Letteratura, punizione e vergogna

Ascoltare le testimonianze dei tossicodipendenti mi ha ricordato il romanzo di Stevenson “Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Sig. Hyde”
Nel romanzo, un rispettabile dottore della Londra benestante di fine secolo XIX inizia ad assumere una sostanza a titolo sperimentale, per vedere “l’effetto che fa”, come scherzosamente recita una popolare canzone di Jannacci e molto più macabramente la cronaca dei giorni scorsi sul delitto Varani a Roma.

Ma, iniziata per essere studiata scientificamente, l’assunzione della sostanza sfugge di mano al dottor Jekyll, che a un certo punto, anche senza più volerlo, si trasforma nell’essere ripugnante e senza freni morali che la sostanza risveglia in lui. Ciò lo porterà alla morte, ma ancor prima all’abdicazione di sé.

Il romanzo viene scritto in epoca vittoriana, in cui la moralità viene perseguita ad ogni costo fino a diventare un’ossessione, al punto da rivestire tavoli e sedie fino a terra in quanto le gambe degli stessi potevano essere percepite come simboli fallici. La rigidità delle regole cui attenersi genera una pressione tale da suscitare insofferenza e stimolare il desiderio di trasgredire e di vivere più liberamente. Il personaggio simbolo di tale moralità è mister Utterson, il legale, uomo ligio e ordinato per eccellenza, ma non privo di tentazioni cui talvolta indulge.

Le due anime che albergano nel dottore, Jekyll e Hyde, sono entrambe percepite come trasgressive dal perbenismo della società vittoriana. Infatti, anche il dottor Jekyll ha impulsi trasgressivi, pur se il più delle volte tenuti a freno.

Uno degli aspetti salienti, nel romanzo, è che la trasgressione viene messa in atto da uno scienziato, a scopo di studio. E non è un aspetto da poco, perché ben rappresenta il dibattito culturale che la diffusione del Positivismo aveva generato nella seconda metà del XIX secolo. Alcuni intellettuali, attribuendo alla scienza un primato culturale che fino a pochi anni prima era stato esclusivo appannaggio di una cultura religiosa e dogmatica e sui cui paradigmi si erano modellate la società e la morale vigente, si attirano le critiche di coloro che sono rimasti ancorati a una cultura tradizionale e che ritengono che la scienza non debba superare certi limiti, pena una punizione esemplare. Lo scienziato Jekyll, osando una sperimentazione oltre i limiti considerati consentiti, muore.

Su che cosa induce a riflettere il romanzo di Stevenson?

  1. Sul fatto che in ogni uomo ci sono componenti buone e cattive. La legge e la morale hanno il compito di tenerle a freno.
  2. Sul fatto che dare spazio alle componenti cattive può instaurare un meccanismo di progressivo potenziamento delle stesse a scapito delle buone, rompendo in modo irreversibile (?) l’equilibrio.
  3. Sul fatto che la caduta dei freni inibitori ad opera di strane sostanze libera nell’uomo comportamenti ancestrali senza che ci siano motivi o giustificazioni per metterli in atto. E così si assapora la crudeltà di un delitto completamente gratuito. E poi di nuovo. E poi ancora, e ancora.
  4. Sul fatto che i valori o i disvalori della cultura dominante svolgono un ruolo primario nell’indirizzare i comportamenti dell’essere umano, soprattutto se ancora giovane e in formazione.

Che cosa ricavare da queste riflessioni?
Comincerei col dire che le problematiche sollevate da Stevenson mantengono inalterata la loro validità anche ai giorni nostri. Alla luce delle testimonianze dei tossicodipendenti, pare che dare spazio al male effettivamente riduce spazio al bene e porta al potenziamento dell’uno e all’indebolimento dell’altro.

L’altra riflessione importante riguarda i freni di cui la società si serve per favorire un’armoniosa convivenza: la morale e la legge. Entrambe funzionano se, almeno in parte, vengono sollecitate da un’emozione umana di cui ultimamente si parla assai poco: la vergogna.

Che fine ha fatto la vergogna? Quella che dopo il morso al frutto proibito ha spinto Adamo ed Eva a coprirsi, loro che erano sempre stati beatamente nudi? Senza provare vergogna si può smettere un comportamento malvagio? E mi viene da pensare che, forse, il peccato originale sia importante non solo per la pretesa dell’uomo di divenire uguale a Dio appropriandosi della conoscenza, ma per insegnare che alla trasgressione fa seguito la vergogna. Oggigiorno non siamo più nell’Eden (ci siamo mai stati?), di trasgressioni se ne commettono tante ma non si sente parlare di vergogna. Perché non se ne parla? Perché la si cela o perché non la si prova? Credo che se la risposta fosse quest’ultima il genere umano avrebbe un problema.

L’altra direzione presa dalle mie riflessioni riguarda la punizione.
In molte testimonianze si legge che l’essere stati arrestati ha reso possibile un inizio di percorso di salvezza. Allora ciò che manca oggigiorno alla nostra società è la capacità di punire la mancanza commessa, nei tempi e nei modi adeguati.

La punizione è un argomento rovente. Ricordo molto bene che a scuola durante una discussione con gli allievi di una quarta (17 anni circa) a seguito delle lamentele dei docenti del consiglio di classe per un comportamento inappropriato durante la proiezione di un film nell’auditorium comunale, mi sono sentita chiedere: perché non ci punite?

Dunque è l’essere umano in formazione che sente la necessità di essere punito. Dunque è vero che porre delle asticelle da non superare serve, e che se vengono superate è opportuno punire. Se non si punisce, il livello della trasgressione aumenta e diventa incontrollabile, deleterio sia per l’individuo che per la società. Nella nostra società la certezza della pena è una chimera, nel nostro sistema scolastico la punizione non è usata o è usata in modo inappropriato, in famiglia sempre meno spesso accade che i genitori insegnino ai figli a far fronte alle proprie responsabilità e che li puniscano quando i loro comportamenti lo richiedano.

Anni di insegnamento hanno generato domande cui non è facile dare una risposta. Però ho maturato la ferma convinzione che un giovane in formazione ha bisogno, anche se non lo sa, di un punto di riferimento, di una figura con cui scontrarsi per scoprire se stesso, di una guida che lo aiuti a… rendere gli orizzonti meno vaghi, a individuare mete credibili raggiungibili con vie lineari e non contorte, a scegliere ideali che non si rivelino illusioni antiche e non risolte, a ricercare piaceri che non si riducano solo a gioie corte. A volte, quando si è giovani, tutto questo da soli non si riesce a farlo.

Torna all’indice della sezione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *