I violini del mare contro l’indifferenza

Il 21 marzo scorso, dal palco di piazza Duomo, don Luigi Ciotti, ricordando le vittime del naufragio di Cutro, ha lanciato anche un intenso messaggio contro l’indifferenza al male. Angelo Aparo e Silvio Di Gregorio hanno voluto rilanciare quel messaggio con un progetto che ha coinvolto rapidamente altri partner e che è stato presentato ad Opera il 13 giugno.

Partner del progetto sono:

  • Issei Watanabe con due suite di Bach al violoncello
  • Don Luigi Ciotti, presidente di Libera
  • Dori Ghezzi, presidente della Fondazione Fabrizio De André
  • Arnoldo Mosca Mondadori, presidente della Casa dello spirito e delle Arti
  • Enrico Allorto, maestro liutaio della liuteria del carcere di Opera
  • Lucilla Andreucci, referente e anima frizzante di Libera Milano
  • Francesco Cajani, co-autore de Lo Strappo. Quattro chiacchiere sul crimine
  • Cristina Cattaneo, Medico legale, Coordinatrice scientifica del MUSA
  • Paolo Setti Carraro e Marisa Fiorani, entrambi familiari di vittime della criminalità e ponti tra Libera e il Gruppo della Trasgressione
  • Juri Aparo con la Trsg.band e il Gruppo Trsg
  • Le canzoni di Fabrizio De André

Servizio RAI NEWS

E nulla perisce nell’immenso universo, credete a me, ma ogni cosa cambia e assume un aspetto nuovo (Ovidio, Metamorfosi)

La trasformazione è anche l’attività principe del Gruppo della Trasgressione, con i detenuti che avevano fatto del disconoscimento dell’altrui fragilità il proprio mestiere e che oggi, in collaborazione con le istituzioni e con i diversi componenti del gruppo, si impegnano per riconoscerla dentro di sé, nelle scuole e sul territorio.

Il teorema di Pitagora

Brera in Opera diventa docufilm
Studenti e detenuti a confronto

“Il Teorema di Pitagora – Esercizi su carcere e cittadinanza“
il progetto che ha già coinvolto 750 liceali. Insieme ai reclusi firmano anche una trilogia su errori, redenzione e perdono, tra poesie e arte.

di Simona Ballatore,
Da Il Giorno 10/05/2023

Storie di errori e violenza. Storie di redenzione e perdono. Studenti e detenuti si raccontano e guardano negli occhi al liceo artistico di Brera. Il progetto “Brera in Opera” è nato nel 2016: ogni anno coinvolge cinque classi, più di cento studenti, dai 15 ai 19 anni, insieme ai docenti e ai ragazzi dell’istituto Benini, che ha una sezione carceraria, all’istituto penitenziario di Opera e al Gruppo della Trasgressione, con al timone lo psicologo Juri Angelo Aparo.

Un progetto che si trasforma ora in un docufilm “Il Teorema di Pitagora – Esercizi su carcere e cittadinanza” e in tre libri, che verranno pubblicati entro la fine dell’anno. Il video è realizzato con immagini girate in gran parte dagli studenti e montate da Sheila Baldoni, ex alunna, con la supervisione dei prof Marco Capovilla e Giovanna Stanganello e il coordinamento del regista Sandro Baldoni. “Qui c’è chi si è sentito libero non quando era ’fuori’ e poteva fare tutto, ma quando ha trovato nel confronto con voi il senso della sua esistenza”: ha detto ai ragazzi il direttore del carcere di Opera, Silvio Di Gregorio, durante la presentazione. “Sia gli studenti che i detenuti hanno raccontato le loro esperienze, anche a livello grafico, hanno scritto brani e poesie – spiega la preside del liceo Brera, Emilia Ametrano –. Hanno raccolto le esperienze di chi, dopo un percorso psicoterapeutico, è riuscito a superare il lutto e il torto subìto. E di chi dopo trent’anni di carcere ha cambiato vita, sta creando una famiglia, ma non dimentica”.

Il progetto di scambio non si è fermato neppure in epoca Covid. “È stato organizzato anche un Cineforum online – ricorda Ametrano – detenuti e studenti si connettevano e partecipavano a un momento di critica sui film”. Da Rocco e i suoi fratelli a Ladri di biciclette. Per gli studenti sono state ore preziose: “Hanno affrontato un percorso sulla banalità del male, sul dare sempre la colpa agli altri, sull’idea di farsi giustizia e sul bullismo – continua la preside -, hanno riflettuto sul salto di qualità dell’adolescente attraverso la consapevolezza delle proprie azioni e le assunzioni di responsabilità: è educazione alla cittadinanza”. Ieri l’aula era stracolma, non si vedeva un cellulare tra le mani. “Mi ha colpito il religioso silenzio”, confessa la preside, mentre Adriano, ex camorrista, racconta che è entrato in carcere a 25 anni, è uscito a 51, una manciata di giorni fa: “Ora sto costruendo una famiglia, sono un papà, non vedo l’ora di cambiare pannolini, di ricevere la carezza di mia mamma, anche a 50 anni. Non pensavo esistessero certe emozioni. Il carcere può cambiare anche se non dimentico di essere stato un assassino”.

