Il romanzo dalle mille sfaccettature

Prima di condividere la mia testimonianza ho voluto aspettare il termine dell’ultimo incontro e ora, finalmente, penso di aver maturato un pensiero abbastanza completo e consapevole circa l’esperienza che stiamo svolgendo.

Conclusa una prima lettura del romanzo “I fratelli Karamazov” di Fëdor Dostoevskij, ho provato ad effettuare una seconda ri-lettura, ponendo uno “sguardo trasversale” tra i vari capitoli e ho notato che, paragrafo dopo paragrafo, l’autore indaga numerosissimi aspetti dell’animo umano: la complessità dei rapporti familiari, il contrastato rapporto con Dio, l’ascolto reciproco, i tradimenti, la sofferenza dei bambini, il perdono, la violenza – fisica e verbale- , la capacità di saper scegliere cosa è Bene e cosa è Male, l’attaccamento al denaro, le fragilità ed insicurezze dell’essere umano.

In particolare, mi hanno colpita i numerosissimi intrecci relazionali tra i vari personaggi, con le loro diversità, che contribuiscono a creare una storia dinamica ed appassionante.

Sicuramente, di importanza fondamentale per la narrazione è il rapporto tra il padre ed i quattro fratelli.

Il vecchio Fëdor si mostra da subito tanto superficiale nella gestione della vita privata quanto poco presente nella crescita dei suoi figli. Si pone in contrasto con il suo primogenito per questioni economiche e sentimentali (ha un grande debito da saldare ed entrambi sono innamorati della stessa donna dal fascino misterioso: l’usuraia Grušenka)

Dmitrij mostra in più occasioni una indole violenta e passionale. Cova dentro di sé un forte desiderio di riscatto e vendetta nei confronti del padre per le ingiustizie subite e per l’infanzia negata che, però, non sfoceranno in alcun gesto estremo. In lui batte un cuore buono, ma ancora disorientato ed impulsivo.

Il secondogenito Ivàn, al contrario, non condivide le scelte di vita del fratello e del padre e si dimostra una persona intelligente, colta e distaccata. In più occasioni affronta tematiche religiose, morali ed esistenziali, offrendo al lettore importanti spunti di riflessione.

Il terzogenito, Alëša, è il personaggio con cui è più facile entrare in sintonia: rappresenta la forma positiva dell’impetuosità karamazoviana ed è un importante punto di riferimento per gli altri personaggi: ragazzo devoto ed altruista, non volta mai le spalle a nessuno e la sua opinione, sincera e disinteressata, ha spesso un peso molto rilevante nelle scelte altrui.

Infine, abbiamo Smerdjakov, il quarto figlio, considerato come “illegittimo” e trattato alla stregua di un servo. La sua personalità presenta numerosi lati oscuri: instabilità, rancore e pensieri diabolici, che saranno la causa del suo tragico epilogo: l’omicidio del padre ed il suicidio.

Questo romanzo è sicuramente molto complesso ma altrettanto affascinante: nonostante risalga a più di cent’anni fa, rispecchia perfettamente la società odierna. È interessante notare come, all’interno di un nucleo familiare, le medesime origini dei componenti portino ad esiti molto diversi e quanto sia rilevante per la crescita di un figlio ricevere amore incondizionato ed attenzioni da parte dei propri genitori.

Un bambino ha il sacrosanto diritto di essere accudito con affetto, in un ambiente sereno e pacifico ma, qualora ciò non avvenga, da adulto dovrà trovare la forza di reagire e spezzare la catena negativa di soprusi e violenze a cui, suo malgrado, è stato sottoposto, per evitare di infliggere altro dolore.

Ascoltando le preziosissime testimonianze delle persone detenute, ci si rende conto di quanto ciò sia effettivamente reale: la maggior parte dei reati da loro commessi deriva proprio da un grandissimo vuoto affettivo e dal desiderio di gridare la loro esistenza.

