Restituzioni

Mi chiamo Giovan Battista Della Chiave, faccio parte del Gruppo della Trasgressione.

Mercoledì 05/06/2019 al teatro della C. R. di Milano Opera, il Gruppo della Trasgressione si è riunito con i familiari dei detenuti. Si tratta di una sorta di festa che viene fatta una volta all’anno per dare la possibilità alle famiglie di capire cosa avviene all’interno del gruppo negli incontri settimanali.

Come al solito, ad aprire la giornata è stato il Dott. Angelo Aparo, psicologo e moderatore del gruppo. L’incontro in teatro è partito con la lettura di uno scritto che Vito Cosco (da circa nove anni in carcere e da quasi un anno componente del Gruppo della Trasgressione) aveva presentato alla nostra riunione del mercoledì la settimana prima dell’incontro con i familiari.

Mentre Vito leggeva il suo scritto pubblicamente, erano presenti anche i suoi familiari: la moglie, il figlio di tredici anni e la figlia di venti. Lo scritto è molto forte, Vito ha cercato di mettersi a nudo e lo ha fatto davanti ai suoi figli, uno dei quali, stando a quanto diceva la madre, non sapeva nulla circa il motivo per il quale il padre si trova in carcere.

Conclusa la lettura, il Dott. Aparo ha chiamato molti dei detenuti e anche i familiari a commentare lo scritto e a esprimere le proprie impressioni. Ne è nato un bel dibattito al quale tutti hanno partecipato con interesse. Subito dopo il dott. Aparo ha chiamato il figlio tredicenne di Vito, chiedendogli di leggere un commento di Elisabetta Cipolloni. Il ragazzo con difficoltà ha letto il commento, ma l’emozione era alle stelle, tanto che alla domanda che gli è stata fatta: “ma tu sei orgoglioso oggi di tuo padre?” è scoppiato a piangere. Un pianto, credo, liberatorio del piccolo che certamente sapeva, ma che finalmente aveva udito dalla voce del padre il motivo per il quale lui si trova in carcere.

Ecco, la giornata è stata piena di emozioni rare, emozioni che fanno crollare tutte le barriere che molti di noi si costruiscono, una giornata dove Vito si è confrontato con molte persone a lui estranee e dove anche altri detenuti si sono sforzati di entrare nei panni di Vito.

Ecco cosa avviene quando la persona detenuta, anche se in regime di ostatività, trova il coraggio, la capacità, gli strumenti per mettersi in gioco. Nel nostro caso, lo strumento è un gruppo che, come dice il dott. Aparo, ha come principale obiettivo l’evoluzione dell’uomo. Vito, come tanti altri che frequentano il gruppo, è riuscito a tirare fuori, o meglio, a riportare alla luce delle diapositive archiviate e segregate in una parte remota del suo e del nostro cervello. Con il lavoro di gruppo al servizio dell’introspezione dentro ognuno di noi si possono ottenere risultati significativi e restituire alla società persone migliori.

Ecco, credo che Vito, dopo tanti anni, stia cercando proprio questo: sta cercando qualcuno che lo ascolti; lui con il suo scritto non sta chiedendo la grazia, ma sta cercando di rianimare l’uomo che è in lui. È chiaro che per crescere non si può e non si deve dimenticare il passato.

L’immenso lavoro che svolgono alcune persone volontarie nel fare evolvere l’uomo non è altro che quello che dice l’art. 27 O.P. *, ma che purtroppo viene realizzato solo in pochissimi penitenziari italiani. Quindi credo che in quel giorno 05/06/2019 sia stato fatto un enorme passo avanti da parte di Vito e che sia stato restituito un padre a un figlio.

° Art.27
Attività culturali, ricreative e sportive
Negli istituti devono essere favorite e organizzate attività culturali, sportive e ricreative e ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati, anche nel quadro del trattamento rieducativo. Una commissione composta dal direttore dell’istituto, dagli educatori e dagli assistenti sociali e dai rappresentanti dei detenuti e degli internati cura la organizzazione delle attività di cui al precedente comma, anche mantenendo contatti con il mondo esterno utili al reinserimento sociale.

Giovan Battista Della Chiave e Angelo Aparo


Giovan Battista Della Chiave

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Manca il pulsante rosso

di Vito Cosco, detenuto con la pena dell’ergastolo,
assistito per l’italiano e per la composizione del testo
da Alfredo Sole,
a sua volta detenuto in ergastolo.

Si può vivere una vita intera e giungere alla fine senza quasi avere rimpianti oppure, come nel mio caso, la fine del nostro ciclo vitale arriva a tutta velocità come una locomotiva impazzita che travolge tutto.

Oggi è facile avere rimpianti e potrebbe sembrare poco credibile o anche ingiustificabile averne dopo così poco tempo. Non ho giustificazioni per quello che ho fatto. Cosa potrebbe mai alleviare il dolore della famiglia della vittima?