Incontri e prevenzione nelle scuole

Andare a rapinare era normale

«Per me andare a rapinare era normale, l’ho fatto per 30 anni», la storia di un detenuto raccontata agli studenti

di Giovanna Maria Fagnani – Dal Corriere della Sera 10/05/2023

Per sette anni, gli studenti del liceo Brera e gli alunni-detenuti del carcere di Opera hanno lavorato insieme al progetto «Brera in Opera»: «Confrontarmi con ragazzi delle superiori mi ha fatto crescere, non mi sento più escluso»

Il 41 bis, il «carcere duro» voluto da Falcone contro i mafiosi: come è cambiato e quali sono le limitazioni

Il carcere di Opera

«Per me andare a rapinare era normale. Io dicevo “vado a lavorare”, l’ho fatto per 30 anni. Una volta ho stretto forte il collo a una ragazza. E mi dicevo: sono diventato così perché a 8 anni ho subito un atto di bullismo. Mi hanno buttato giù dalle scale e ho passato tre mesi ospedale. La verità è che a un certo punto io ho messo da parte chi mi doveva aiutare a crescere, e ho dato potere alla mia rabbia. E quello che mi fa più male non è il fatto che mi hanno sparato e accoltellato. Non sono i 27 anni di galera, ma il fatto che in quella vita fin da piccolo ho perso la voglia di crescere. E ho perso 10 dei compleanni di mio figlio. Oggi sto vivendo un periodo tanto bello che mi sembra di sognare e ho paura di svegliarmi. Confrontarmi con studenti delle superiori mi ha fatto crescere, oggi non mi sento più escluso, oggi mi sento parte di questo mondo».

Il crimine e la devianza, la sfida, le ferite, la trasgressione, l’adolescenza. Il doloroso cammino che porta alla coscienza di sé e la giustizia riparativa. Per sette anni, gli studenti del liceo Brera e gli alunni-detenuti del carcere di Opera hanno lavorato insieme su questi e altri temi, grazie al progetto «Brera in Opera». Ne sono nate poesie e contributi, condensati in tre libri, nonché opere artistiche e nel docufilm «Il Teorema di Pitagora- Esercizi su carcere e cittadinanza», diretto dal regista Sandro Baldoni, presentato martedì nella sede del liceo in via Papa San Gregorio XIV. I ragazzi di seconda hanno partecipato, in particolare, a un progetto di espressione poetica. I maturandi hanno lavorato coi detenuti nell’ambito del Gruppo «Trasgressione.it», presieduto dallo psicologo Juri Angelo Aparo.

Un programma durato sette anni e che ha coinvolto quasi 700 studenti. A raccontare le tante emozioni condivise, martedì mattina, sono stati studenti, insegnanti, operatori e alcuni ex detenuti, come Antonio, ex rapinatore e Adriano, ex camorrista, libero da 20 giorni. «Sono entrato in carcere a 25 anni e sono uscito a 51. Ma, come ho detto ai ragazzi non è il carcere che ti chiude, è la mente. Oggi sono libero mentalmente, ho una famiglia, vado a casa e cambio il pannolino della mia bimba e voglio farlo io. E mi godo il fatto che mia madre, mi fa una carezza, ancora oggi, a 51 anni. Non pensavo esistessero certe emozioni. Fra tanto marciume che c’era in me, il dottor Aparo ha cercato cose positive e le ha fatte uscire».

Tanti gli ospiti, tra cui il direttore del Carcere di Opera Silvio Di Gregorio e Paolo Setti Carraro e poi il regista Sandro Baldoni, lo psicologo Juri Angelo Aparo. Il carcere di Opera permette ai detenuti di frequentare l’istituto tecnico commerciale o l’istituto professionale. «Spesso il fenomeno malavitoso è conseguenza di quell’idea dell’onnipotenza in cui è facile credere se non si ha una conoscenza completa della realtà, che invece una formazione culturale può offrire – ha sottolineato Claudio A. D’Antoni, dirigente dell’Iis Benini di Melegnano, a cui fanno capo le sezioni scolastiche di Opera -. Questo percorso insieme ai detenuti per gli studenti del liceo può essere non dico un deterrente, ma almeno una presa di visione realistica, che deve motivare ulteriormente al rispetto delle regole». «C’è una tenenza a banalizzare, a minimizzare il male, anche i primi accenni di comportamenti che vanno verso la delinquenza – aggiunge la preside di Brera, Emilia Ametrano -. Un giorno un genitore di uno studente mi disse: “non è mio figlio che spaccia, sono gli altri che glielo chiedono”. Ci vuole uno scatto di responsabilità da parte di tutti. Questo progetto, che sicuramente continuerà, ha avuto efficacia nel far incontrare mondi diversi, come scuola e carcere».

