Gruppo Trsg Esterno – 18/10/16

Verbale 18/10/16
Roberta Rizza

Gli argomenti discussi durante la riunione del Gruppo della Trasgressione, tenutasi all’ASL di Milano in Corso Italia 52, hanno toccato tematiche differenti e trasversali.

Il primo argomento, più di carattere formativo-educativo, è partito quando il dottor Aparo chiese a una tirocinante quanto facesse 12×12. La domanda, che ha incuriosito un po’ tutti i presenti, ha dato luogo a una riflessione molto interessante. L’interrogativo posto, apparentemente fuori luogo, e soprattutto la reazione della tirocinante, che decise di non rispondere, furono emblematici per il discorso che ebbe vita successivamente.

Con quell’aneddoto il dottor Aparo voleva dimostrare come spesso si tende a fuggire davanti alle difficoltà, sottraendosi alla possibilità di cercare in maniera creativa una soluzione al problema. Inoltre, ciò che con quella domanda cercò di dimostrare fu che non solo i detenuti ricorrono a escamotage e vie di fughe per non dover affrontare il problema, ma che può accadere a qualsiasi essere umano di preferire l’astensione piuttosto che fronteggiare una situazione critica.

Successivamente il dottor Aparo ha raccontato che la mattina precedente alla riunione, aveva avuto un colloquio con un detenuto e che questo si era concluso a causa della medesima domanda, che aveva posto il ragazzo in un atteggiamento difensivo, scegliendo di andare via piuttosto che cercare di risolvere il problema matematico. Il detenuto in questione aveva espresso, durante il colloquio, il desiderio di poter costruire, una volta uscito dal carcere, una nuova vita lontana dall’illegalità e che il suo obiettivo ultimo fosse quello di lavorare onestamente e guadagnare cinque mila euro al mese.

L’osservazione del dottor Aparo spalancò le porte a un’ulteriore riflessione: il voler perseguire a tutti i costi un obiettivo meramente materialistico, distrae e allontana l’uomo dal vero senso della vita e della realtà. Ricercare costantemente e incessantemente attività che portino a un guadagno di denaro, acceca il singolo e lo rende incapace di godere delle bellezze naturali della vita che esulano da ciò che può essere acquistato, come la contemplazione di un campo di margherite, di un tramonto al mare, della profondità degli occhi di un bambino.

Inoltre, il dottor Aparo sottolineò la pericolosità di questo atteggiamento e di come questo si elevi all’ennesima potenza quando ad avere questo “sogno” è un detenuto, condannato per detenzione e spaccio di droga, ovvero un reato che ha di per sé a che fare con il guadagno dei cosiddetti “soldi facili” e che, paradossalmente, davanti al problema matematico risponde fuggendo.

La rieducazione personale e sociale dei detenuti, che si fonda sul concetto di “riscatto”, può aver luogo se a ciascuno è offerta la possibilità di interiorizzare un modello di autorità vicario, credibile rispetto a quello avuto in passato, che preveda a sua volta un cambiamento di prospettiva che vada da “il fine giustifica i mezzi” a “non sempre il fine può giustificare i mezzi”. In un percorso riabilitativo alla legalità proporsi come fine il guadagnare tanto e subito, condurrebbe il detenuto a ricadere in un pattern comportamentale che ha già messo in atto in passato, l’unico che conosce e che lo ha già condotto a trasgredire dalle regole della società in cui vive.

Dunque il messaggio che il dottor Aparo ha cercato di veicolare durante la riunione, fu quello di vivere godendo delle meraviglie offerte dal mondo che ci circonda, anche di quelle più piccole. Imparare a vivere non coincide con l’essere ricchi economicamente; rincorrere il denaro è un pericolosissimo fine che, alle volte, conduce il singolo a ricorrere a mezzi scorretti e sleali. Il messaggio aveva il fine di invitare ciascuno a mettere in discussione i propri obiettivi: uscire dal carcere con il “sogno” di diventare ricco lealmente, oltre che improbabile e difficile, è anche molto pericoloso, in quanto quasi mai si realizza ed è possibile cedere nuovamente a quel vortice di cui, nelle riunioni precedenti, è stato più volte citato dai detenuti stessi, costruendo una sorta di anticamera all’illegalità.