All’interno del romanzo è dedicato ampio spazio anche alla tematica religiosa-esistenziale ed, in particolare, al travagliato rapporto Dio-Uomo: si alternano momenti di grande fede a momenti di totale negazione.

Il capitolo sicuramente più rappresentativo è “Il grande inquisitore”, da tutti considerato come il punto sommo dell’opera. Il racconto immaginario, narrato da Ivàn ad Alëša, è ambientato ai tempi dell’Inquisizione Spagnola e si svolge come una parabola il cui protagonista è Gesù in persona, che sceglie di ritornare sulla terra. Il Grande Inquisitore, rappresentante dell’autorità religiosa e politica, cattura Gesù appena arrivato a Siviglia e lo imprigiona. In un lungo monolgo, egli critica fortemente il messaggio di libertà e amore che Cristo vuole diffondere: è troppo complesso e la maggior parte delle persone vanno alla ricerca di sicurezza e controllo. La felicità terrena è sicuramente più realizzabile di quella eterna. Questo era il progetto dell’Inquisizione: portare una felicità che fosse a portata di tutti, poiché l’uomo non poteva ambire a nulla di più. Dostoevskij attraverso la voce del Grande Inquisitore esplora la complessità della natura umana, la nostra tendenza a cercare la sicurezza e l’ordine anche a costo della libertà.

Un altro episodio che merita una menzione è l’incontro al monastero tra i fratelli, il padre e lo Starec Zosima – la guida spirituale. Quest’ultimo tenta di convincerli a riconciliarsi, sostenendo che tutto il loro odio porterà soltanto ad altra violenza e che bisogna essere caritatevoli nei confronti del prossimo, proprio come insegna Dio.

Tra le sue frasi celebri, questa rappresenta al meglio la sua persona: “Ogni filo d’erba, ogni scarabeo, ogni formica, ogni piccola ape dorata conosce stupendamente il suo cammino e, pur non avendo l’intelligenza, testimonia il mistero divino, che si esprime in essi in ogni istante”.

Un terzo momento significativo e carico di tensione è il dialogo tra Ivàn ed il Diavolo. Ivàn era gravemente malato, con forti allucinazioni, e questo incontro avvenne proprio alla vigilia della febbre cerebrale con cui si presenta al processo del fratello. Il Diavolo viene immaginato come un signore dal bell’aspetto con capelli lunghi, brizzolati ed una folta barba.

Ivàn pronuncia frasi quali: “Sto delirando, non riuscirai a convincermi della tua esistenza. Tu non sei reale! Sei una malattia! Sei una menzogna!” E ancora: “Tu sei me, solo con un muso diverso. Dici esattamente quello che io penso”.

Ed il Diavolo risponde così: “E’ retrogrado credere in Dio ma io sono il Diavolo, in me si può credere. Quando inizi a non credere in me, inizi a credere che non sono un sogno. Io faccio soffrire, ma senza sofferenza nulla esisterebbe”.

Da questi spezzoni del dialogo si può facilmente intuire come vi sia una contrapposizione nella mente di Ivàn: da un lato la negazione, continuando a ripetere che il Diavolo sia solo una fantasia della sua mente malata, dall’altro lato la convinzione di non essere solo nella stanza, che culmina con il lancio di un bicchiere perché “Se non sei reale non ti posso colpire”.

In questi episodi notiamo come l’uomo cerchi di rinnegare l’esistenza di un’entità non terrena ma, allo stesso tempo, ne continua a parlare, come se l’idea della sua esistenza lo tranquillizzasse e, in un certo senso, ammettesse di averne bisogno.

Un ultimo momento, a mio avviso, significativo del romanzo è uno dei dialoghi conclusivi tra l’accusa e la difesa, all’interno dell’aula del tribunale, durante il processo a Dmitrij.

La prima afferma: “Se non lo condanniamo ne va a discapito di tutta la città..” La seconda afferma: “Se anche fosse colpevole, bisogna tenere in considerazione i motivi che lo hanno spinto a compiere tale gesto e tutte le difficoltà che ha dovuto affrontare nel corso della vita,…”

Nella seconda affermazione noto un grande senso di umanità: la considerazione della persona nella sua totalità, non soltanto limitatamente al gesto che potrebbe aver commesso.

