Relazione di tirocinio

TIROCINIO PRE LAUREA PRESSO “ASSOCIAZIONE TRASGRESSIONE.NET”

Manuela Matrascia, Matricola: 768178
Corso di studio: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE
Periodo: dal 26/01/2016 al 24/03/2016

 


Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Ho svolto l’attività di tirocinio presso l’associazione trasgressione.net. Ho svolto il tirocinio di cento ore principalmente in tre sedi: nella sede dell’ATS (ex ASL Milano) di Corso Italia 52, presso il carcere di Bollate e presso quello di Opera. Il tirocinio richiedeva la partecipazione a incontri di gruppo tra studenti, detenuti ed ex detenuti, al fine di creare un ponte tra realtà diverse e per favorire uno scambio di opinioni su svariate tematiche. Il Gruppo della Trasgressione è inoltre impegnato, all’interno delle scuole, sulla prevenzione del bullismo e delle tossicodipendenze e sulla promozione della legalità. Il coordinatore del Gruppo della Trasgressione nonché tutor del tirocinio è il Professor Angelo Aparo.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

L’attività di tirocinio che ho svolto presso il Gruppo della Trasgressione prevedeva che partecipassi agli incontri con un ruolo attivo e paritetico con quello degli altri componenti. Fra i miei compiti vi è stato anche prendere appunti per la successiva stesura dei verbali relativi agli incontri svolti; in previsione di un prossimo convegno sulla tossicodipendenza, è stato richiesto ai tirocinanti anche di effettuare ricerche sul tema e di trascrivere i testi dei detenuti sulle loro esperienze.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Il gruppo della trasgressione mira principalmente a fare ricerca e ad accrescere le potenzialità dell’individuo detenuto affinché, una volta conclusa la detenzione, non ricada negli errori commessi in precedenza. Il percorso all’interno del gruppo è assolutamente di crescita sia per il detenuto sia per lo studente che vi partecipa. Si discute su argomenti, come l’autorità, la fragilità, il limite, la tossicodipendenza, per far emergere i diversi aspetti di questi temi, per cercare di farli propri e per poterli poi applicare nella vita di tutti i giorni. Il tutto è arricchito dagli scritti dei detenuti, frutto dell’interiorizzazione e rielaborazione dei concetti trattati e del loro vissuto.

Esiste un notevole confronto tra detenuti e studenti; si mettono sul tavolo le proprie esperienze e il dibattito avviene in modo diretto, disinvolto e senza filtri, dato dalla voglia di condividere il proprio vissuto e far sì che questo diventi un’importante occasione di riflessione.

Nella prima parte del mio tirocinio, con il gruppo del carcere di Bollate è stato molto discusso il tema dell’autorità e da parte di un detenuto è stato proposto di preparare un’intervista da fare ai propri compagni al fine di esplorare il modo in cui questi vivono il rapporto con le autorità e cosa realmente sia per loro l’autorità. E’ stata una ricerca molto interessante in quanto mi ha dato modo di indagare i diversi modi in cui il detenuto vive la sua esperienza di detenzione e il rapporto con le figure che lo circondano.

Inoltre, in questa occasione ho potuto indagare le modalità di svolgimento di un’intervista, grazie anche al contributo della prof.ssa Nuccia Pessina, la quale ha preparato prototipi di domande, e ha condotto diverse interviste fatte a coppia con detenuti, ad altri detenuti, cercando di “scavare a fondo” nel loro vissuto, con domande sempre più dettagliate, soprattutto se le risposte non appagavano la sua “curiosità”. È stato un momento di arricchimento poiché sono emerse diverse reazioni che mi hanno permesso di osservare personalità e svariati modi di rispondere alle domande.

Un’altra importante parte del tirocinio è stata dedicata al tema della tossicodipendenza. Il tema è stato affrontato sotto diversi aspetti (scelta, conflitto, potere) e il Professor Aparo ha richiesto ai tirocinanti e ai detenuti di scrivere riflessioni e fare ricerche riguardo all’argomento, al fine di realizzare un convegno (che avrà luogo a giugno) a cui parteciperanno diverse figure professionali, per discutere del problema della tossicodipendenza, forse ancora troppo poco esplorato..