Successivamente è stato affrontato un altro argomento più di carattere organizzativo, che ha visto la partecipazione attiva di tutti i detenuti e non. Giorno 29 Ottobre, il gruppo parteciperà a un evento al parco di Rho in occasione del suo compleanno. L’obiettivo della partecipazione all’evento ha l’obiettivo di far conoscere ai cittadini l’operato della Cooperativa Trasgressione.net e, contemporaneamente, pubblicizzare il lavoro dei detenuti. Durante la riunione è emersa la forte complicità di tutti i partecipanti nei confronti della Cooperativa ma, soprattutto, la forte volontà di ciascun detenuto a essere promotore di se stesso e parte attiva al progetto. Come in un brain storming, inizialmente si è discusso della parte maggiormente creativa, proponendo ciascuno la propria idea rispetto alle attività pratiche da presentare all’evento; successivamente ci si è focalizzati sulla parte organizzativa, dunque sul come mettere in pratica queste idee, quali strumenti utilizzare per renderle quanto più realizzabili e particolari, così da poter catturare l’attenzione dei vari visitatori. L’attività pare aver coinvolto ed eccitato la maggior parte dei presenti, ma il tempo era insufficiente per organizzare il tutto di cui si discuterà alla prossima riunione.

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Ricordi di schiena

Ivan Puppo

Frugo nella memoria con la cecità progressiva degli anni, estraggo un ricordo: mia madre ferma, dritta nella schiena, sguardo di madre lupa che m’avvolge e ammonisce il mondo. Allora inghiotto a secco, ho un tuffo al cuore.

L’infanzia poteva durare per sempre. Per un bambino che gioca, spazio e tempo non hanno confini. Da bambini il tempo ci corre addosso, più tardi siamo noi a corrergli incontro.

Il mondo ricominciava ad ogni risveglio, sembrava non scampare al sonno l’orma misera del giorno prima. A quell’età si possiede una specie di salvacondotto. Col tempo le notti non bastarono più!

Di occhi larghi e respiri mozzi è fatta la paura, di metallo è il suo sapore, di ghiaccio il suo abbraccio. Di desolazioni impronunciabili sono fatti i mutismi dei bambini.

Si cresce tacendo, mettendo una grande distanza fra sé e gli altri, si cresce bastando a se stessi. Si cresce sotto i colpi e lo spreco di un padre lontano, resistendo e non concedendo il disarmo del pianto.

Si cresce di bar fumosi e strade bagnate di scirocco, di puttane tristi come madonne dipinte, di silenzi custoditi e fitti di equivoci.

Si cresce solcando una città vecchia di vicoli e anni violenti, stretti come dita su una pistola, e di nuovo stretti di cemento e nostalgia fra uomini spazzati dal vento come foglie di cortile.

Ritorna nelle aule di tribunale il mutismo dell’infanzia come risposta al “vostro onore” di turno.

Che equivoco irrisolto è la vita: anziché rispetto ti regalano paura e tu la ridai in cambio di rispetto; predatore per correggere un destino da preda, creditore di giustizia pagato con la legge.

Qui, titolare di questa porzione miserabile di vita, testimonio il mio fallimento; qui, dove la rabbia muta in rimpianto, mi visita lo stesso ricordo di mia madre, che guarda il suo bambino muto e dice: “era solo un brutto sogno, ora è passato, dormi figlio”.

La guardo attraverso, intravedo qualcuno e mi chiedo: “è la mia questa figura di spalle che se ne va nella pioggia?”

 

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La cappella del Lazzaretto

IL RESTAURO ALLA CAPPELLA DEL LAZZARETTO

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Pomeriggio a Parco Europa

Dalle carceri e dalle Università
Un impegno verso la città

Rho, 29/10, ore 15:00-18:00 – Pomeriggio a Parco Europa

La cooperativa LA FUCINA, il Collettivo MOSTRAMI,
il GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE
presentano il loro progetto per la città

Detenuti, studenti universitari e comuni cittadini presentano le diverse attività che partiranno dalla bancarella di Frutta & Cultura.

Le impronte delle foglie

Avevo lasciato Luca da mia mamma la prima volta dopo settimane ed ero contenta che potesse contagiarli nuovamente con la sua vitalità. Per terra ho visto quella foto, l’ho sorpassata pensando “anche le foglie lasciano le impronte!” Mi è sembrato bellissimo e sono tornata indietro a prenderla! E in quel momento la vita mi è parsa bella!

Livia Nascimben

 

Ho visto Nina volare

  • Chiavari, collocazione di "Ho visto Nina volare"

Invito per Isabella Bossi Fedrigotti

Gentilissima Dottoressa Isabella Bossi Fedrigotti,

siamo i detenuti componenti del “Gruppo della trasgressione” attivo nel carcere di Milano Opera. Le scriviamo per ringraziarla per l’attenzione a noi dedicata attraverso il suo articolo sul Corriere della Sera del 18/9/2016 e, in particolare, per il suo commento sull’incontro che abbiamo avuto con la signora Marisa Fiorani, mamma di Marcella, assassinata dalla criminalità organizzata.