Potrei raccontare la solita novella… sono cresciuto in un ambiente con valori sbagliati… che li spacciava per uniche verità. Potrei dire di non avere avuto scelta, di non avere potuto intraprendere una via diversa da quella che ho invece seguito…

Non è questa la visione che vorrei dare di me oggi. Vorrei poter comunicare quel che sento veramente dentro la mia anima, ma forse non conosco ancora le parole giuste per poterlo fare.

Ho un fratello più piccolo di me che commise un grave delitto e, a cose già fatte, coinvolse anche me. Mi chiedo come ho potuto oltraggiare un corpo ormai senza vita. Non ho parole e forse è ancora presto per chiedere perdono.

Lo vorrei, lo sento con tutto il mio cuore, lo sento fin dentro le mie ossa, ma sono consapevole di quest’orribile delitto. Ho bisogno di sentire il disprezzo degli altri, della sua famiglia e, se esiste un Al di là, ho bisogno che la vittima continui a disprezzarmi per non aver fatto nulla per fermare quella follia.

Sì, non riesco a perdonarmi e non credo che ci sia una pena che io possa pagare per alleviare il dolore causato. Sono consapevole di meritare questa mia non vita, so che vivrò ancora per molto tempo in compagnia dei miei fantasmi.

Oggi ho capito! I miei valori sono cambiati e cambiati sono i miei pensieri. Vorrei che ci fosse un grosso pulsante rosso da poter pigiare e, all’improvviso, il mondo che va all’indietro, all’indietro fino a quel maledetto momento, quando avrei potuto capire, rifiutarmi e, forse, se più attento e partecipe della vita familiare, comprendere quello che stava accadendo e fermarlo.

Non posso farlo, non c’è quel “pulsante rosso”, non posso cambiare il passato. Nessuno può!

Io sono qui, davanti a voi, con una consapevolezza che neanche immaginavo che un essere umano potesse raggiungere nella sua intera esistenza, invece, eccomi a smentire me stesso, i miei pensieri di una volta.

Cos’altro potrei aggiungere? Posso solo dire: eccomi, conoscete la mia storia adesso, conoscete anche me, e di me fate quello che volete.

La verità è che io sono morto poco meno di dieci anni fa, insieme alla vittima, ma ancora non lo sapevo. Adesso lo so e sono pronto ad accettare qualunque cosa il destino mi riservi o, meglio dire, ciò che gli uomini vorranno per me.

 


 

Nota di Angelo Aparo su una vicenda terribile e un’attività impegnativa

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A noi mamme

Quanto coraggio in una mamma che concepisce un figlio.
Sa che da quel momento in avanti la propria vita
sarà in funzione di quel piccolo essere indifeso,
sa che, da quando egli verrà al mondo,
la propria esistenza si tramuterà in una dolcissima,
completa dedizione a quella vita che da lei nacque.

Quanto coraggio in una mamma che perde un figlio.
Sa che da quel momento in avanti la propria vita sarà nel dolore,
sa che, da quando egli ha lasciato il mondo terreno, la propria esistenza
si tramuterà in una straziante, scarnificante, consapevole attesa
di poter riabbracciare quella vita che da lei nacque.

Quanto coraggio in una mamma che decide di continuare la propria esistenza.
Ha la speranza che il proprio figlio continui a vivere attraverso di lei,
che guardi il mondo attraverso i propri occhi,
continuando a lottare con la tanta o poca forza che le è rimasta.

Grandi, dolcissime, coraggiosissime mamme…
Dedicato a voi

Elisabetta Cipollone

Tratto da
Sicomoro: La luce del dolore,
Marcella Reni -Elisabetta Cipollone
Casa Editrice: Fellowship Italia

Elisabetta Cipollone, ispirata dal desiderio di suo figlio Andrea,
raccoglie fondi per costruire pozzi d’acqua in Etiopia.
Ecco i dati per effettuare donazioni.
Un articolo di Giusi Fasano sul Corriere della sera

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Relazione di tirocinio

TIROCINIO PRE LAUREA PRESSO “ASSOCIAZIONE TRASGRESSIONE.NET”

Lucia Brizzi, Matricola:  822087
Corso di studio: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE
Tipo di attività: Stage  esterno
Periodo: dal 09/1/2018 al 02/01/2019

 


Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Il gruppo della trasgressione è un’associazione che opera all’interno degli istituti penitenziari milanesi di Milano Opera, Bollate e San Vittore.

Il gruppo è guidato dal Dott. Angelo Aparo, psicologo e psicoterapeuta che lavora da anni all’interno degli istituti. L’obiettivo, grazie alla collaborazione fra detenuti, volontari e studenti universitari, è di sviluppare una sinergia interna e un dialogo costruttivo per l’individuo attraverso tematiche che portino all’introspezione e a indagare sul passato. I detenuti, gli studenti e i volontari si scontrano con la propria emotività, con le debolezze, con la rabbia e l’orgoglio: la riflessione è faticosa, ma è una sfida con se stessi.

