Una lunga notte

All’improvviso riapro gli occhi. È ancora buio. In un attimo realizzo che non mi trovo nella mia cella: infatti sono in permesso e quindi stavo dormendo in un luogo estraneo. Tutt’intorno regna il silenzio assoluto; allora che cosa mi ha svegliato? Una sensazione di allarme mi pervade; d’istinto allungo la mano verso il comodino a fianco al mio letto per guardare l’ora sul display del telefonino: è l’una. Nel mentre noto che ho ricevuto, quattro minuti prima, due messaggi; la sensazione di allarme aumenta e viene confermata dal testo dei messaggi.

È Zeno che mi scrive: sua madre l’ha cacciato di casa. Zeno (uso un nome di fantasia per tutelare la sua privacy) è un ragazzo ancora minorenne che sta vivendo un periodo difficile e con il quale mi sto relazionando da qualche mese. Sta vagando, incazzato ma anche un po’ spaventato, per il suo quartiere, che a quell’ora è popolato solo da sbandati in cerca di un surrogato di felicità da consumare a basso prezzo. Il rischio di commettere qualche cazzata è enorme, ma Zeno non ha ancora intrapreso la “strada senza ritorno” perché dentro di sé è consapevole di essere sul ciglio del burrone. Pertanto, dopo averci  riflettuto per un bel po’, dimostrando maturità e una buona dose di umiltà – perché alla sua età è difficile ammettere di avere bisogno degli altri -, decide di contattarmi; ma è quasi l’una di notte e quindi, per non disturbare troppo, invece di telefonarmi mi invia due messaggi, il primo a distanza di un minuto dal secondo. Immediatamente gli rispondo, e così inizia una lunga notte.

La nostra comunicazione  in principio si svolge solo attraverso messaggi; lui si sfoga esternandomi tutto il suo malessere e la difficoltà di rimanere ancorato alla vita che pare gli stia sfuggendo. Le sue parole mi allarmano sempre di più; vorrei andare  a prenderlo, ma non posso uscire di casa perché una delle prescrizioni che mi ha dato il magistrato mi impone di stare a casa dalle 22 alle 7 del mattino seguente. Allora decido, a mia volta, di chiedere aiuto ai miei compagni del Gruppo della Trasgressione.

All’appello risponde prima Eleonora e subito dopo Alessandra: entrambe conoscono Zeno. Chiedo  loro se sono disposte ad andare a prendere Zeno per portarlo da me e immediatamente si rendono disponibili. A quel punto chiamo  Zeno sperando che mi risponda poiché è restio a parlare al telefono. Gli prospetto la situazione e lui, purtroppo, rifiuta  perché non vuole dare fastidio… Naturalmente gli faccio capire che per me è un piacere e aggiungo che è normale dare una mano a un amico. Ma Zeno è irremovibile, mi dice di stare tranquillo perché ha un posto dove dormire: il box di un suo amico. Nel frattempo anche Alessandra ed Eleonora cominciano a comunicare con lui, e così, lentamente, Zeno si tranquillizza. Questa situazione va avanti sino alle quattro, finché lui stesso ci dice che sta meglio e che è il caso che andiamo tutti a dormire… Prima di lasciarci mi dice che l’indomani, o meglio, in mattinata – data l’ora – avrebbe chiesto a suo padre (i suoi sono divorziati) se lo ospitava e che mi avrebbe chiamato per darmi conferma. Alla fine mi saluta ringraziandomi e mi  dice “ti voglio bene”. Queste ultime tre parole, così potenti nella loro semplicità, penetrano nel mio cuore e… mi commuovo.

Alessandra ed Eleonora sono state due alleate preziosissime; insieme abbiamo fatto squadra e siamo riusciti a contenere una situazione che poteva degenerare. Questa è la forza del Gruppo della Trasgressione: poter contare su persone competenti, motivate e disponibili a prendersi cura di chi è in difficoltà. Sono estremamente orgoglioso di far parte di questo gruppo.

Questa vicenda mi ha fatto vivere delle emozioni che non avevo mai provato poiché mi sono trovato a dover svolgere la funzione di genitore, cosa per me nuova visto che non sono padre. Ho potuto toccare con mano cosa può provare un genitore quando è in ansia per il proprio figlio e la gioia che si prova quando sai che è in salvo, anche se non definitivamente.