Incontri e prevenzione nelle scuole

Gli studenti e i carcerati a Opera il dialogo oltre i muri

di Sara Bernacchia,
da Repubblica 10/05/2023

«Siamo un gruppo che invita a trasgredire per costruire spazi più ampi in cui sentirsi a casa. Facciamo in modo che gli studenti crescano, che i detenuti diventino cittadini e che le vittime elaborino il loro dolore». Angelo Aparo, psicologo che da anni opera nelle carceri milanesi descrive così il Gruppo della Trasgressione (composto da detenuti, universitari e parenti delle vittime), che idealmente si allarga a una quarta componente: gli allievi del liceo artistico di Brera. Lo “sconfinamento” avviene grazie al progetto Brera in Opera, che dal 2015 ha visto circa 750 ragazzi dell’istituto confrontarsi con i detenuti del Gruppo e con gli studenti della sezione carceraria dell’istituto Benini a Opera.

Un progetto nato dall’idea di Pierluigi Cassinari, ormai ex docente del Brera, e della moglie Antonella De Luca, all’epoca responsabile del corso carcerario. L’obiettivo? «Dare attuazione concreta agli articoli 34 e 27 della Costituzione, ovvero ai principi di scuola aperta a tutti e di rieducazione dei condannati, con la consapevolezza dell’importanza del mettersi nei panni degli altri».

I benefici sono evidenti, per tutti. «Sono entrata in contatto con un mondo completamente diverso dal mio, credo sia utile farlo presto – racconta Beatrice Ajani, 17 anni, allieva di quarta -. È stimolante vedere persone che lavorano su se stesse e che riescono a maturare consapevolezza degli errori commessi». E Antonio Tango, che ha trascorso in carcere 27 anni, lo sa benissimo. «Ero un rapinatore e facevo uso di droga perché mi mancava qualcosa, sentivo un malessere che non sapevo definire». Poi, con il lavoro fatto in carcere, ha capito: «Mi mancava uno scopo. L’ho trovato anche stando con loro, sentendomi utile e sviluppando senso di responsabilità».

Il progetto è raccontato in tre libri e in un corto, realizzato con il regista Sandro Baldoni: “Il teorema di Pitagora”. Il titolo deriva dalla sfida di Tango (vinta, oggi è libero): quando si è avvicinato al Gruppo Aparo gli chiedeva di fermarsi a ragionare sulle cose di cui non comprendeva l’importanza, come il teorema, perché il passo decisivo è sforzarsi per apprendere e rispettare le regole.

I1 senso del progetto lo sottolineano la preside Emilia Ametrano e il direttore del carcere di Opera, Silvio di Gregorio: «La convivenza pacifica si fonda sul rispetto delle regole. Voi ragazzi sarete la classe dirigente. Dalla vostra attenzione a questi temi dipenderà il benessere del Paese di domani».

Brera in Opera prevede due filoni: il laboratorio di poesia e quello con il Gruppo Trasgressione. «Gli studenti del liceo e i detenuti hanno lavorato in parallelo su temi come la ferita e la cura, la sfida e la rabbia per poi confrontarsi in due incontri, uno a scuola e uno in carcere», spiega Giovanna Stanganello, che ha coordinato il progetto fino a settembre e ricorda con emozione gli incontri in Dad durante il lockdown: «Era come se vivessero una doppia esclusione: non potevano uscire, i detenuti non avevano visite e i ragazzi hanno visto emergere problematiche importanti».

È proprio durante un incontro sul tema “la ferita e la cura” che Angelica Maffi, 18 anni, ha voluto parlare di sé. «Per la prima volta ho parlato del mio problema con l’autolesionismo, che combatto ancora – racconta la ragazza, che appare anche nel corto -. Mi sono sentita incoraggiata e capita. Tanti mi hanno scritto dicendo che le mie parole li hanno aiutati». La chiave è sempre il confronto. Lo ribadisce anche Paolo Setti Carraro, fratello di Emanuela, uccisa con il marito, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: «In carcere la libertà si conquista uscendo dagli schemi che ti hanno portato a delinquere. È questo il passaggio determinante e per compierlo la contaminazione tra chi è dentro e chi è fuori è fondamentale». Lo testimonia l’esperienza di Adriano Sannino, libero da due settimane dopo 30 anni di reclusione per omicidio. «Moralmente non potrò mai pagare per quello che ho fatto – esordisce -. Confrontandomi con voi, però, ho potuto configurare i miei disvalori. Oggi sono libero fisicamente, mentalmente lo sono da quando ho conosciuto Aparo».

