli ha chiuso dentro se stesso.

Nei casi più patologici, il Dio del Gioco d’azzardo è un’autorità perfida e seduttiva, che ti apre le braccia per lasciarti ogni volta con l’ennesima umiliazione, con la riprova che questo mondo non è per te, non ti è accessibile se non attraverso le porte del caso… porte che ti vengono aperte solo le poche volte in cui, per distrazione o perfidia, lo sguardo onnipotente della slot machine si distoglie dalla tua inabilità a costruire…

La Chiromante, Caravaggio

…ma se quel giorno dovesse lasciarti vincere, sarai tu stesso a ricordarle che il tuo destino è perdere, così da tornare alla condizione di sempre, cioè quella per cui credi di sperare nella sua accoglienza e benevolenza, ma sai, e in qualche misura vuoi, che la beffarda autorità che hai dentro di te torni a cantarti la canzone di sempre: “non te lo meriti, sei un inetto, anche oggi rimani fuori, provaci domani

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Punto tutto sul rosso

Punto tutto sul rosso
Adriano Avanzini

Realizzare dei quadri può avere qualcosa in comune con il gioco d’azzardo? Credo molto più di quanto si possa immaginare, almeno per quello che riguarda me. Provo a dirlo così, con una metafora semplice, anche se un po’ banale e inflazionata: nella vita si può scegliere di realizzarsi puntando sull’avere piuttosto che sull’essere; sul nero, piuttosto che sul rosso.

Su quale delle due opzioni, alla luce dell’esperienza vissuta, sia preferibile optare, ancora oggi permangono in me imbarazzanti perplessità. Comunque sia, di fatto, io ho puntato sulla seconda opzione, sulla casella rossa, sull’essere. Mi ero convinto che era così che bisognava fare.

Bene, per farla breve, i miei quadri sono come le fishes che si usano per puntare, e le ho messe lì, tutte, uno sopra l’altro, sulla casella rossa. Poi la pallina ha cominciato a girare e a girare, più volte. Più volte si è fermata, e si è fermata sul nero!

Ho perso? A questa domanda non so rispondere con certezza. Mi viene un pensiero però, ed è questo: vincere e perdere fanno parte di una stessa categoria, della categoria dell’avere; in quella dell’essere mica si vince o si perde come in una partita di calcio o una gara a chi arriva primo.

Forse allora tutte le volte che ho messo le fishes dei miei quadri sulla casella rossa non ho fatto altro che mettere cose, aggiungere tasselli su tasselli, al mio essere, alla mia identità? Che mi sia arricchito così?

Forse allora tutte le volte che ci si mette davanti ad una slot-machine o a qualsiasi altro gioco d’azzardo, si vorrebbe vincere un pezzo di sé, della propria identità? Solo che si punta sulla casella sbagliata, quella nera, quella dell’avere.

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