Il Gruppo della Trasgressione è ampiamente “volto all’esterno”, ossia finalizzato a far conoscere il lavoro svolto e il percorso di detenuti ed ex detenuti nei vari contesti della società. Organizza concerti, convegni e testimonianze aperte al pubblico e alle autorità, al fine di diffondere il lavoro di crescita che il detenuto compie grazie alle attività suddette.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

 Il Gruppo della Trasgressione è stato fondato ed è ancora oggi coordinato dal Professor Angelo Aparo, nonché tutor del mio percorso di tirocinio, che ha saputo spronarmi ad essere riflessiva, a pormi domande e a non essere presuntuosa con me stessa. In alcuni momenti, soprattutto all’inizio è stata una “lotta”: vivevo le sue domande come una “presa di mira”, mi sentivo sempre sotto esame, vivevo male la partecipazione agli incontri e non capivo perché si ostinasse tanto ad infierire con le sue richieste anche quando era evidente che l’ansia di parlare davanti ad un gruppo di persone, mi impediva di esprimere pensieri sensati. Tuttavia dopo una serie di “scontri” ho iniziato ad avere più fiducia in me stessa e nei miei pensieri e il mio impegno è stato riconosciuto. Penso che nonostante la personalità un po’ particolare, il Professor Aparo è stata un’ottima guida e un punto di riferimento in tutto il mio percorso.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

L’attività di tirocinio che ho svolto mi ha dato l’opportunità di accostarmi a un contesto che mi ha sempre incuriosito e in cui mi piacerebbe lavorare in futuro. Il confronto con detenuti o ex detenuti al gruppo esterno e, in particolare, la partecipazione e il contatto con i detenuti del Carcere di Bollate mi ha permesso di conoscere sia le pratiche tecniche che riguardano il detenuto sia gli aspetti più delicati ed intimi della sua vita.

L’insicurezza mi ha molte volte impedito di esprimere il mio pensiero su quanto veniva trattato agli incontri, tuttavia questo non mi ha trattenuta dal pensare individualmente su quanto veniva riportato. Sono stati spesso espressi pensieri o raccontate esperienze che mi hanno colpita profondamente. A volte ho sofferto, e credo che ogni parola detta sia stata per me motivo di crescita, di riflessione, di rielaborazione delle mie idee sulle persone detenute.

 

Abilità acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Al primo colloquio con una psicologa del gruppo, la dott.ssa Silvia Casanova, mi era stato consigliato di partecipare agli incontri del gruppo di Bollate in quanto contesto più affine con il lavoro futuro che vorrei svolgere (lavoro d’équipe). Benché non abbia potuto constatare da vicino quali mansioni svolge una psicologa all’interno del contesto carcerario, ho avuto modo di seguire come si svolge il lavoro di gruppo con tutte le sue implicazioni: saper ascoltare, aspettare il proprio turno per prendere la parola, interagire, essere presenti ed interessati.

A me personalmente piace molto osservare (più che parlare) e sicuramente la presenza e la partecipazione di tante persone al gruppo mi ha consentito di osservare diversi modi di esporre i propri pensieri, di muoversi, di guardare. Nonostante le mie resistenze iniziali, grazie a questa esperienza, sono riuscita ad andare oltre il reato commesso e ad avvicinarmi alla persona in quanto tale. Ho anche imparato che un sorriso, un piccolo gesto o una parola di conforto non sono mai sprecati.

 

Caratteristiche personali sviluppate

All’interno del gruppo mi sono confrontata con una realtà per me nuova. Ho cercato di superare le mie diffidenze e resistenze, aprendomi al rapporto con gli altri membri del gruppo, anche se non è stato facile. Caratteristiche che mi appartengono sono la capacità osservativa e il saper ascoltare; la partecipazione al gruppo ha consentito di accrescere e migliorare questi due aspetti, seguiti naturalmente dalla mia meditazione e rielaborazione individuale.

Lo stato di empatia che si è creato in molte situazioni, ascoltando i trascorsi e le storie di vita delle persone, mi ha concesso di scoprire il mio lato fragile. La potenza con cui le parole a volte riescono ad entrarti dentro non possono lasciarti indifferente e inevitabilmente affiorano sfumature del tuo carattere che magari tendi a tenere nascoste.

 

Altre eventuali considerazioni personali

Non è stato facile! La difficoltà più grande è stata poter condividere con pochi quello che stavo vivendo, o quello che provavo dopo gli incontri. Purtroppo intorno a me ho trovato persone che quando dicevo che stavo svolgendo il tirocinio in carcere rispondevano con: “Quelli hanno sbagliato ed è giusto che stiano li.” Quindi ho un po’ perso la voglia di comunicare con chi non vuole sentire ragioni e ho capito che superare un limite mentale è difficile, soprattutto se non conosci e non ti avvicini a un mondo che dai per scontato.