Incontri e prevenzione nelle scuole

La trasformazione vale più del perdono

Giustizia riparativa, Paolo Setti Carraro: “La trasformazione vale più del perdono”

Il fratello di Emanuela – uccisa dalla mafia nel 1982 insieme al marito, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa – racconta il viaggio interiore intrapreso dopo la morte della sorella, nella convinzione che un cambiamento, sia nei parenti delle vittime che nei carnefici, è sempre possibile

Incontri con le vittime

Conversando con Raskol’nikov

Domani, 30 novembre 2022, avremo nel carcere di Opera l’ultimo dei 5 incontri su Delitto e Castigo. Stanno partecipando all’iniziativa ex criminali, studenti, docenti, magistrati, persone ferite dalla criminalità organizzata.

Servizio di Maria Chiara Grandis

Nella giornata conclusiva di domani, Francesco Cajani e io porremo a noi stessi e a tutte le persone che hanno contribuito all’iniziativa le seguenti domande:

  • Quali erano gli obiettivi dell’iniziativa?
  • Cosa abbiamo messo in tasca in queste 5 giornate?
  • Che uso personale possiamo farne?
  • Se si ritiene che ne valga la pena, cosa, in quali ambiti e con quali modalità rilanciare il lavoro su  Delitto e Castigo?

Nel cammino della scienza, è buona norma dichiarare con quali domande si va dentro un laboratorio ed è ancora più importante rendere pubblici i risultati e le risposte che, a seguito della ricerca, si pensa di avere ottenuto.

Credo che lo studio della devianza e gli interventi per prevenirla e curarla debbano essere trattati come una scienza. Se considero la portata dei danni economici e affettivi che la criminalità causa nella nostra società, trovo più che ragionevole assumere nei confronti della materia l’atteggiamento che qualsiasi ricercatore ha nei confronti di ciò di cui si occupa: Materiali, Variabili, Procedure di una ricerca devono essere resi pubblici per permettere a chi non c’era di verificare, criticare, ottimizzare, proporre alternative; in sintesi, contribuire alla evoluzione della conoscenza del problema e dei mezzi per trattarlo.

Pertanto, cari studenti di giurisprudenza, cari componenti del gruppo della trasgressione e cari professori, a conclusione del nostro viaggio tra eletti e pidocchi (io ondeggio fra le due categorie da sempre e cerco ancora oggi la mia alternativa al delirio di Raskol’nikov), visto che siamo entrati tutti nel laboratorio, per favore, facciamo ciascuno il resoconto della nostra esperienza, come si addice alle persone che frequentano i laboratori.


Da LPT Studio

Delitto e Castigo

Verbale incontro con Zuffi

Carcere di Opera, mercoledì 26.10.2022
Verbale di Francesca Pozzi

Aparo, introduzione
Le persone possono esercitare un ruolo significativo nel contesto sociale anche dopo aver commesso diversi errori. Con “Caravaggio in città” Il nostro scopo è infatti:

  1. da una parte, formare una squadra che possa avere un ruolo utile e propulsivo all’interno della società e dell’istituzione;
  2. dall’altra, raggiungere i diversi destinatari dell’iniziativa, cioè i detenuti, gli adolescenti nelle scuole, i giovani in generale e le persone che svolgono un ruolo all’interno del mondo istituzionale (es. agenti penitenziari, insegnanti, netturbini…).

In questo stesso periodo portiamo avanti anche il progetto su “Delitto e castigo”. che ha due diversi obiettivi:

  • innanzitutto, attraverso il romanzo, esploreremo territori e sentieri lungo i quali un uomo può diventare un buon architetto o un assassino (a volte, l’uno e l’altro); questo perché, citando Terenzio, “tutto quello che fanno gli uomini mi riguarda”;
  • in secondo luogo, cercheremo di individuare le condizioni che servono affinché chi ha tradito se stesso e la società, possa sentirsi motivato a cercare dentro di sé le ragioni del tradimento, invece che scappare da sé e da chi lo insegue.

Stefano Zuffi prende la parola, presenta la vocazione di San Matteo di Caravaggio e lo contestualizza. Inizia il suo intervento riprendendo la citazione di Aparo e racconta di un netturbino che dopo avere ripulito una strada di Bologna, la guarda soddisfatto e col suo bel dialetto emiliano sentenzia: “che bella strada!”

Figura centrale dell’opera di Caravaggio è San Matteo, un autore dei vangeli canonici (gli altri sono di Marco, Luca e Giovanni). Gesù aveva iniziato a chiamare i futuri apostoli partendo dalla povera gente, da figli di pescatori come Andrea, Giovanni e Filippo. Dopo questi passa a un soggetto di rango più alto. Matteo era infatti un esattore delle tasse che lavorava per conto dei Romani e che svolgeva questo lavoro in modo un po’ disonesto poiché ricattava i soggetti coinvolti in affari. A un certo punto della sua vita, sente parlare di un uomo chiamato Gesù e decide di invitarlo a cena. Queste le premesse per la sua Chiamata.