Naturalmente i problemi di Zeno non sono magicamente scomparsi. Sarebbe stupido illudersi che le problematiche di un ragazzo che ha vissuto un’infanzia difficile, le cui conseguenze si stanno manifestando nell’adolescenza, vengano cancellate con un colpo di spugna. Purtroppo è probabile che si troverà in altre situazioni rischiose, in cui un passo falso potrebbe compromettere in modo rilevante il suo futuro. Pertanto, il nostro dovere di adulti è quello di accompagnarlo in questa complicata fase della sua esistenza, riconoscendolo innanzitutto come persona e infondendogli quotidianamente quella fiducia in se stesso che lo aiuti a non sentirsi inadeguato.

Io sono certo che Zeno ce la farà a non essere risucchiato dall’ambiente criminale: è troppo intelligente per farsi fottere la vita da quegli stronzi che cercano di sedurlo facendogli credere che l’esistenza stessa vada presa a morsi e che il lavoro, l’impegno, la serietà e la responsabilità sono cose inutili da coltivare.

Come promesso, la mattina successiva Zeno mi ha chiamato e mi ha detto, con entusiasmo, che sarebbe andato ad abitare da suo padre.

Abbiamo fatto solo un piccolo passo avanti, ma ciò che conta è che finalmente Zeno si è  incamminato verso la libertà, quella libertà che nasce dai valori di civiltà su cui poggia l’essenza della società e che Zeno dovrà conquistarsi giorno per giorno costruendo, assieme alle persone che fanno il tifo per lui, la piattaforma che gli consentirà di fondare il suo progetto di vita.

Opera, 12 maggio 2017

                  Alessandro Crisafull

Storie

Un pomeriggio di libertà

Alcuni giorni fa, con il Gruppo della Trasgressione, ho avuto la possibilità di trascorrere un pomeriggio nel carcere di Opera, una realtà che mi ha sempre incuriosito sin da ragazzina. Premetto che già in altre occasioni ho potuto assistere alle attività del gruppo e più volte avrei voluto scrivere un mio pensiero riguardo le emozioni che ho provato in questi incontri, ma essendo riservata e insicura mi sono sempre bloccata.

Sembra un paradosso, ma ascoltando le parole di alcuni detenuti ho provato una sensazione di pura libertà. Quella libertà mentale che da tempo stavo cercando. Grazie agli interventi dei detenuti, delle vittime delle mafie e degli studenti, ho rivisto in me quella bambina che ho tenuto nascosta fino ad oggi e soprattutto la rabbia che tenevo sotterrata.

Riflettendo sul mio passato mi sento di dire che a differenza dei detenuti sono stata fortunata a non perdermi quando mi sono sentita tradita dagli affetti più cari. L’avere vissuto in un collegio per i tre anni delle scuole medie, per scelta dei miei genitori, mi ha segnato particolarmente a tal punto da farmi sentire sbagliata sia all’interno della mia famiglia che nella società. Intanto la rabbia in me aumentava sempre di più e mi spingeva a sentimenti di vendetta nei confronti delle persone che mi stavano accanto. Oggi a distanza di molti anni e mamma di tre figli posso affermare, pur non avendo commesso reati, che quell’evento ha segnato la mia vita e avrebbe potuto spingermi a svendere i miei valori.

Ascoltando le varie persone del gruppo mi sono resa conto che questo rancore e questa sete di vendetta esistono ancora dentro di me e si ripresentano in ogni occasione, ad esempio esco da una separazione dolorosa, un fallimento che mi ha portato ad avere anche qui una rabbia ingestibile dentro di me da non riuscire a perdonare e a perdonarmi. In carcere, accanto ai detenuti, mi sono sentita libera respirando la loro forte voglia di libertà. Immedesimarmi in loro mi ha permesso di percepire le motivazioni che li spingono al cambiamento, proprio ciò di cui ho bisogno anch’io pur essendo una cittadina libera. Anche le parole delle vittime delle mafie e di una studentessa mi hanno colpito e ricordo che mi è sorta spontanea una domanda: ma chi sono io per poter giudicare e non riuscire a capire la forza del perdono? Q

uesta per me è stata un’esperienza forte ed emozionante al tempo stesso per cui ringrazio soprattutto il mio compagno e poi il Gruppo della Trasgressione che mi hanno permesso di viverla e di guardarmi dentro.