Gli argomenti trattati al gruppo spesso mi hanno impedito di esprimere la mia opinione, non perché non mi piacessero, ma perché spesso avvertivo la sensazione che il mio pensiero sarebbe stato nettamente inferiore a quello espresso da un detenuto o da qualche membro che fa parte del gruppo da più tempo rispetto a me. Posso dire tuttavia che questo tirocinio mi ha permesso di riflettere su temi e questioni cui non avevo mai pensato o semplicemente davo per scontati. E invece ho imparato a pormi delle domande. E’ stata un’esperienza utile e di arricchimento innanzitutto per la mia persona, oltre che per la mia formazione.

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Signor Presidente

Caro Signor Presidente,
scrivendole, la penso accerchiato da problemi e da mille richieste che pretendono rapide risposte; la pazienza lo sappiamo non è la dote più diffusa tra i cittadini. Le do subito una buona notizia: io avrò pazienza, se non altro perché i prossimi tre anni li trascorrerò in carcere. Quindi nessuna premura, nessuna urgenza, le mie sono domande che possono aspettare.

Ecco la prima: la società, una volta tornato in libertà, mi permetterà di realizzare i tanti progetti che ho avuto il tempo di elaborare in questi anni di detenzione? Avrà il coraggio, l’intraprendenza e la volontà di accettare un ex detenuto come risorsa? Certo, camminare per le strade della città come risorsa invece che come pericolo pubblico non sarebbe guadagno da poco. Ma come fare?

Don Chisciotte, Honoré Daumier
Don Chisciotte, Honoré Daumier
A questo riguardo, signor Presidente, voglio segnalarle che esiste chi, fra i normali cittadini, combatte da anni contro i mulini a vento. Si tratta di un certo Angelo Aparo, che da anni, cavalcando il suo Ronzinante, si presenta nelle carceri di Opera, San Vittore e Bollate per continuare la sua battaglia. Le sue armi sono la testardaggine e il Gruppo della Trasgressione, i suoi nemici i luoghi comuni e la burocrazia delle istituzioni.

Egli si prefigge di entrare nelle storie sbagliate per conoscere l’immagine che ogni reo ha di sé e promuoverne l’evoluzione attraverso la comunicazione con la società esterna. È un metodo che verte principalmente sul recupero critico delle proprie esperienze e delle proprie emozioni e si serve di argomenti eterogenei come le microscelte, il rapporto con la legge, il superamento dei limiti, il divenire dell’identità del cittadino.

Questo anacronistico Don Chisciotte dice che il rapporto tra carcere e società è un impegno doveroso perché solo una buona combinazione fra pena e progetti con la città permette reali opportunità di riscatto per il detenuto e migliori condizioni di vita per i cittadini. Egli sostiene anche che una società cresce e si salva nel suo insieme, non in virtù di qualche istituzione particolarmente forte. E non è finita! A volte arriva a dire che la condizione carceraria è una vergogna morale e uno spreco sociale, anche perché non onora e non scommette sulla indicazione costituzionale del recupero del reo.

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Uno dei nostri convegni
Forte della sua esperienza o forse del suo delirio, ha creato un esercito di detenuti che, incontrandosi all’interno delle carceri e delle scuole, si relazionano con studenti e universitari e, parlando delle loro esperienze, distribuiscono il “virus della curiosità”, come lui ama chiamare l’esplorazione delle proprie “nicchie” nascoste. In questo modo, continua a fare guerra agli stereotipi e alla cattiva informazione.

Io, sig. Presidente, sono prigioniero di questo dittatore del pensiero, ma ne respiro le parole come aria di libertà e il metodo come la sola strada che conosco per arrivare a un’analisi interiore, cercando per il mio futuro un senso diverso rispetto al mio passato.

Detto questo, Egregio Presidente, Lei si trova a un bivio: o lo lascia definitivamente impazzire fra i suoi mulini a vento o si allea con lui, riconoscendo l’utilità del suo lavoro, che altro non è che la messa in pratica di un principio centrale dell’istituzione che lei rappresenta, cioè più sicurezza per la Sua e la mia società.

Franco Garaffoni

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Una giornata con Sisifo

Una giornata con Sisifo, Alberto Marcheselli

Mi sono assunto l’impegno di raccontare l’incontro avvenuto tra gli studenti di una scuola media di Buccinasco e il Gruppo della Trasgressione, incontro durante il quale i membri del gruppo hanno inscenato il Mito di Sisifo.

Il Mito, io credo, è un modo per rappresentare i vizi dell’uomo, le sue debolezze e i suoi difetti. Metterli in scena è uno strumento attraverso cui la tragedia da sempre svolge il compito di esorcizzare e di metabolizzare le carenze e la caducità dell’umana condizione, un rito che consente all’uomo di interrogarsi sull’uomo. Fino a qui, tutto difficile ma nulla di rivoluzionario.