Nella prima affermazione, invece, riscontro tanta superficialità, come se fosse più importante trovare un capro espiatorio da sacrificare piuttosto che ricercare la verità. Sicuramente, condannare Dmitrij sarebbe stata la strada più facile e che avrebbe accontentato un maggior numero di persone.

Purtroppo, questo atteggiamento è ancora presente oggigiorno, non all’interno delle aule di tribunale ma tra le strade della città: assisto, sempre più spesso, a giudizi cattivi ed affrettati nei confronti di terze persone, dettati magari soltanto dal differente status sociale o dalla differente etnia di appartenenza.

In conclusione, la lettura del romanzo e, in generale, l’esperienza all’interno del carcere, mi stanno arricchendo moltissimo, dal punto di vista personale e professionale.

Ciò che più mi stanno insegnando è che bisogna avere un punto di vista ampio sulle cose e, soprattutto, non bisogna mai essere indifferenti nella vita – davanti ad una richiesta di aiuto, ad una persona sola o di fronte ad una situazione di violenza.

Nel nostro piccolo, il contributo di ciascuno di noi può essere immenso.

Elena Forzani

I Conflitti della famiglia Karamazov

 

Il seminario sull’arroganza

Dagli incontri in carcere e in sede su “i percorsi dell’arroganza”
Appunti di Elena Tribulato

Il mese scorso è stato avviato al gruppo un seminario permanente sull’arroganza, le sue origini e il suo divenire. Tenteremo un approccio multidisciplinare, in cui arte, mito, letteratura, musica e cinema ci aiuteranno a individuare i diversi aspetti dell’arroganza, nelle diverse fasi della vita e nelle diverse circostanze e relazioni ove essa si manifesta in un modo o nell’altro. Dell’arroganza proveremo ad esplorare gli aspetti che riguardano il mondo interno del soggetto (gli stati d’animo, il dolore, le difese) e quelli che coinvolgono le vittime o i destinatari dell’atto arrogante.

Tra i capitoli centrali, ha un posto di primo piano lo studio dell’arroganza nell’adolescente e, in particolare, nella relazione dell’adolescente con le sue prime autorità di riferimento; è infatti proprio il senso di insofferenza verso un‘autorità percepita come ostile e respingente a costituire la base dell’atteggiamento arrogante dell’adolescente che, se non compreso e non orientato dall’adulto, potrà portare a una ribellione rancorosa, seguita spesso dal bisogno di appoggiarsi a una banda dove trovare conferma alla propria identità, e poi dai primi passi nella delinquenza.

Cercheremo di decifrare le condizioni utili per passare da una arroganza “indomita”, che finisce per divenire distruttiva ed autodistruttiva per gli altri e per se stessi a un’arroganza “addomesticata”. La prima è ciò che riempie le carceri e corrode la società. La seconda è il motore dei grandi risultati nello sport, delle grandi rivoluzioni umane, dalla ruota all’uomo sulla Luna. Tuttavia, la distinzione apparentemente immediata in teoria, risulta più che complessa nella pratica.

Il seminario sarà quindi occasione per riflettere sui personaggi più noti del mito (Icaro, Sisifo, Prometeo, Apollo e Marsia, Ulisse, ecc.), della letteratura (Faust, Frankenstein, Dorian Gray, dottor Jekyll e mister Hyde), su alcuni eventi storici che possono risultare controversi (colonialismo, Resistenza, terrorismo delle BR, ecc.), fino a giungere a delle riflessioni su di sé e sul propri vissuti.