Proviamo a contestualizzare… nel centro di Roma c’è la chiesa di “San Luigi dei Francesi”, questa era ed è tutt’oggi la chiesa della comunità francese a Roma ed è la chiesa che ospita i tre dipinti su San Matteo, commissionati a Caravaggio per la decorazione della cappella Contarelli. Fino a quel momento Caravaggio aveva dipinto solo quadri di piccole dimensioni per acquirenti privati.

Nonostante all’inizio i suoi lavori non fossero stati bene accetti dai committenti, alla fine Caravaggio riesce a realizzare un capolavoro. Peraltro, egli ha avuto un’esistenza travagliata, aveva sicuramente commesso un omicidio ed è morto in solitudine all’età di 39 anni.

Nella cappella Contarelli si possono osservare i tre dipinti in cui sono presenti i momenti fondamentali della vita di San Matteo:

  • a sinistra si trova “La vocazione di San Matteo”, cioè la chiamata, la svolta della sua vita;
  • Al centro, sull’altare “San Matteo e l’Angelo”;
  • A destra si trova “II Martirio di San Matteo”, che racconta la fine della vita del Santo, trafitto più volte da un sicario mentre celebrava la messa.

L’illuminazione di tali quadri, proveniente da un’unica finestra a mezza luna posta sopra l’altare, era insufficiente, tanto che i contemporanei di Caravaggio faticavano a riconoscere e distinguere i personaggi.

Ma perché alcuni quadri sono stati rifiutati?

Il primo tentativo di “San Matteo e l’Angelo” (la foto è antecedente al 1945, data in cui il dipinto è andato disperso a Berlino) non viene accettato perché chi aveva commissionato il dipinto aveva ritenuto che l’intervento dell’angelo sulla mano di Matteo fosse tale da far sembrare San Matteo un analfabeta. Altro elemento considerato scandaloso erano i piedi; questi infatti, una volta appeso il quadro dietro l’altare della cappella, sarebbero risultati troppo vicini alla faccia del prete mentre celebrava la messa.

Con la seconda versione di San Matteo e l’angelo, Caravaggio supera le resistenze dei committenti e oggi il dipinto è in posizione centrale nella cappella Contarelli.

Nella “Vocazione di San Matteo” tutti i personaggi sono di genere maschile. Il personaggio principale non è immediatamente individuabile, perché l’intenzione di Caravaggio era quella di coinvolgere attivamente chi osservava i suoi quadri.

Caravaggio non era capace di dipingere a memoria e per questo pagava delle persone al fine di posare per i suoi lavori. Oggi questa pratica è una normalità, ma all’epoca aveva comportato diverse critiche in quanto si riteneva che il vero pittore dovesse avere l’idea in mente e saperla realizzare.

Al tavolo sono seduti 5 uomini; non si gioca d’azzardo (come qualcuno ha immaginato), si tratta di un banco di lavoro dove vengono contati dei soldi.

I due soggetti in piedi nella parte destra del quadro sono Gesù e San Pietro. Gesù, del quale è appena visibile l’aureola, indica Matteo con la mano destra; la persona di spalle è San Pietro, che si interpone tra Cristo e chi osserva il dipinto e che ribadisce l’indicazione di Gesù. Matteo è l’uomo con la barba che, guardando verso Gesù, si auto-indica.

Il gesto e lo stile della mano di Gesù rimandano all’opera di Michelangelo “La creazione di Adamo” della Cappella Sistina, con una esplicita citazione del grande contemporaneo di Caravaggio.

Il terzo dipinto della cappella Contarelli è il martirio di San Matteo, decisamente movimentato.

San Matteo (a terra) è più anziano, ha infatti la barba grigia e sta celebrando la messa di Pasqua durante la quale venivano battezzati i nuovi fedeli. L’angelo allunga un ramoscello di palma, simbolo per i martiri; c’è inoltre un chierichetto che scappa urlando. I suoi occhi sono completamente neri! Un detenuto , negli incontri del 2008 a San Vittore, diceva che gli occhi “sono neri perché un bambino non deve vedere“, interpretazione plausibile, visto che Caravaggio aveva vissuto esperienze simili a quella del detenuto.

In questo quadro vi è l’autoritratto di Caravaggio che si immedesima nella scena. L’autoritratto richiama l’esigenza di collegare quanto accade dentro il quadro all’Hic et nunc dell’osservatore.

Nella vocazione, infatti, lo sgabello su cui è seduto il ragazzo che vediamo di spalle sembra sporgere fuori dal quadro e si tratta dello stesso sgabello su cui è seduto san Matteo nell’incontro con l’angelo.

Ludovica interviene proponendo una riflessione sull’ambiente in cui si svolge la scena della vocazione: ci fa notare che le fonti di luce e le persiane delle finestre possono far pensare a un posto all’aperto più che uno al chiuso.

Zuffi specifica che quelle persiane potrebbero essere da chiusura interna, ma in ogni caso ciò non è definibile con certezza poiché Caravaggio intenzionalmente rende gli spazi ambigui, neutri ma molto definiti per rendere più reale e il più vicino possibile all’osservatore ogni sua opera.