Inoltre, grazie a tale dialogo, che prende forma a partire dagli incontri settimanali che si svolgono all’interno degli Istituti, si sviluppano le diverse attività proposte dal gruppo mediante convegni, seminari, concerti e rappresentazioni teatrali che spesso coinvolgono gli studenti delle scuole medie e superiori.

Grazie al gruppo, il detenuto è spinto a reinserirsi nella società, non più come un soggetto deviante, bensì come membro effettivo in grado di dare un contributo utile grazie alla consapevolezza e alla responsabilizzazione maturate nel corso degli anni. Quello che una volta era considerato un membro “deviante” della società diventa così un membro “operante”.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

In quanto tirocinante ho partecipato agli incontri fissi del gruppo, ad alcuni incontri con gli studenti e ad eventi come il mercatino organizzato all’interno della casa di reclusione di Bollate.

Il mio ruolo consisteva nell’osservare criticamente le dinamiche del gruppo e gli interventi dello psicologo/coordinatore, oltre che nel partecipare attivamente con riflessioni e pensieri personali sulle tematiche discusse.

Inoltre, dal punto di vista logistico, ho aiutato nell’organizzazione di alcuni convegni che prevedevano la partecipazione di persone esterne agli istituti carcerari e mi sono occupata della creazione di alcuni eventi sulla pagina Facebook dell’associazione, al fine di divulgare le attività svolte dal gruppo.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

L’associazione propone numerose attività volte a rendere i detenuti consapevoli e in grado di dare un contributo alla società. Le attività settimanali consistono nel discutere tematiche differenti facendo emergere i diversi punti di vista dei partecipanti al gruppo con riflessioni autocritiche.

Ogni mese sono portati avanti vari progetti nelle scuole con lo scopo di aiutare i detenuti ad entrare in contatto con i ragazzi, in modo da dar loro la possibilità di raccontare le proprie esperienze rendendole strumento di prevenzione per le devianze giovanili. Questi incontri danno la possibilità di un’interazione curiosa e insolita tra adolescenti e detenuti, con spunti di riflessione da e per entrambe le parti in gioco: i detenuti si interfacciano con le nuove generazioni e gli studenti hanno la possibilità di conoscere una realtà che non sempre è realmente distante da loro.

Inoltre, da poco è stato avviato un progetto rivoluzionario che ha consentito ad alcuni detenuti ergastolani con la semi libertà (reclusi al carcere di Opera) di poter entrare a San Vittore come cittadini liberi grazie all’articolo 17. Il progetto permette di mettere in contatto persone detenute da anni e con un percorso rieducativo alle spalle con dei giovani detenuti ponendosi due obiettivi: responsabilizzare e rendere utili alla società i primi ed educare i secondi.

Tra le proposte rivolte al pubblico vi è la rappresentazione del mito di Sisifo a cui partecipano i componenti del gruppo (detenuti, studenti e volontari). Ciò permette a tutti di mettersi in gioco in prima persona, con uno scopo didattico sia per gli “attori” sia per gli spettatori. Un elemento importante di tali rappresentazioni è l’improvvisazione: gli attori si preparano sulle tematiche, le studiano e le elaborano per poterle trasmettere con maggior intensità possibile, ogni volta con parole e gestualità diverse.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Il coordinatore era presente a tutti gli incontri e a tutti gli eventi organizzati e aveva un rapporto diretto con tutti i tirocinanti. Egli cercava di farci sviluppare un pensiero critico e uno sguardo curioso verso la realtà carceraria. In quanto tirocinante dovevo mantenermi aggiornata sui diversi eventi organizzati dal gruppo e prendere appunti sui temi trattati e sulle eventuali organizzazioni degli eventi.

 

Conoscenze e abilità acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Tale esperienza mi ha portato ad acquisire conoscenze di diverso tipo.

Ho imparato a conoscere, seppur superficialmente, il mondo carcerario da un punto vista burocratico (richieste d’ingresso in carcere, richieste per fare uscire i detenuti), organizzativo (come si organizzano gli eventi che prevedono la partecipazione di persone detenute), ma soprattutto umano (il rapporto tra detenuti, detenuti-assistenti e detenuti-educatori).

Ho approfondito le dinamiche interne al gruppo, apprendendo concetti studiati precedentemente solo attraverso corsi universitari, e osservando come si possano sviluppare delle discussioni a partire da spunti filosofici, politici, sociali come dalle dinamiche quotidiane, apparentemente lontane dagli argomenti che verranno trattati.