Obiettivo esplicito del seminario è la prevenzione del bullismo e della tossicodipendenza nelle scuole, nonché la rieducazione dei detenuti e la prevenzione della recidiva. Ma non sarà meno importante l’obiettivo di giungere alla collaborazione tra persone e ruoli diversi.
Si confida che a trarre beneficio dall’iniziativa saranno sia gli studenti universitari del gruppo, i detenuti e gli ex detenuti che da anni fanno parte della squadra, i familiari delle vittime della criminalità sia gli studenti delle scuole dove portiamo la nostra esperienza e i giovani detenuti di San Vittore e del IPM Beccaria (destinatari che nelle nostre previsioni dovrebbero diventare essi stessi co-protagonisti della ricerca) .

I sentieri dell’arroganza

Dr. Jekyll e Mr. Hyde

Più che difetti gravi, furono dunque le mie aspirazioni eccessive a fare di me quello che sono stato, e a separare in me più radicalmente che negli altri, quelle due province del bene e del male che dividono e compongono la duplice natura dell’uomo… Per duplice che fossi, non sono mai stato quello che si dice un ipocrita. I due lati del mio carattere erano ugualmente affermati: quando mi abbandonavo senza ritegno ai miei piaceri vergognosi, ero altrettanto me stesso di quando, alla luce del giorno, mi affaticavo per il progresso della scienza e per il bene del prossimo… E’ stato dal lato morale, e sulla mia stessa persona, che io ho imparato a riconoscere la fondamentale e originaria dualità dell’uomo… Molto presto appresi a indugiare con piacere sul pensiero di una separazione delle due nature. Se queste, mi dicevo, potessero incarnarsi in due identità separate, la vita diventerebbe più sopportabile. L’ingiusto se ne andrebbe per la sua strada, libero dalle aspirazioni e dai rimorsi del suo più austero gemello; e il giusto potrebbe continuare sicuro e volenteroso sul retto cammino di cui si compiace, senza più doversi caricare di vergogne e di rimorsi per colpa del suo malvagio associato.

Queste le riflessioni su se stesso del dottor Jekill stimato professionista, benestante,  membro della buona società, e uomo di scienza.

Che tra gli uomini ci siano i buoni e i cattivi lo si sa dai tempi di Caino e Abele. Che un uomo buono possa però, in certi momenti, diventare totalmente cattivo, è un fenomeno noto e spiegato di volta in volta dalla possessione demoniaca, dall’alcool, dalla irruzione repentina della follia.

Ma il dottor Jekyll non beve, non è pazzo, non è posseduto dal demonio. È uno scienziato che, riconosciuta l’esistenza della sua dualità, infastidito dal disagio che ne consegue, desideroso di poter vivere appieno i suoi vergognosi piaceri, si lascia tentare da un “esperimento”  che asseconda la sua arroganza. L’esperimento ha successo ed egli si lascia ingolosire dal ripeterlo, ancora e ancora, dando libero sfogo ai suoi istinti più animali e brutali. L’esperimento messo in pratica grazie alle sue conoscenze e abilità sfugge al suo controllo. La sostanza miracolosa che lo liberava e di cui credeva di avere il controllo in realtà controlla lui e lo porterà alla morte.

Guardai il liquido che ribolliva e fumava nel bicchiere, aspettai che terminasse l’effervescenza, poi mi feci coraggio e bevvi. Subito dopo fui assalito da spasmi atroci: un senso di frantumazione delle ossa, una nausea mortale, e un orrore, una repulsione dello spirito. Ma presto queste torture cessarono, e riprendendo i sensi mi ritrovai come uscito da una grave malattia. C’era qualcosa di strano nelle mie sensazioni, qualcosa di indicibilmente nuovo e gradevole. Mi sentii più giovane, più leggero, più felice fisicamente, mentre nel morale ero conscio di altre trasformazioni: una caparbia temerarietà, una rapida e tumultuosa corrente di immagini sensuali, uno scioglimento dai freni dell’obbligo, un’ignota libertà dell’anima”

E ditemi che tutto questo non vi ricorda le testimonianze dei tossicodipendenti che cominciano a raccontare delle loro angosce e dei loro disagi, delle loro ansie e delle loro paure, dei carichi di lavoro divenuti intollerabili e affrontabili solo grazie alla sostanza. Tutto questo è straordinariamente simile. Sono simili gli effetti di leggerezza, di liberazione, è simile la sicurezza del “mi fermo quando voglio”. Ma sono tutte manifestazioni dell’arroganza che interessa individui molto diversi, che interessa anche gli scienziati, se pensano che i percorsi e gli obiettivi della scienza non debbano avere limiti.