Ignazio si è proposto per interpretare personalmente il quadro. Dice di vedere la luce che illumina come se fosse una guida che ti aiuta a intraprendere la giusta strada e fa notare le persone impegnate a contare i soldi, che non si sono nemmeno rese conto della presenza di Gesù.

Paolo Setti Carraro riflette sulla gestualità della mano, molto delicata, non autoritaria bensì autorevole, come il gesto di una guida che invita e chiama al cambiamento.

Anita afferma che in questo quadro non c’è un protagonista bensì una relazione fra protagonisti

Aparo richiama prima lo scritto di Giuseppe Amendola, fatto dopo il primo incontro del progetto Caravaggio. Nel suo testo, Amendola interpretava la gestualità di Gesù verso Matteo come un segno accusatorio, qualcosa che egli dichiara d’aver subito diverse volte. Egli collega poi la sensazione espressa da Amendola allo scritto di Giovan Basttista Della Chiave, un componente del gruppo di Bollate: “una persona, posta di fronte alle proprie qualità, sente la responsabilità di doverle mettere in pratica e, per questo, a volte prova paura; a volte si negano le proprie qualità per paura delle responsabilità e degli impegni che esse comportano”.

Il prof richiama inoltre il bisogno presente in ogni uomo di collegare la propria esperienza del mondo finito, dove le cose cambiano e possono essere misurate, al mondo immutabile e senza misura, cioè l’infinito.
In relazione a questo, richiama l’Ulisse di Dante e la famosa terzina: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir vertute e canoscenza”. Semenza come il DNA? Come capacità, essenza, valore dell’essere umano?

Il prof Zuffi interviene a proposito di finito e infinito, affermando che i quadri di Caravaggio, nella sua epoca, erano ritenuti difficili da “digerire” e criticati proprio perché al loro interno coesistevano  riferimenti a realtà quanto mai distanti, pur se complementari: finito e infinito, uomo e divino, mortale ed eterno. Inoltre, nella pratica, Caravaggio sceglieva come modelli dei suoi quadri persone normali e per dipingere la “Madonna dei pellegrini” assunse come modella una prostituta che interpretò appunto la Madonna: l’umano nel divino. Altro esempio è nel quadro la “Morte della Vergine” in cui la modella ritratta era una prostituta morta affogata nel Tevere.

Interviene Pasquale Trubia, che afferma di riconoscere nello sguardo di San Matteo un po’ di paura e di gioia, la stessa che ha provato lui venerdì 21 ottobre 2022, giorno in cui, dopo 30 anni di detenzione, è uscito in permesso e ha rivisto sua moglie e suo figlio: “è stata una gioia dolorosa: rivederli è stata una gioia indescrivibile ma allo stesso tempo un dolore immenso perché non smettevano di piangere e quindi ho ripensato a tutto il male che ho fatto e causato alle altre famiglie”.

Zuffi riporta che anche Caravaggio ha vissuto esperienze simili, era stato un detenuto e ne è la prova il quadro la “Decollazione del Battista”, ambientata appunto in un carcere ed è l’unica interpretazione in cui viene fedelmente presentata la decapitazione. Questa viene ritratta in modo crudo, è visibile che la guardia incaricata ha preso un coltello e ha continuato a recidere il collo poiché non era riuscito in un solo colpo.

Lara Giovannelli: Nella terzina di Dante come anche nella Chiamata di San Matteo, avverto l’invito a riconoscere il valore dell’essere umano. Ogni essere umano ha valore. Non tutte le persone riescono a riconoscerselo e per questo affidano ad altri il compito di essere riconosciuti. La chiamata è un’opportunità che non a tutti viene offerta. Io non ho ricevuto la chiamata da parte di nessuno. Ma come me, anche altre persone non vengono riconosciute, chiamate e quindi non possono farsi forza della loro vocazione. Credo che i detenuti non abbiano avuto la chiamata da Gesù o meglio che siano stati convocati da una chiamata che proveniva dall’altra parte, dalla mafia, dal male, opposta alle “virtù e alla conoscenza”, insomma quella dei bruti. Oggi però i detenuti hanno la possibilità di esercitare la responsabilità, di assumere un ruolo, una funzione di utilità collettiva.

Intervento conclusivo di Paolo Setti Carraro
Un laico ritiene che ognuno di noi abbia un posto nel mondo e l’importante è capire quale sia, usando le proprie qualità e investendo su queste al fine di mantenere un’armonia generale. A tal proposito, Ulisse rifiuterà la possibilità dell’immortalità per compiere il suo destino di uomo. Io sono rimasto congelato nella mia situazione di vittima per molto tempo e il detenuto in carcere vive una situazione analoga, si blocca, si rifiuta di ammettere i propri sbagli, ha un rifiuto ad accettare ciò che ha vissuto. Credo che queste due condizioni, come molti altri eventi della vita, siano tra loro speculari ma vissuti attraverso situazioni diverse. In comune c’è che entrambe comportano immensa sofferenza.