Inoltre, ho esperito personalmente quanto l’ascolto e la condivisione possano essere difficili, ma anche come una coesistenza di essi possa portare a una crescita importante, capace di facilitare la comprensione dell’altro.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Grazie al tirocinio sono riuscita, parzialmente, a combattere qualche mia insicurezza e timidezza nel parlare di fronte agli estranei. Questa esperienza mi ha spinta a superare i miei limiti: ho dovuto parlare di fronte a un centinaio di studenti (in un momento inaspettato), sono stata mandata come “rappresentante” del gruppo in alcuni eventi. In questi casi, sono stata caricata di una responsabilità che mi ha aiutato ad avere fiducia nelle mie capacità espressive.

Ero una componente effettiva del gruppo, dovevo mettermi in gioco non solo come osservatrice, e ciò mi ha portato a sviluppare maggiori capacità nell’analizzare criticamente la realtà.

Il gruppo della trasgressione mi ha fatto riflettere molto su me stessa, su chi sono, chi voglio diventare. Il confronto con una realtà che vedevo come distante anni luce, mi ha portato a capire l’importanza di progettare il mio futuro e cominciare da subito a costruirne le basi.

 

Altre eventuali considerazioni personali

Più volte, al gruppo e nei momenti di incontro con gli studenti, si è parlato di progettualità. Si è detto che il progetto è ciò che ti porta a vivere con criterio e che ti guida nelle scelte. Per molti detenuti tale progetto non si è delineato o è stato cancellato e questo, insieme ad altri motivi contingenti, li ha portati a un disorientamento che li ha successivamente condotti alla reclusione.

Il disorientamento è ciò che, a parer mio, avvicina il mondo dei giovani di oggi e dei detenuti. Nella società odierna la maggior parte dei giovani non ha un progetto. Ciò potrebbe essere imputabile a una mancanza di prospettive o anche solo alla superficialità e al disinteressamento degli stessi.

Eppure, non tutti i ragazzi diventano dei delinquenti, non tutti commettono reati, non tutti si ritrovano a dover vivere reclusi. Perché? Chiunque può contribuire e dare la propria opinione per poter arrivare a delle conclusioni.

Questo è il genere di riflessioni che emergono al gruppo: riflessioni universali e che toccano ciascuno indistintamente, a prescindere dall’età, dalla nazionalità e dalla “residenza”.

L’esperienza al gruppo della trasgressione mi ha fatto toccare con mano una realtà che fino a poco tempo fa mi sembrava appartenere solo ai film d’azione e alle serie tv. Mi ha fatto comprendere come la detenzione possa essere utile se con essa è previsto un accompagnamento e se si è costretti a una riflessione quotidiana che porta a consapevolezza e responsabilità.
Grazie al tirocinio e alle riflessioni che ne sono emerse credo che le persone che commettono gravi errori possano affrontare il cambiamento solo se riescono a recuperare un legame con la società da cui hanno deviato. Per fare questo ci deve essere un accompagnamento da parte di quelle stesse istituzioni che il deviante ha tanto odiato nel suo passato.

La figura dello psicologo è centrale nel recupero del detenuto, ma senza la collaborazione delle istituzioni e della società stessa è difficile che il recupero sia completo.

Personalmente, credo che la riabilitazione del detenuto possa essere efficace, ma la società stessa deve essere rieducata a liberarsi dai pregiudizi che la legano a una visione ristretta e stigmatizzata della realtà carceraria. Il Gruppo della Trasgressione sta cercando di rivoluzionare il sistema, ma ha bisogno che la comunità impari a sostenere tali sforzi.

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Un fardello con cui lavorare

Un fardello con cui lavorare
Roberto Canavò

 
Mi sono sentito veramente colpevole
quando ho trovato chi mi ha fatto capire
che anche io ero stato vittima

Pasquetta 2019, Piazza del Duomo Milano,
Lidia Brischetto al clarinetto: Only you

Ognuno di noi possiede una sorgente di purezza dal valore inestimabile. Quando, per varie ragioni, tra cui l’ignoranza, l’insicurezza e la mancanza di una guida, non riesci ad attingervi, cadi nell’oscurità, poiché la mente ti inganna, lasciando terreno fertile alla profondità del male.

Nel mio caso, quando commettevo atti indegni e irreparabili, avvertivo prima, durante e dopo, quel campanellino d’allarme di cui è dotata la coscienza, ma nello stesso tempo, cercavo di attutirne il suono attraverso la pseudo gratificazione che mi trasmetteva il mio gruppo di appartenenza. Spesso, guardandomi allo specchio, non mi riconoscevo nell’immagine che vedevo, eppure ero io a commettere i reati che portavo a termine con la massima determinazione. Dopo avere a lungo riflettuto sul mio passato, credo semplicemente che, quando commettevo reati, non concedevo alla mia coscienza l’opportunità di consigliarmi.