Francesca Zani

Relazione di tirocinio

TIROCINIO PRE LAUREA PRESSO “ASSOCIAZIONE TRASGRESSIONE.NET”

Lucia Brizzi, Matricola:  822087
Corso di studio: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE
Tipo di attività: Stage  esterno
Periodo: dal 09/1/2018 al 02/01/2019

 


Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Il gruppo della trasgressione è un’associazione che opera all’interno degli istituti penitenziari milanesi di Milano Opera, Bollate e San Vittore.

Il gruppo è guidato dal Dott. Angelo Aparo, psicologo e psicoterapeuta che lavora da anni all’interno degli istituti. L’obiettivo, grazie alla collaborazione fra detenuti, volontari e studenti universitari, è di sviluppare una sinergia interna e un dialogo costruttivo per l’individuo attraverso tematiche che portino all’introspezione e a indagare sul passato. I detenuti, gli studenti e i volontari si scontrano con la propria emotività, con le debolezze, con la rabbia e l’orgoglio: la riflessione è faticosa, ma è una sfida con se stessi.

Inoltre, grazie a tale dialogo, che prende forma a partire dagli incontri settimanali che si svolgono all’interno degli Istituti, si sviluppano le diverse attività proposte dal gruppo mediante convegni, seminari, concerti e rappresentazioni teatrali che spesso coinvolgono gli studenti delle scuole medie e superiori.

Grazie al gruppo, il detenuto è spinto a reinserirsi nella società, non più come un soggetto deviante, bensì come membro effettivo in grado di dare un contributo utile grazie alla consapevolezza e alla responsabilizzazione maturate nel corso degli anni. Quello che una volta era considerato un membro “deviante” della società diventa così un membro “operante”.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

In quanto tirocinante ho partecipato agli incontri fissi del gruppo, ad alcuni incontri con gli studenti e ad eventi come il mercatino organizzato all’interno della casa di reclusione di Bollate.

Il mio ruolo consisteva nell’osservare criticamente le dinamiche del gruppo e gli interventi dello psicologo/coordinatore, oltre che nel partecipare attivamente con riflessioni e pensieri personali sulle tematiche discusse.

Inoltre, dal punto di vista logistico, ho aiutato nell’organizzazione di alcuni convegni che prevedevano la partecipazione di persone esterne agli istituti carcerari e mi sono occupata della creazione di alcuni eventi sulla pagina Facebook dell’associazione, al fine di divulgare le attività svolte dal gruppo.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

L’associazione propone numerose attività volte a rendere i detenuti consapevoli e in grado di dare un contributo alla società. Le attività settimanali consistono nel discutere tematiche differenti facendo emergere i diversi punti di vista dei partecipanti al gruppo con riflessioni autocritiche.

Ogni mese sono portati avanti vari progetti nelle scuole con lo scopo di aiutare i detenuti ad entrare in contatto con i ragazzi, in modo da dar loro la possibilità di raccontare le proprie esperienze rendendole strumento di prevenzione per le devianze giovanili. Questi incontri danno la possibilità di un’interazione curiosa e insolita tra adolescenti e detenuti, con spunti di riflessione da e per entrambe le parti in gioco: i detenuti si interfacciano con le nuove generazioni e gli studenti hanno la possibilità di conoscere una realtà che non sempre è realmente distante da loro.

Inoltre, da poco è stato avviato un progetto rivoluzionario che ha consentito ad alcuni detenuti ergastolani con la semi libertà (reclusi al carcere di Opera) di poter entrare a San Vittore come cittadini liberi grazie all’articolo 17. Il progetto permette di mettere in contatto persone detenute da anni e con un percorso rieducativo alle spalle con dei giovani detenuti ponendosi due obiettivi: responsabilizzare e rendere utili alla società i primi ed educare i secondi.

Tra le proposte rivolte al pubblico vi è la rappresentazione del mito di Sisifo a cui partecipano i componenti del gruppo (detenuti, studenti e volontari). Ciò permette a tutti di mettersi in gioco in prima persona, con uno scopo didattico sia per gli “attori” sia per gli spettatori. Un elemento importante di tali rappresentazioni è l’improvvisazione: gli attori si preparano sulle tematiche, le studiano e le elaborano per poterle trasmettere con maggior intensità possibile, ogni volta con parole e gestualità diverse.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Il coordinatore era presente a tutti gli incontri e a tutti gli eventi organizzati e aveva un rapporto diretto con tutti i tirocinanti. Egli cercava di farci sviluppare un pensiero critico e uno sguardo curioso verso la realtà carceraria. In quanto tirocinante dovevo mantenermi aggiornata sui diversi eventi organizzati dal gruppo e prendere appunti sui temi trattati e sulle eventuali organizzazioni degli eventi.