Intervento finale di Francesco Sergi in risposta a Paolo
Vi ringrazio perché mi state aiutando a relazionarmi e a capire gli errori che ho fatto e a riconoscere i dolori che ho provocato, anche alla mia famiglia. Nei miei primi dieci anni mi riconoscevo come vittima, ora mi state aiutando a vedermi come il carnefice che sono stato.

Caravaggio in città

Materiali per Delitto e castigo

Abbiamo trovato 43 studenti/esse di giurisprudenza per dare forma – dentro le mura del carcere di Opera – ad una singolare ricerca sul delitto e le sue molteplici conseguenze, dialogando insieme a chi ne ha già commessi parecchi e chi ne ha subiti alcuni.

Dopo la nostra lettera di invito, sono giunte moltissime candidature anche grazie ad un articolo di Luigi Ferrarella pubblicato sul Corriere della Sera.

Siamo, allo stesso tempo, ugualmente soddisfatti per avere ricevuto il dono delle copie di Delitto e castigo necessarie al progetto e destinate alle persone detenute: merito della sensibilità di molti tra i quali gli amici di Caterpillar (RAI RADIO2).

 

Mercoledì 2 novembre abbiamo iniziato … ecco i materiali per seguire la nostra ricerca anche fuori dal carcere:

Il resoconto dell’incontro del Gruppo della Trasgressione con il Prof. Fausto Malcovati su Dostoevskij  (5.7.2005)

Le suggestioni visive tratte da una trasposizione televisiva RAI del romanzo di Dostoevskij in 5 puntate

Le versioni di Delitto e Castigo per i piccoli lettori [di Abraham B. Yehoshua e Osamu Tezuka]

INTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

PRIMO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

SECONDO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

TERZO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

QUARTO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

QUINTO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

E – per chi volesse comprendere qualcosa di più sulla complessità della nostra ricerca – ecco lo sguardo attento, discreto e rispettoso di Maria Chiara Grandis per il suo reportage televisivo  [tratto da Tg2 Storie, puntata del 27.11.2022]:

Delitto e Castigo (contribuiti dei partecipanti)

Agosto con Paolo

Buongiorno a tutto il Gruppo della Trasgressione, sono Francesco. Mi fa piacere condividere con voi quello che mi succede ogni volta che termina l’incontro.

Quando vado via da qui, sento la necessità di andare al passeggio, e mentre cammino e ascolto la musica, rifletto sui discorsi che fa il Dottor Aparo e su tutte le domande e riflessioni che vengono poste al gruppo.

Ultimamente mi ha colpito moltissimo il fatto che Paolo Setti Carraro è entrato a far parte del gruppo interno. Provo a capire il dolore che ha dovuto sopportare in tutti questi anni assieme ai suoi famigliari. Inoltre, mi rendo conto che non ci possano essere scuse né giustificazioni per quell’ignobile atto; in quanto la signora Setti Carraro è stata una vittima innocente ed era estranea al lavoro che svolgeva il marito. Da quello che ho letto, il lavoro che svolgeva il Generale Della Chiesa non lo stava eseguendo per un suo scopo o tornaconto, ma perché il governo gli aveva concesso poteri speciali per combattere il terrorismo. Visto che il Generale, con grandi meriti, ha portato a termine il progetto di smantellare le brigate rosse, lo stato lo ha mandato in Sicilia per combattere la mafia.

Da tempo mi domando cosa c’entrava la moglie del generale! E perché hanno usato tanta ferocia su una donna innocente? Da quando sono in carcere sento dire che i mafiosi usano e rispettano dei codici, ma in tale situazione non si sa come mai non hanno tenuto in considerazione il codice tanto sbandierato.

Io non sono stato uno stinco di santo, non ho mai fatto parte di organizzazioni criminali ma ero vicino a dei miei parenti e a un mio fratello che hanno fatto parte di un’organizzazione mafiosa. Oggi mi sento di chiedergli umilmente scusa per il dolore che gli hanno arrecato tutti i mafiosi ed in particolare il dolore che ho prodotto anche io.

Apprezzo tantissimo che dal mese di agosto Paolo è entrato nel gruppo della trasgressione interno. Paolo è una persona che, nonostante il dolore e la tragedia che ha subito, è riuscito trovare la forza di confrontarsi con persone che gli hanno provocato il dolore che si porta dietro. Io trovo Paolo di un’umanità disarmante, la sua umiltà e i suoi discorsi mi portano a riflettere e a vergognarmi di quello che ero.

Inoltre, condivido pienamente quando sostiene che il dolore che uno subisce non deve essere rimosso, ma bisogna farselo attraversare addosso. Secondo il mio punto di vista, una persona può migliorare e cambiare solo attraverso l’avvicinamento delle istituzioni.