Il mio arresto, che poi è stato il male minore, visto che altrimenti sarei stato ucciso, mi ha condotto, dopo un decennio di tentennamenti, ad ascoltare finalmente la mia coscienza, che altro non è che quella fonte di purezza insita in ognuno di noi. Dal profondo ho fatto emergere pian piano la mia vera identità, quella che oggi mi sta permettendo di trasformare l’uomo che ero (libero col corpo, ma prigioniero di mente) in un uomo diversamente libero; oggi posso dire di aver conquistato la libertà mentale, pur essendo prigioniero o, come è più corretto dire, detenuto.

Il mio cammino è stato favorito anche dalla Direzione dell’Istituto di Opera (MI), che mi ha dato l’opportunità di partecipare al Progetto Sicomoro, una esperienza forte basata su incontri settimanali tra parenti delle vittime di mafia e i loro carnefici. Durante gli incontri ho avuto più volte la sensazione di non essere all’altezza di quei confronti, di non essere stato attento quanto avrei dovuto con le vittime. Tuttavia, dopo il primo incontro, il più importante, il più emozionante, non conoscendo l’effetto di ciò che avrebbe sortito psicologicamente in ognuno di noi, vittime e carnefici, ho iniziato, pian piano, a prendere contatto con realtà che mai avrei pensato di poter capire o di vivere così positivamente. In quella realtà ho sentito il bisogno di esternare cose molto riservate che difficilmente avrei detto in un contesto diverso. Ho sentito e vissuto, attimo dopo attimo durante gli incontri, i dolori, le paure, la rabbia, la voglia di giustizia, ma soprattutto la necessità delle vittime di capire le ragioni e le “motivazioni” per le quali “gente” come me aveva potuto commettere fatti gravissimi come uccidere. Attraverso i loro racconti, le loro fragilità emotive, mi sono reso conto di quanto dolore ho provocato ai familiari, agli amici, ai passanti, all’intera società e a me stesso, e di quanta fragilità avevo io, nascosta da scelte scellerate, dominante dal delirio di onnipotenza.

Sì, sono colpevole d’avere sgretolato il vero senso della vita, sono altresì consapevole, una volta riemerso dalle macerie causate dalle mie nefandezze, che la mia vita ha ancora ragione di esistere e di essere messa al servizio di azioni giuste. Oggi, grazie alle possibilità che mi ha concesso l’Istituto di Opera, ho l’onore di andare nelle scuole dove porto la mia negativa esperienza di vita affinché i giovani comprendano il più possibile come si può giungere al punto dove sono arrivato io e i danni che ne derivano per tutti. Faccio questo nella consapevolezza che nessuno può cancellare il mio passato, un fardello che, insieme al mio gruppo, cerco di trasformare giorno per giorno in strumento utile alla prevenzione della devianza in generale.

Purtroppo le scelte che si fanno quando si è adolescenti sono figlie di altre scelte, il cui senso rimane difficile comprendere fino a quando non si instaura un rapporto d’ascolto con il nostro Io. Le scelte sono sempre dettate dagli stati d’animo e gli stati d’animo sono, senza che ce ne rendiamo conto, il terreno in cui si definisce la direzione della nostra vita. Una volta presa consapevolezza di ciò, si può superare quella piattaforma costruita da stati d’animo fragili per cominciare a costruirne una più solida, basata su scelte maturate attraverso lo scambio con gli altri e il contatto con noi stessi. Per questo credo oggi che l’ascolto, il dialogo, soprattutto tra genitori e figli, sono importantissimi, sono la base per un continuato d’identità e per una buona relazione con la società. Le giustificazioni, gli alibi, per andare contro le leggi e la morale, sono solo delle scorciatoie che arrecano dolore a se stessi e agli altri.

Queste cose mi sono state impresse nella mente da persone degne di valore e da veri rappresentanti della legalità. Oggi, con orgoglio, le faccio mie perché ne sono intimamente convinto. Contribuire alla rinascita e alla evoluzione di chi ha deviato è, dal mio punto di vista, un valore inestimabile. L’essere stato riconosciuto dalla società mi ha permesso di acquisire quell’autostima necessaria per mantenermi in equilibrio nei consensi e nei dissensi e per comunicare con gli altri.

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Campagna per Furgone a metano

Gentili Signore e Signori,

siamo un gruppo di detenuti ed ex detenuti degli Istituti di pena milanesi (Bollate, Opera e San Vittore), che mirano a portare in seno alla società – soprattutto ai giovani – la riflessione di chi in passato ha violato principi morali e legalità, inseguendo falsi ideali quali denaro e potere: scelte scellerate che hanno offeso drammaticamente la società civile e che ci hanno portato in carcere!

A tal fine, e in accordo con le istituzioni, portiamo il nostro messaggio nelle Scuole e nelle Università, dove raccontiamo ai giovani che si affacciano alla vita il nostro passato buio fatto di disvalori e di violenza affinché gli adolescenti possano evitare di cadere nella rete di quel degrado che un tempo noi stessi avevamo alimentato.

In questo cammino di rinascita interiore e di costruzione di un rapporto sano con la collettività, ci gioviamo degli strumenti del “Gruppo della Trasgressione” ideato e coordinato dal Dottor Angelo Aparo, psicologo e psicoterapeuta che da 40 anni opera nelle tre carceri milanesi. Il gruppo si avvale inoltre della collaborazione con professionisti, studenti universitari che fanno tirocinio con la nostra associazione e volontari che ci affiancano nelle varie attività intramurarie ed esterne.

Unitamente a quanto sopra descritto e poiché crediamo che il pieno recupero e la piena consapevolezza dell’uomo passino obbligatoriamente attraverso il lavoro, è stata fondata una cooperativa sociale che costituisce il “braccio operativo” del gruppo. Con la cooperativa Trasgressisone.net abbiamo una bancarella con la quale vendiamo frutta e verdura nei mercati milanesi e facciamo consegne a bar e ristoranti; ci occupiamo inoltre di traslochi, tinteggiature di appartamenti e negozi e di piccoli lavori di muratura. Questo è il lavoro con cui recuperiamo la dignità persa nei nostri anni di devianza.

In questo momento ci troviamo in grandi difficoltà poiché il nostro vecchio camioncino telonato, indispensabile per le nostre attività, non può più circolare a seguito delle restrizioni antinquinamento. Vi chiediamo perciò un aiuto, una donazione alla nostra Onlus (donazione deducibile ai fine fiscali) per poterci sostenere nell’acquisto di un nuovo mezzo conforme alle norme vigenti. Anche una donazione di modesta entità può concorrere al raggiungimento dell’obiettivo; sappiamo che di tante piccole gocce è composto l’oceano!

Un altro modo di sostenerci consiste nell’aiutarci a lavorare di più, allargando la rete dei clienti (ristoranti e bar) cui consegnamo frutta e verdura.

Se ne avrete piacere, concorderemo come evidenziare sul telone del nostro futuro furgone il logo della Vostra azienda. Sarebbe per noi motivo d’orgoglio avere la vostra partecipazione a qualcuno dei nostri eventi, sia all’interno che all’esterno del carcere, anche per farvi toccare con mano quanto sia importante il nostro progetto. Qualora decidiate di aiutarci o anche solo di sostenerci moralmente, potrete contattare le persone indicate di seguito per avere tutte le indicazioni necessarie:

  • Elisabetta Cipollone: relazioni con l’esterno – 370 3070 608 – elisabetta.cipollone@gmail.com;
  • Adriano Sannino: acquisti e consegne frutta e verdura – 389 121 9992 – adrianosannino72@gmail.com
  • Angelo Aparo, presidente cooperativa: 339 442 1542; aparo@trasgressione.net

Vi invitiamo anche a visionare i nostri siti (www.vocidalponte.it e www.trasgressione.net) dove troverete testi e immagini che permettono di toccare da vicino il nostro percorso e quello che facciamo. Sperando di ricevere un vostro riscontro e ringraziandovi per l’attenzione dedicataci, porgiamo cordiali saluti.

Cooperativa Sociale Trasgressione.net
IBAN: IT62G 05696 01600 0000 22933X74

Opera, detenuti in cerca di riscatto: fuori dal carcere c’è l’impresa
di Andrea Gianni, da Il Giorno

Il Gruppo della Trasgressione

di Jacopo Galasso e Angelo Aparo

L’Associazione Trasgressione.net, fondata più di vent’anni fa dal dottor Angelo Aparo, è formata da persone con alle spalle storie di vita diverse, ma accomunate da un unico obiettivo: studiare l’essere umano, con una attenzione particolare verso colui che, arrivando dal degrado, semina nel suo percorso altrettanto degrado, abuso e morte. Lo studio è rivolto anche al tempo che queste persone spendono all’interno del carcere e al come potranno impiegare questo tempo una volta che le porte della società si apriranno.

Questo obiettivo viene perseguito attraverso una sinergia tra psicologi, detenuti e studenti; ma anche familiari di vittime, giuristi, medici e comuni cittadini, i quali settimanalmente si riuniscono negli istituti penitenziari di Opera, Bollate e San Vittore.

Il lavoro svolto all’interno del Gruppo non va inteso nel senso del classico sostegno psicologico rivolto al detenuto ma come studio delle condizioni emotive e ambientali che spingono l’uomo alla voracità di potere e al successivo cambiamento. 

In merito al concetto di potere va ricordato il convegno del 21 novembre 2018 tenuto all’interno della Casa di Reclusione di Opera (Percorsi e derive del potere), dove il Gruppo ha potuto confrontarsi con personaggi illustri, quali Paolo Finzi (direttore della rivista anarchica “A”), Lella Costa, Dori Ghezzi, Amerigo Fusco e Roberto Cornelli (docente di criminologia dell’Università Milano Bicocca).  

Questo lavoro non resta isolato all’interno degli istituti di pena ma si diffonde e si concretizza anche all’esterno del carcere, dove i detenuti del Gruppo testimoniano il loro percorso, promuovono la legalità e la sensibilizzazione; prevengono le dipendenze e il bullismo; il tutto attraverso una serie di eventi con cornici diverse.

Il 26 novembre presso il Teatro De Sica di Peschiera Borromeo sono state interpretate dalla band del gruppo, la Trsg.band, diverse canzoni di Fabrizio De André. Le canzoni erano intervallate da considerazioni da parte di detenuti del carcere di Opera, ex detenuti e figure istituzionali su alcuni dei temi che uniscono il mondo di Fabrizio De André con quello del Gruppo della Trasgressione: l’abuso, il potere, il riconoscimento dell’Altro, il rapporto con l’autorità e le microscelte che portano l’individuo ad operare sul mondo ciò che si è seminato.

Un’altra serie di incontri che ha coinvolto il Gruppo prendono il nome de “Lo Strappo”, fra i più recenti quelli a Piacenza (29 gennaio) e a Novara (25 febbraio). Lo Strappo è un progetto nato dall’incontro di persone diverse ma complementari per le finalità e rivolto soprattutto alle scuole medie di secondo grado. Obiettivo principale è l’educazione alla complessità e alla cittadinanza, partendo da una domanda precisa: cosa succede a tutti i soggetti coinvolti quando viene commesso un reato? Le figure professionali che partecipano al progetto gravitano attorno al mondo della giustizia: magistrati, avvocati, giudici, psicologi, educatori, giornalisti, polizia penitenziaria, amministrazione carceraria. Tuttavia, le riflessioni più illuminanti sembrano venir fuori proprio dall’incontro paritetico dei protagonisti più coinvolti: i familiari di vittime e i rei, i quali dopo un lungo lavoro di conoscenza, introspezione, superamento del giudizio e del rancore, accettazione, apertura verso l’Altro e il suo dolore, recupero della coscienza esiliata e obnubilata, costruiscono una parentela, una prossimità. Un mutuo soccorso che può abbattere i muri più alti, quelli della mente.

Infine il Gruppo della Trasgressione tenta di consegnare i propri approfondimenti sulla legalità e la responsabilità agli adolescenti nelle scuole superiori: luoghi dove non sono rari atti di bullismo e dipendenze. Gli ultimi incontri di quest’anno, svolti presso l’Istituto Piamarta di Milano, sono stati decisamente proficui. Infatti hanno permesso ai detenuti del carcere di Opera di ascoltare e confrontarsi con gli studenti e di aiutarli a riflettere criticamente sulle loro fragilità, interne ed esterne all’ambiente scolastico.

Uno strumento importante di cui il gruppo si serve è il mito di Sisifo che, costruito anno dopo anno al tavolo del Gruppo della Trasgressione, consente ai detenuti di rappresentare, attraverso i dialoghi fra i vari personaggi, temi quali: l’arroganza, la seduzione, il rapporto difficle con l’autorità e quindi il rapporto genitori-figli; insomma i nodi problematici che vivono gli individui più a rischio.

Gli incontri in carcere e a scuola con i detenuti hanno consentito agli studenti di analizzare e comprendere meglio le storie dei detenuti del Gruppo e ogni singolo personaggio del mito, così da poterli riprodurre a loro volta. Infatti, la giornata conclusiva all’Istituto scolastico Piamarta, ha visto questa volta gli studenti nei panni dei personaggi del mito di Sisifo. 

In conclusione va anche evidenziato che l’Associazione viene affiancata dalla Cooperativa Trasgressione.net il cui obiettivo è il reinserimento socio-lavorativo del detenuto. Grazie al Lavoro esterno (art. 21), i detenuti hanno la possibilità di uscire dal carcere per svolgere attività lavorative oppure frequentare corsi di formazione professionale. Le difficoltà che queste persone incontrano durante o dopo avere scontato la pena non sono poche. Per questo motivo la Cooperativa le affianca permettendo loro di svolgere una serie di lavori, quali la consegna di frutta e verdura a bar, ristoranti e a gruppi di consumatori associati, bancarelle rionali con gli stessi prodotti (mercato di viale Papiniano, di Peschiera Borromeo), il restauro di beni artistici, lavori di manutenzione e di piccola ristrutturazione.

Progettare e lavorare con chi ha commesso reati giova al bene collettivo e alla conoscenza dei percorsi devianti più della pena che il condannato sconta in carcere. (A. Aparo)

Tornai a casa

Tornai a casa
Giovan Battista della Chiave

Tornai a casa,
trovai mio padre.
Il suo sguardo domandava,
io risposi che non era giornata,
di lasciarmi perdere,
ma insisteva,
mi diceva di fare qualcosa.
Io chiudevo la porta alle mie spalle,
non ascoltavo e non mi ascoltavo.
Giravo l’angolo e al primo pusher
comperavo la mia dose.
Lui era anche spiritoso e mi gridava:
la uno, la due o la tre?
Prendevo la prima e scappavo via.