L’insolito è mettere in scena il Mito con attori che non sono attori e che di miti greci ci capiscono assai poco (o niente) davanti a un pubblico di studenti, che poi sono poco più di ragazzini e che di miti greci ne sanno poco di più. Farlo, poi, senza copione, affidandosi all’istinto, all’intuito, al vissuto, è rasentare l’incoscienza.

Ma l’effetto è stato incredibile (lo è ogni volta). Gli attori o meglio i non attori hanno portato sul palco pezzi di vita, scorci del loro passato, sguardi sul futuro con la conseguenza che anche questa volta è avvenuto l’incontro tra due mondi, il confronto tra esperienze agli antipodi su un terreno fatto di comprensione e di attenzione, con momenti in cui Sisifo/Ivano si diverte e diverte come un giullare, trovando a ogni svolta della vicenda nuovi spunti, con un’originalità e una genialità che sembra quasi abbia studiato tutta la vita, alternati alla fatica di Nicola e a quella di Rosario che fanno i consiglieri e diventano rossi davanti ai ragazzini.

Un turbinare di emozioni, che si succedono e s’intrecciano, un’atmosfera gestibile solo attraverso una profonda conoscenza dell’uomo. Non ho ancora ben capito come il dott. Aparo riesca a “liberare” le persone, a far sì che si mostrino come sono o come vorrebbero essere.

Nel dibattito subito dopo la rappresentazione, il detenuto diventa padre, lo studente figlio; il figlio/studente diventa rimpianto per il passato e spunto per il futuro; e poi la guida, l’insegnante, le assenze e le lacrime (qualche volta). Un amalgama di passioni, quella della guida, quella del dottore e la dedizione di qualcuno di noi (detenuti).

Insomma, c’è una domanda che spesso viene fatta al Gruppo della Trasgressione e cioè “cosa facciamo al gruppo? Lo so, lo vedo, lo sento, lo vivo: creiamo pensiero, costruiamo passione!

Qualche gruppo fa il dott. Aparo “ha fatto un pezzo” (così io l’ho sentito) di estremo valore su come i colori della mente diventino pensieri e poi prendano forma attraverso le parole e su come le parole possono essere usate per liberare o imprigionare gli uomini. Un grande potere quello delle parole!

Ecco io credo che tutte le volte che ci confrontiamo, tra di noi e con i ragazzi delle scuole, trasformiamo i nostri colori in pensieri, diamo alle nostre parole il potere di renderci liberi. Questo riusciamo a farlo perché il dottore ha messo la sua intelligenza a nostro servizio e per questo io gli dico grazie e mi ritengo fortunato perché non è facile incontrare qualcuno capace di dare alle parole tanta forza.

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Tossicodipendenza: quale malattia?

Che la tossicodipendenza sia una scelta potrei anche escluderlo.

C’è un sistema sanitario che la considera e tratta quale malattia e un sistema giudiziario che fa lo stesso, anche intersecandosi con il primo e molto più di quanto non accada per altre malattie. Ad esempio, si ritiene opportuno e si legittima (in almeno due leggi) un trattamento extramurario, spesso come priorità rispetto alla custodialità per colpevolezza. Questo non accade con altre malattie (al più trattate nei centri clinici o infermerie degli istituti). Perché???

Sempre nel sistema giudiziario (mi aiuta tenerlo come riferimento) la tossicodipendenza è riconosciuta come malattia, ma non di quelle che incidono sulla capacità di intendere e volere (per le quali c’è l’opg o l’impunibilità), nemmeno parzialmente. Il tossicodipendente è imputabile e dunque responsabile.

Allora se il tossicodipendente è malato ma imputabile, cioè la sua malattia è incistata in qualcosa e può avere quale conseguenza anche i reati, questi si scelgono. Questi non sono parte della malattia, nemmeno sono sintomi. Il tossicodipendente, anche se delinquente, non ha la malattia di commettere i reati e non è quella che si cura.

Se la tossicodipendenza è malattia allora non si sceglie di averla, tuttavia si  possono scegliere stili di vita e/o abitudini e consuetudini che sono agenti favorenti la tossicodipendenza. Ma questo è vero anche per l’infarto, il cancro, le malattie respiratorie ecc. ecc. Però se la tossicodipendenza non incide sulla capacità di intendere e volere allora si può curare e si può scegliere di curarla. Nemmeno altre malattie si scelgono, ma si curano. O forse la differenza sta proprio in questo? Nella possibilità di volere la cura? Di rinunciare alla sostanza? La tossicodipendenza  lede la volontà, l’autonomia? Non lede la capacità di intendere, ma lede la capacità di volere? Oppure coglie chi ha un difetto della volontà?