 

Conoscenze e abilità acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Tale esperienza mi ha portato ad acquisire conoscenze di diverso tipo.

Ho imparato a conoscere, seppur superficialmente, il mondo carcerario da un punto vista burocratico (richieste d’ingresso in carcere, richieste per fare uscire i detenuti), organizzativo (come si organizzano gli eventi che prevedono la partecipazione di persone detenute), ma soprattutto umano (il rapporto tra detenuti, detenuti-assistenti e detenuti-educatori).

Ho approfondito le dinamiche interne al gruppo, apprendendo concetti studiati precedentemente solo attraverso corsi universitari, e osservando come si possano sviluppare delle discussioni a partire da spunti filosofici, politici, sociali come dalle dinamiche quotidiane, apparentemente lontane dagli argomenti che verranno trattati.

Inoltre, ho esperito personalmente quanto l’ascolto e la condivisione possano essere difficili, ma anche come una coesistenza di essi possa portare a una crescita importante, capace di facilitare la comprensione dell’altro.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Grazie al tirocinio sono riuscita, parzialmente, a combattere qualche mia insicurezza e timidezza nel parlare di fronte agli estranei. Questa esperienza mi ha spinta a superare i miei limiti: ho dovuto parlare di fronte a un centinaio di studenti (in un momento inaspettato), sono stata mandata come “rappresentante” del gruppo in alcuni eventi. In questi casi, sono stata caricata di una responsabilità che mi ha aiutato ad avere fiducia nelle mie capacità espressive.

Ero una componente effettiva del gruppo, dovevo mettermi in gioco non solo come osservatrice, e ciò mi ha portato a sviluppare maggiori capacità nell’analizzare criticamente la realtà.

Il gruppo della trasgressione mi ha fatto riflettere molto su me stessa, su chi sono, chi voglio diventare. Il confronto con una realtà che vedevo come distante anni luce, mi ha portato a capire l’importanza di progettare il mio futuro e cominciare da subito a costruirne le basi.

 

Altre eventuali considerazioni personali

Più volte, al gruppo e nei momenti di incontro con gli studenti, si è parlato di progettualità. Si è detto che il progetto è ciò che ti porta a vivere con criterio e che ti guida nelle scelte. Per molti detenuti tale progetto non si è delineato o è stato cancellato e questo, insieme ad altri motivi contingenti, li ha portati a un disorientamento che li ha successivamente condotti alla reclusione.

Il disorientamento è ciò che, a parer mio, avvicina il mondo dei giovani di oggi e dei detenuti. Nella società odierna la maggior parte dei giovani non ha un progetto. Ciò potrebbe essere imputabile a una mancanza di prospettive o anche solo alla superficialità e al disinteressamento degli stessi.

Eppure, non tutti i ragazzi diventano dei delinquenti, non tutti commettono reati, non tutti si ritrovano a dover vivere reclusi. Perché? Chiunque può contribuire e dare la propria opinione per poter arrivare a delle conclusioni.

Questo è il genere di riflessioni che emergono al gruppo: riflessioni universali e che toccano ciascuno indistintamente, a prescindere dall’età, dalla nazionalità e dalla “residenza”.

L’esperienza al gruppo della trasgressione mi ha fatto toccare con mano una realtà che fino a poco tempo fa mi sembrava appartenere solo ai film d’azione e alle serie tv. Mi ha fatto comprendere come la detenzione possa essere utile se con essa è previsto un accompagnamento e se si è costretti a una riflessione quotidiana che porta a consapevolezza e responsabilità.
Grazie al tirocinio e alle riflessioni che ne sono emerse credo che le persone che commettono gravi errori possano affrontare il cambiamento solo se riescono a recuperare un legame con la società da cui hanno deviato. Per fare questo ci deve essere un accompagnamento da parte di quelle stesse istituzioni che il deviante ha tanto odiato nel suo passato.

La figura dello psicologo è centrale nel recupero del detenuto, ma senza la collaborazione delle istituzioni e della società stessa è difficile che il recupero sia completo.

Personalmente, credo che la riabilitazione del detenuto possa essere efficace, ma la società stessa deve essere rieducata a liberarsi dai pregiudizi che la legano a una visione ristretta e stigmatizzata della realtà carceraria. Il Gruppo della Trasgressione sta cercando di rivoluzionare il sistema, ma ha bisogno che la comunità impari a sostenere tali sforzi.

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