Tutte le manifestazioni di onnipotenza sono dei deliri. Talvolta nemmeno gli scienziati ne sono immuni. E non ne sono immuni nemmeno alcuni personaggi della letteratura, cui gli scrittori attribuiscono un’arroganza volta ad analizzare le varie manifestazioni dello spirito umano.

Nuccia Pessina

I sentieri dell’arroganza

Fast car

“You got a fast car,
But is it fast enough so you can fly away
You gotta make a decision,
You leave tonight or live and die this way”

(Tracy Chapman, Fast car)

 

Il nostro viaggio nei conflitti della famiglia Karamazov al carcere di Bollate, a bordo della macchina condotta da Juri Aparo, si è concluso oggi con la pubblicazione – su Raiplay – dell’intera puntata di Caterpillar del 19 marzo.

illustrazione di Andrea Spinelli per Caterpillar, 19.3.2024

Una energia straordinaria e luminosa, una potenza di sguardi e suoni, parole e silenzi…. ascoltavo e guardavo con ammirazione e gratitudine, dalla mia sedia vicino a Marisa sul palco del teatro del carcere di Bollate, tutta questa bellezza che siamo stati in grado di generare insieme!

Nel 21° compleanno del nostro primo workshop in carcere con il Gruppo della Trasgressione, stasera – dopo aver riportato in cantina le valigie  – metto sul piatto del mio giradischi questa canzone che ho follemente amato, quando avevo 17 anni. Come spiega la stessa cantautrice, Fast Car è “la storia di una coppia che per costruirsi una vita insieme deve affrontare varie sfide, ma la relazione non funziona perché tutto pesa sulle spalle di uno dei due”.

Riascoltata – dopo tanti anni – nella notte dei Grammy il mese scorso, mi davvero tolto il fiato:

 

E ripensando ad alcuni tra i molti spunti emersi durante i nostri ultimi cinque incontri a Bollate, concordo pienamente con chi ha scritto che siamo in presenza di “una storia in musica dei diversi percorsi che la vita ci pone di fronte. Imboccarne uno piuttosto che un altro cambia irrimediabilmente l’esistenza, ma quell’auto che corre veloce continua a rimanere un simbolo di speranza”.

Buonanotte.

I Conflitti della famiglia Karamazov

Caterpillar Radio RAI2 19/03/24

Signori, presto ci separeremo. Per qualche tempo io sarò con i miei due fratelli, dei quali uno sarà deportato e l’altro giace malato, in pericolo di morte. Ma ben presto lascerò questa città e, forse, per molto tempo. Stringiamo un patto qui presso il macigno di IlJusa: che non ci dimenticheremo prima di tutto di Iljuseeka e poi l’uno dell’altro. E qualunque cosa ci accada in futuro nella vita, anche se non dovessimo incontrarci per i prossimi vent’anni, dobbiamo sempre continuare a ricordare il giorno in cui abbiamo sepolto il povero ragazzo, al quale in passato avevamo tirato i sassi presso il ponticello – ve lo ricordate?- e di come poi abbiamo tutti preso ad amarlo. E, per quanto possiamo essere impegnati in cose della massima importanza, per quanto possiamo avere ottenuto grandi onori o essere precipitati in qualche grande disgrazia, in nessun caso dobbiamo dimenticare di come siamo stati bene un tempo, qui tutti insieme, uniti da un sentimento così nobile e buono, che ha reso anche noi, per il periodo in cui abbiamo amato il povero ragazzo, migliori forse di quello che siamo in realtà.