Tornai a casa e
ad aspettarmi c’era mio padre,
mi guardava con la tristezza di un padre.
Il mio sguardo non riusciva a incrociare il suo,
mi allungò una carezza,
per un attimo mi scaldò il cuore
mi lavò la mente,
l’unica cosa che riuscii a chiedere
furono dieci euro.
Poi la fuga, il solito tran tran,
giravo per le vie, i locali,
ma niente, nessuna pace.
Volevo uscire,
scappare dal mio girovagare
non ho trovato la forza.

Tornai a casa
non trovai nessuno ad aspettare
il divano era vuoto e
sul tavolo un biglietto:
siamo in ospedale,
papà sta male.
Con calma mi sedetti al tavolo,
misi la mano nella tasca
e consumai l’ultima busta.
Poi mi recai in ospedale,
ma ormai era tardi
il pendolo aveva battuto la fine.

Tornai a casa e
non c’era più nessuno,
nessuno che mi potesse aspettare.

Cara Emanuela

Cara Emanuela,  sono trascorsi 36 anni, una vita,  da quella triste sera e quest’oggi vorrei rassicurarti, e con te Carlo Alberto, che i tuoi nipoti, quelli che a malapena hai carezzato e quelli che non hai mai conosciuto, hanno il tuo stesso sguardo limpido ed aperto verso il mondo, la tua stessa curiosità verso il diverso, libera della paura che in questi giorni attanaglia una parte del Paese. Essi hanno, quale più, quale meno, l’età che avevi quando ci hai lasciato, sono uomini e donne maturi, onestamente consapevoli, come lo eri tu, delle loro fortune e dei privilegi di cui godono, e capaci di riconoscere in ogni essere quel tratto di umanità che ci distingue tutti e che ti ha portato a restituire al prossimo meno fortunato parte della forza e dell’amore di cui godevi.

Come te essi sanno valorizzare il contributo che ognuno deve e può dare alla costruzione della società civile, ciascuno con la sua individualità, secondo le sue capacità, senza settarismi, superando con lo slancio generoso, di cui anche tu sei stata capace, i ristretti limiti degli interessi familiari, di clan, di campanile, aprendosi verso un orizzonte molto più ampio ed elevato di comunità e di Paese.

Essi coltivano la cultura del rispetto, cui sono stati educati, che nasce dal rispetto delle culture, ciascuna con la sua dignità, a dispetto delle naturali diversità, ed in ciò mi ricordano il tuo entusiastico abbraccio della natura e del mondo siciliano.

E, lasciami aggiungere, benché piuttosto silenziosi, poiché non usi a berciare e sopraffare, essi non sono soli, ma rappresentano una quota consistente della nostra travagliata gioventù.

Vorrei anche dirti quanto è stato duro, difficile e spesso doloroso combattere in silenzio e col silenzio i tentativi, anche se umanamente comprensibili, di stravolgere la tua semplice umanità per farne un modello fuori dall’ordinario, elegiaco, a rimarcare una distanza inesistente dal tuo prossimo, elevandoti a icona, perfetta ed irraggiungibile, laddove, viceversa, la tua naturale e disarmante bontà, la tua essenza generosa, erano più che sufficienti a qualificare la tua indole semplice e comune.

Siamo stati educati alla generosità, all’attenzione al prossimo, allo sguardo verso la diffusa sofferenza umana, e mi piacerebbe che anche tu sapessi quanto ho saputo e potuto fare per i miei pazienti, in Italia e all’estero, continuando, benché in modo diverso, i tuoi progetti di vita solidale.

E come non ricordare in questi giorni, in cui incultura ed incompetenza paiono eretti a valori, che nel ’68 hai nuotato contro corrente, contro le semplificazioni estreme del sapere, contro l’opportunismo dell’egualitarismo esasperato, anticamera del disimpegno individuale e dell’irresponsabilità, propugnando il valore dello studio e dell’impegno, della conoscenza e dell’apprendimento.

Vorrei rassicurarti che non ho mai smesso, neppure un giorno, di studiare, di approfondire, di sforzarmi di capire, di ricercare, di migliorarmi perché i beneficiari del mio agire medico e umano potessero e possano godere dei frutti del mio sapere, per poter restituire alla comunità, di cui godo i benefici, almeno una parte di quel che ne ottengo, nella piena consapevolezza del piacere e della gioia che me ne derivano nell’immediato. So di dirti cose che voi ben conoscete, che avete praticato, per cui vi siete consapevolmente sacrificati. Ma non di meno oggi desidero ricordarlo a tutti noi.

E voglio infine ricordarti che, come voi, non ho mai smesso di sognare, né di credere nella possibilità di cambiare la realtà a partire dall’impegno, dal sacrificio, dall’accoglienza e dall’amore.

Con l’affetto e la dolcezza di sempre ti stringo forte, Paolo.