La sua riflessione contribuisce ulteriormente a favorire quei sentimenti di ravvedimento e autocritica con i quali ognuno di noi si confronta con il proprio passato distruttivo. La testimonianza e il dolore che la signora Marisa ha voluto consegnarci scuote e allarga le nostre coscienze. Il Cardinale Martini disse “se non si è capaci di percepire il dolore dell’altro, non si può uscire dalla spirale di odio e violenza”.

Noi detenuti, colpevoli di gravissimi reati contro il prossimo e contro la società, grazie anche all’insostituibile laboratorio di riflessione qual è il “Gruppo della trasgressione”, lo facciamo riconoscendo e condividendo il dolore dell’altro, riconoscendo e condannando la scelleratezza del nostro passato.

I mattoni di quella corazza di delirio e di indifferenza, che a suo tempo c’eravamo creati, oggi stiamo imparando a utilizzarli per costruire ponti di dialogo e di confronto con persone come la signora Fiorani e come lei.

Saremmo pertanto felici se Lei volesse essere nostra ospite al tavolo del “Gruppo della Trasgressione” a uno degli incontri che noi abbiamo tutti i mercoledì mattina qui nel carcere di Opera. Ascoltare le sue riflessioni e confrontarci con Lei sarebbe per noi una rinnovata possibilità di crescita culturale e morale.

Infine, in quella stessa circostanza, potremmo invitare la sig.ra Fiorani e il dott. Paolo Foschini, ai quali dobbiamo la fortuna di avere destato la Sua attenzione verso la nostra realtà.

Milano Opera 29/9/2016

Cordiali saluti
Il “Gruppo della trasgressione


 

Marisa, una breccia tra gli ergastolani

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Alto & Basso di Isabella Bossi Fedrigotti
MARISA, UNA BRECCIA TRA GLI ERGASTOLANI


Gli alti e i bassi secondo la prospettiva e la sensibilità di ciascuno. Si apre da oggi uno spazio domenicale dedicato a commentare il bello e brutto della città. E nelle pieghe della cronaca di questi giorni ci piace ripescare storia di Marisa Fiorani.

fedrigotti2Saranno a Milano più gli alti o i bassi, i chiari o gli scuri? Dipende probabilmente anche da come si guarda, da quale prospettiva e, forse, con quale stato d’animo. C’è infatti chi trova imperdonabile qualcosa che un altro nemmeno nota. E c’è chi per gli aspetti positivi della nostra città proprio non riesce ad avere né occhio né orecchio: sogna Barcellona, Parigi, Berlino, Vienna, Londra e a Milano gli sembra di vivere in un incivile, arretrato borgo selvaggio.

Questo spazio domenicale vorrebbe servire a segnalare e commentare il bello il brutto della città, le ragioni di ottimismo come quelle che giustificano disappunto, rabbia, frustrazione. Nel caso che prevalgano gli alti, resoconti, cioè, di situazioni e avvenimenti che lasciano ben sperare, ciò dipende dal carattere di chi scrive tendente all’ottimismo. Ma possono stare tranquilli pessimisti, perché non mancheranno purtroppo notizie in grado di nutrire ampiamente il loro catastrofismo. E avendo per cinque anni scambiato ogni giorno posta con i lettori, so bene che sono i migliori cronisti del brutto, dell’insensato, dello scandaloso; più raramente del bello e del buono, ma si sa che più della contentezza  e della soddisfazione sono delusione e collera che inducono a rivolgersi alla posta di un giornale.

Paradossalmente, il primo avvenimento positivo che vorrei commentare è legato a una vicenda di pesantissima criminalità. Se ne è scritto una settimana fa in queste pagine, ma vale la pena riscrivere perché ha qualcosa di straordinario, di irreale, di miracoloso, quasi.

Potevo forse succedere in qualsiasi altra città, ma è successo a Milano, segno che qui c’erano i presupposti necessari perché potesse avvenire. Marisa Fiorani, pugliese, mamma di Marcella, massacrata venticinque anni fa a colpi di pietra per mano di esponenti di clan malavitosi, ha incontrato nel carcere di Opera –  come ha riferito in queste pagine Paolo Foschini – un gruppo di una ventina di ergastolani mafiosi pluriomicidi.

Davanti a loro ha parlato del suo lungo, inconsolabile dolore e invece di incontrare, come ci si poteva aspettare, un muro di indifferente, corazzato silenzio, una breccia si è aperta. E’ come se da quel muro fosse caduto prima un mattone, poi, lentamente, un altro e poi ancora un terzo. Quegli uomini che hanno ammazzato anche in modo crudelissimo, alcuni così tante volte che nemmeno si ricordano quante, che per forza di cose immaginiamo del tutto privi di umanità, hanno parlato, hanno raccontato le loro tragiche storie di crimine e di morte; qualcuno ha chiesto scusa, qualcuno è andato ad abbracciare Marisa.

Miracolo della parola reso possibile in questo caso grazie all’iniziativa del Gruppo della trasgressione attivo nelle carceri milanesi e dell’associazione Libera contro le mafie.

18 settembre 2016


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Lo spettacolo musicale prende le mosse da un suggerimento espresso da Fabrizio De André: quello di fare in modo che le canzoni, oltre a creare “realtà sognate” possano incidere concretamente a a favore del cambiamento sociale.

Metà dei testi delle canzoni della serata sono parafrasi di alcuni dei brani più noti di Fabrizio De André: riflessioni in forma di canzone dello psicoterapeuta Gabriele Catania, che restituiscono una lettura empatica delle storie di alcuni pazienti da lui trattati. Le canzoni saranno precedute da una breve presentazione dei relativi temi clinici presentati e dei collegamenti con i testi originali dei brani.

Alla serata, che comprende anche l’esecuzione di alcune canzoni del repertorio di Fabrizio De André, partecipano dando il loro contributo alcuni detenuti provenienti dal carcere di Milano-Bollate.

 

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È stato organizzato nell’ambito delle attività promosse dal Gruppo della Trasgressione che lo psicologo Angelo Aparo manda avanti in carcere da anni non solo a Opera ma anche a Bollate e San Vittore. A favorirlo un pm antimafia, Francesco Cajani, insieme con il lavoro congiunto di Libera — l’associazione contro la mafie fondata da don Ciotti — e del Centro per la giustizia riparativa e la mediazione penale del Comune di Milano. Il cui obiettivo principale, come spiegano Federica Cantaluppi e Luana De Stasio che per questo Centro lavorano, è quello di favorire l’incontro tra vittime e autori dei reati. Non tanto alla ricerca di parole pur profondissime nella loro essenza ma qui banali e addirittura irritanti nei luoghi comuni che evocano, quali «perdono» o «scuse», ma in qualcosa che la signora Marisa sintetizza «a modo mio, perché non so parlare difficile: io mi porto il mio dolore da ventisei anni ma so che anche voi che state qui dentro avete il vostro, forse parlarci può aiutarci tutti».

Un impegno lungo e fatto di tanti avanti e indietro, sottolinea Federica, che richiede pazienza e delicatezza. Ma che alla fine ha prodotto, per esempio, un esito come quello di questa mattina a Opera. I detenuti non lo sapevano che oggi avrebbero incontrato Marisa. Per loro era la riunione settimanale solita. Ma anche per lei è stata la prima volta. Con tutto che aver trasformato la sua tragedia in impegno, nel suo caso, non è storia di adesso: da molto tempo la va raccontando nelle scuole e tre anni fa era stata lei a ritirare l’Ambrogino alla memoria di Lea Garofalo, altra uccisa per essersi ribellata alle cosche, a nome della figlia Denise.

E così adesso eccoli che le parlano, questi uomini. Come appunto Squillaci che dice «a fare i miei primi omicidi a Catania mi ci mandava mio padre». Che dice ancora «è terribile ma il problema del dolore altrui non me lo ponevo proprio, neppure quella volta che avevo ucciso e seppellito uno di cui conoscevo bene la madre e quando la incontravo e mi diceva “secondo te che fine ha fatto mio figlio?” le rispondevo “vedrai che tornerà” senza fare una piega e solo qui, dopo tanti anni, ho capito che anche uno come me può cambiare». O come Rosario Casciana, di Gela, che ora ha 45 anni e «sono in carcere da quando ne ho 19 per avere ammazzato più volte, anche io, e quando avevo una pistola in mano non pensavo a nulla, e dirlo ora mi fa impressione». O altri che il loro nome non lo dicono, come quest’altro killer che «ho 54 anni e ho chiesto tante volte di incontrare i parenti di quelli che ho ucciso, senza averlo mai ottenuto e li capisco… perché io appartenevo allo stesso tipo di mondo che ha ucciso sua figlia — dice a Marisa — e per questo anche se non sono stato io mi sento colpevole anche per lei, e le chiedo scusa». Così tanti altri ancora.

Marisa dice che «ai processi, dove ho fatto l’errore di non costituirmi parte civile, non ho mai chiesto una vendetta ma la verità». E si capisce che questo sarebbe un altro, lungo, discorso su quel che chi sta in carcere per mafia potrebbe raccontare dopo avere chiesto scusa. Ma non è questo il senso dell’incontro di oggi. Che finisce così: «Non finiamola qui».

10 settembre 2016