Aleksej da I Fratelli Karamazov

I Conflitti della famiglia Karamazov

 

Sui Sentieri dell’arroganza

I SENTIERI DELL’ARROGANZA

  • Venerdì, 10 maggio, Fondazione Clerici, Viale Lombardia 210, Brugherio,  10:00-13:00
  • Venerdì, 17 maggio, Fondazione Clerici, Viale Lombardia 210, Brugherio,  10:00-13:00
  • Mercoledì, 29 maggio, Teatro del carcere di Opera 10:00-13:00

I Sentieri dell’arroganza

L’uomo nuovo

 

🎤 Massimo Popolizio legge “I fratelli Karamazov” [libro XI, cap. IV]

✏️ Andrea Spinelli ritrae Paolo Setti Carraro, Marisa Fiorani, Fabio Caltabiano e Giuseppe Di Matteo insieme a Fëdor Michajlovič Dostoevskij

Il nostro impegno in memoria delle vittime innocenti delle mafie, per ricucire gli strappi 🌹

Carcere di Bollate, 19.3.2024

Fratello, in questi due mesi, nel mio intimo, mi sono sentito un uomo nuovo, in me è risorto un uomo nuovo! Era rinchiuso dentro di me, ma non si sarebbe mai manifestato se non fosse stato per questo colpo. Terribile! E che importa se dovrò trascorrere nelle miniere vent’anni a spaccare i minerali con il martello, questo non mi fa affatto paura, ho paura di ben altro: ho paura che si allontani da me l’uomo risorto! Anche lì, nelle miniere, sotto terra, ci si può trovare al proprio fianco il cuore umano di un ergastolano, di un assassino e si può fare amicizia con lui, giacché anche lì si può vivere, amare e soffrire! Si può far rinascere e resuscitare in quell’ergastolano un cuore raggelato, si può curarlo per anni e portare dal buio alla luce un’anima sublime, una coscienza sofferente, si può dare la vita a un angelo, resuscitare un eroe! E ce ne sono molti, a centinaia, e noi siamo tutti colpevoli per loro! Altrimenti perché avrei sognato quella “creatura” proprio in quel momento? “Perché è povera quella creatura?” È stata una profezia per me in quel momento! È per quella “creatura” che sono pronto ad andare. Perché siamo tutti colpevoli per tutti gli altri. Per tutte le “creature”, perché ci sono i bambini piccoli e quelli adulti. Sono tutte “creature”. Ci andrò per tutti, poiché qualcuno ci dovrà pure andare. Non ho ucciso nostro padre, ma devo andare. Lo accetto! Ho pensato a tutto questo mentre mi trovavo… fra queste mura scalcinate. Quelli sono molti, sono centinaia là, sotto terra, con i martelli in mano. Oh, sì, staremo in catene e non ci sarà libertà, ma allora, nel nostro grande dolore, noi resusciteremo in quella gioia senza la quale l’uomo non può vivere né Dio esistere, giacché Dio dà gioia, è il suo grande privilegio… Signore, che l’uomo si sciolga nella preghiera! Come potrei vivere sotto terra senza Dio? Rakitin mente: se cacciassero Dio dalla terra, noi gli daremmo rifugio sotto terra. È impensabile che l’ergastolano viva senza Dio, persino più impensabile che per un uomo libero! E allora noi, uomini del sottosuolo, dalle viscere della terra innalzeremo un tragico inno a Dio, presso il quale è la gioia! Evviva Iddio e la sua gioia! Io lo amo!» A Mitja mancava quasi il fiato mentre pronunciava questo discorso sconclusionato. Era impallidito, le labbra gli tremavano e dagli occhi gli rotolavano lacrime sul viso.
«No, la vita è ricca, c’è vita persino sotto terra!», ricominciò. «Tu non ci crederai, Aleksej, a quanta voglia io abbia di vivere, quale brama di esistere e conoscere sia sorta in me proprio tra queste mura scalcinate! Rakitin questo non lo può capire, quello che gli preme è costruire un edificio e dare in affitto gli appartamenti, ma io aspettavo te. E che cos’è la sofferenza? Non la temo, anche se fosse sconfinata. Adesso non ho paura, prima sì. Sai, forse, al processo non risponderò nemmeno… E mi sembra di avere tanta di quella forza in questo momento da poter sconfiggere tutto, tutte le sofferenze, pur di poter dichiarare e dire a me stesso ogni istante: io sono! Fra mille tormenti: io sono! Al rogo: io sono! Me ne sto attaccato alla colonna, ma esisto, vedo il sole, e se non vedo il sole, so che c’è. E sapere che c’è il sole, è già tutta la vita. Alëša, mio cherubino, tutte queste filosofie mi ammazzano, che vadano al diavolo!

I Conflitti della famiglia Karamazov

Caterpillar 18/03/24

CATERPILLAR 18/03/24
Introduzione alla diretta del 19/03 dal Carcere di Bollate

Piero Dorfles propone una stringata sintesi dei Fratelli Karamazov nella puntata del 18/03/24 di Caterpillar

Con Massimo Cirri e Sara Zambotti
Regia di Francesca Dal Cero
A cura di Fabrizia Brunati

I Conflitti della famiglia Karamazov

Il terreno di coltura del parricidio

I Fratelli Karamazov è un romanzo che parla di scelta, di libertà, di Dio, di esigenza di un’autorità, facendo emergere questi temi dalle relazioni tra i quattro fratelli e dal rapporto dei fratelli con il padre, Fedor.

Fedor è un uomo egoista, che passa la vita a pensare a sé scialacquando il denaro e cercando in ogni modo di incrementare il proprio capitale. Dal suo matrimonio con Adelaida nasce Dmitrij, primo dei quattro fratelli. La donna, però, scappa abbandonando il figlio che, trascurato anche dal padre, viene cresciuto prima dal servo Grigorij e poi da un cugino della madre.

Fedor si risposa quindi con un’altra donna, Sofija: da questo matrimonio nascono Ivàn e Aleksej. La donna muore però precocemente e i bambini, ignorati dal padre e anche loro cresciuti dal servo Grigorij, si trasferiscono poi dalla vedova tutrice di Sofija.

L’ultimo dei fratelli Karamazov è Smerdjakov, tenuto in casa come un servo in quanto frutto di una relazione di una notte tra Fedor e una serva.

I quattro fratelli sono molto diversi l’uno dall’altro, ma tutti condividono l’odio e la disistima nei confronti del padre, nonché la sensazione più o meno apertamente espressa di sentirsi in credito con lui.

Il primogenito Dmitrij è quello che più assomiglia al padre: è aggressivo, vizioso, casinista, superficiale, spende molti soldi e si indebita. Tuttavia, è meno viscido e cattivo rispetto a Fedor, e alle volte si mostra persino generoso. Egli si sente fortemente in credito nei confronti del padre, ed è in aperto conflitto con lui in quanto sa che il padre ha utilizzato i soldi dell’eredità materna per degli investimenti di cui non lo ha reso partecipe. Ad acuire il conflitto tra padre e figlio è il fatto che si innamorano della stessa donna, Grusenka. La rabbia di Dmitrij si traduce in aperta violenza – verbale e fisica – nei confronti di Fedor.

Ivan, secondogenito, è un uomo colto, intellettuale, filosofo e contestatore. Anche Ivan odia il padre, ma in modo meno “fragoroso” ed apertamente violento rispetto al fratello maggiore: l’odio di Ivan diventa pensiero. Ivan si professa ateo, ma ha un evidente bisogno di fede; riflette molto su Dio e sul tema della libertà, confrontandosi con il fratello Aleksej. Il forte bisogno di riflettere su questi temi è strettamente legato all’esperienza d’essere stato abbandonato dal padre. In particolare, Ivan si interroga sul tema della libertà, mettendo in luce una grande contraddizione: da un lato, l’uomo proclama di volere la libertà; dall’altro, ha bisogno di una guida, che necessariamente limita tale libertà in cambio di protezione e assistenza. Ivan ha bisogno di Dio e dell’infinito, ma lo rifiuta, e questa contraddizione lo fa soffrire: sostiene che senza l’eternità non possa esistere l’amore, che è possibile solo se si ha una guida che permetta di riconoscersi nell’altro, e soffre in quanto lui non ha avuto tale guida che gli permetta di amare.