Il pilota della Wizz-air era malato, ma non incapace di intendere e volere (per come è stato premeditato, organizzato, eseguito l’atto credo che lui intendesse e volesse, e difficilmente, seppur malato, sempre secondo me, sarebbe rimasto impunito per vizio di mente). Egli voleva morire e voleva uccidere, il tossicodipendente (non il consumatore, non l’abusatore bensì il dipendente, il malato) vuole drogarsi?

Detto questo, il mio tormento è: che malattia è la tossicodipendenza? Si può definire? Si può concettualizzare con tutti gli elementi del concetto di malattia? E se sì, che definizione ne esce?

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Fra miserie e cose serie

Fra miserie e cose serie, Roberto Cannavò

Se al dolore hai risposto con la negazione
Guardaci dentro, non farne una prigione
Prova a viverlo per la costruzione
Vedrai che rivoluzione…

Il corpo, non è uno scherzo, è intrappolato
Ma il tuo passato non è del tutto frantumato
È la tua storia che va rivisitata
lavora sui cocci e vedrai il risultato…

L’evoluzione è in agguato
Lasciale spazio
E avrai il risultato di chi
Guardando indietro potrà dire:
Erano macerie, erano miserie,
Oggi sono cose serie

Mi è bastata una semplice considerazione
per dare un senso a questa mia condizione…
il detenuto non è un mattone
non è parte delle mura della sua prigione

E allora ripartiamo dalle macerie
per costruire cose serie
in tasca mi porto la semplicità
la moneta della mia rivoluzione

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Sulla rotta del peluche

Sulla rotta del Peluche, Cisky

Papà: Adesso andiamo a fare la nanna, che papà ha da fare.

Bambino: Ma io non ho sonno papà… guarda sono sveglio! Perché non possiamo giocare un po’? Io voglio giocare con te!

P: Perché adesso non si può e perché devi dormire… domani giochiamo! Promesso, però soltanto se adesso chiudi gli occhi e dormi.

B: Allora raccontami una storia… una storia, una storia, dai una storia, ti prego, una storia.

P: Ti ho detto che non ho tempo! Mi ascolti quando ti parlo?! E ora dormi, che devo andare.

B: Uffaaa, ma perché devi sempre andare via? Tu non dormi?

P: No! Tu devi dormire! lo devo uscire per pensare a te e alla mamma, così non vi mancherà mai niente.

B: Però tu non ci sarai, papà!

P: Cerca di chiudere gli occhi, non farmi arrabbiare.

B: Ma perché devo dormire per forza?

P: Perché te lo dico io!

B: Io devo fare tutto quello che mi dici perché sei grande?

P: Sì, è proprio così, e tu devi solo ubbidire.

B: allora voglio essere grande per comandare anch’io!

P: Guarda che mi stai facendo perdere la pazienza, tra un po’ le prendi se non mi dai retta… forza cerca di dormire.

B: Papà perché non mi abbracci mai?! Perché non mi dici mai ti voglio bene?! Perché non capisci quello che voglio?!

P: Ti avevo avvisato (prende il bastone), adesso basta, te le suono!

Il bambino blocca il colpo afferrando il bastone e togliendolo poi di mano al padre

B: No papà! lo sono grande, adesso mi “arrabbio” io!

Il bambino lancia contro il padre il peluche che abbracciava, sostituendolo con il bastone… e stringendo al petto il nuovo feticcio si addormenta

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Inaspettatamente

Inaspettatamente, Bruno Turci

Appartengono alla memoria più antica
Mondi di cui si è scordata l’esistenza

Vite lacerate
Consumate fra gli angoli più oscuri
Ove la coscienza non sa entrare…

Vite che poi tornano
comandate da una magia
che le restituisce al mondo

Inaspettatamente
Fioriscono splendide energie

 

Abbinamenti con: La città vecchia

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Sogni miei

Sogni miei, Ernesto Bernardi

Sogni miei, belli come il sole che sorge
Luminosi come stelle nel manto della notte
Buffi come cartoon che mi sorridono

Sogni miei, sussurrati dal mattino
Abbandonati quando non è ancora sera
Sogni miei, che ancora tornate
A scuotermi dalle mie paure

Sogni miei, vi raccoglierò nel mio sacco
Rattoppato col filo della speranza
Vi porterò con me sulla nave
E vi svuoterò sul ponte

Per cucire ancora una rete
Con i sogni, i nodi e le mani
Dei miei compagni di mare

Abbinamento con: A Cimma, Ho visto Nina volare, Anime Salve

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