Aleksej è un giovane che decide di entrare in convento per diventare prete. Anche lui è stato abbandonato dal padre e ha vissuto gli stessi traumi dei suoi fratelli; tuttavia, tramite la religione e la fede è in grado di trasformare l’odio in una ragione per elevarsi e perdonare, per migliorarsi. Gli altri fratelli si confidano con lui, grazie al suo atteggiamento accogliente e tollerante. In monastero, Aleksej si lega fortemente allo starec Zosima, che diventa per lui la guida e il punto di riferimento che Fedor non è riuscito ad essere: Aleksej è il prodotto dell’assenza di suo padre, la quale lo porta a ricercare un punto di riferimento in qualcuno che non è lui, sottraendosi dai conflitti e svincolandosi dal peso dell’odio.

Smerdjiakov prova un forte senso di rancore nei confronti del padre e dei fratelli, in quanto non viene riconosciuto come figlio, si sente respinto. A differenza degli altri, non esterna mai il suo odio nei confronti del padre, ma lo accumula internamente.

All’inizio del romanzo Fedor, per cercare di risolvere il conflitto con Dmitrij, propone ad Aleksej di recarsi presso il monastero, davanti allo starec Zosima e alla presenza dei tre fratelli legittimi, per rimettere allo starec il giudizio sulla disputa, in un incontro chiarificatore. In questa occasione, però, esplode un forte scontro verbale tra Fedor e Dmitrij.

I conflitti sul denaro e per l’amata Grusenka continuano tra i due in modo aperto, con aggressioni e minacce da parte del figlio. Per questo motivo, quando Fedor viene trovato morto nella sua abitazione, la polizia arresta Dmitrij, accusandolo dell’omicidio. Ma a commettere l’omicidio è stato in realtà Smerdjacov.

L’ultima parte del romanzo si concentra sul processo a Dmitrij e sull’analisi psicologica dei personaggi, in particolare sul tormento interiore di Ivan che – parlando con Smerdjacov – si convince della propria responsabilità nell’accaduto.

Infatti, anche se non hanno materialmente commesso l’omicidio, Dmitrij e Ivan sono corresponsabili: Smerdjacov non è altro che la mano che uccide, ma viene influenzato dai due fratelli.

Dmitrij non ha commesso il delitto però lo ha pensato: vuole morto il padre e afferma esplicitamente l’intenzione di ucciderlo per avere il denaro, se necessario. Ivan, invece, influenza Smerdjacov, condividendo con lui la filosofia secondo cui in un mondo senza Dio “tutto è permesso” e lasciando intendere che non è contrario all’omicidio: Smerdjacov ammonisce Ivan, suggerendo di non partire perché teme che Dmitrij abbia intenzione di uccidere il padre quella notte, ma Ivan decide di partire lo stesso, facendo intendere un suo assenso per la morte di Fedor.

Dopo aver parlato con Smerdjacov, Ivan crolla, auto-accusandosi dell’omicidio, ma nel pieno di un delirio, quando confessa la propria responsabilità durante il processo, non viene creduto.

Dmitrij viene quindi condannato ai lavori forzati, ma comincia a maturare in sé un “uomo nuovo”, che può risorgere anche attraverso la punizione: accetta la condanna e si avvicina alla fede.

Smerdjacov, invece, si toglie la vita impiccandosi.

Durante la fase processuale, emerge l’intento di Dostoevskij di ricondurre la responsabilità di un evento non solo al singolo, ma al più ampio contesto, all’ambiente: come suggerito dal delirio di Ivan e dagli avvocati difensori di Dmitrij: il gesto finale è il risultato del terreno in cui viene coltivato.

Olivia Serio

I Conflitti della famiglia Karamazov