Per quanto riguarda la partecipazione all’omicidio della sorella di Paolo, io credo purtroppo che, sia Pasquale che tutti i detenuti presenti al tavolo, se all’epoca dei fatti avessimo fatto parte di quell’organizzazione mafiosa, sicuramente avremmo dovuto partecipare alla strage, sia perché venivamo istigati, esaltati dai capi e dai compagni, sia perché quando si è giovani non si  è coscienti e tantomeno avevamo gli strumenti per capire e sentire il dolore che avremmo provocato ai famigliari della vittima. Quelle sofferenze, quei sentimenti lasciano dentro ai famigliari della vittima delle cicatrici, in quanto si vive con quel ricordo.

Da quando partecipo al gruppo mi sono resoconto che quello che sostiene il Dottor Aparo è tutto vero. Ognuno di noi ha perso la propria umanità da giovanissimo, poi strada facendo si mette a tacere la coscienza ancora di più, arrivando a compiere gesti terribili. Secondo il mio pensiero l’umanità che c’è in ognuno di noi può essere ritrovata se le istituzioni non abbandonano le persone a sé stesse, ma iniziano a trattarli come esseri umani e non come fascicoli viventi.

L’umanità che c’è in  ognuno di noi può essere stimolata e alimentata se le persone vengono incoraggiate a mettersi in gioco e a crescere culturalmente. Sostengo che il cambiamento avviene attraverso il confronto e i laboratori come il Gruppo della Trasgressione, dove le persone vengono stimolate a prendere consapevolezza del loro passato. Inoltre, il rapporto che si viene a creare con le persone che aderiscono al Gruppo è importante. Queste persone durante il percorso diventano figure di riferimento. Gli incontri e le relazioni portano i detenuti a una rivisitazione profonda del loro passato e attraverso tali riflessioni iniziano a liberarsi dalle gabbie mentali.

Questo sta succedendo a me perché Lei, Paolo e il resto del Gruppo mi mettete in condizioni di liberarmi dei pregiudizi e di quei meccanismi che si vengono a creare tra il detenuto e l’educatore o lo psicologo. Nell’incontro della settimana scorsa si è parlato di psicoterapia. Nel mio caso il Gruppo funge da terapia, in quanto mi sta aiutando sia a relazionarmi che a mettermi in gioco e a superare le mie condizioni psicofisiche che mi trascino da quando è avvenuto il distacco con mio fratello gemello.

Lei, con i suoi discorsi conditi da bestemmie, e tutto il gruppo mi stimolate a venir fuori in modo naturale e sincero, senza aver paura di mostrare le mie fragilità, paure, emozioni.

Concludo facendovi sapere che se ho prodotto questo scritto è stato grazie a tutto il Gruppo.

Milano – Opera, 11/10/2022
Francesco Sergi

Incontri con le vittime

Ergastolo ostativo

LUNEDÌ 26 Aprile 2021 ore 14.15
Confronto sull’ergastolo ostativo 


L’incontro è finito, la registrazione è su Facebook;
qui c’è il forum dove ciascuno può intervenire;
e qui l’indice dei testi e dei vari contributi sul tema


Hanno preso parte all’incontro: Valentina Alberta Avvocato; Alex Galizzi, vicepresidente commissione antimafia Lombardia; Giovanni Fiandaca, Giurista, docente di diritto penale, Garante dei diritti dei detenuti per la Sicilia; Paolo Setti Carraro, chirurgo umanitario Emergency e MSF;  Corrado Limentani, Avvocato; Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti; Carla Chiappini, Ristretti Orizzonti Carcere di Parma; Elisabetta Cipollone, familiare di vittima e mediatrice penale; il Gruppo della Trasgressione, fra cui ex detenuti con esperienza diretta dell’ergastolo ostativo.

📍 Nell’ergastolo ostativo, una collaborazione con le autorità mirata a individuare altri nemici dello Stato ancora in opera, a meno che essa non venga ritenuta “inesigibile”, viene considerata l’unica dimostrazione possibile della evoluzione e del ravvedimento del condannato.

Questo è in contrasto con quanto indica la nostra costituzione sulla funzione della pena, che… deve tendere alla rieducazione del condannato e al suo reinserimento nella società.

Alcuni ritengono che l’eliminazione dell’ergastolo ostativo possa rendere la nostra collettività più fragile di fronte alla pervasività della criminalità organizzata; altri suggeriscono che la migliore protezione del bene comune sia costituita dall’investimento sui mezzi per nutrire la coscienza morale e civica del condannato.

Essendo stato appena dichiarato incostituzionale l’ergastolo ostativo, cosa possiamo fare per difendere al meglio la nostra libertà da chi viene condannato all’ergastolo per i gravi crimini commessi in associazione?

👉 Dalle 14:15  confronto aperto sull’argomento su Zoom
👉 Diretta streaming su facebook

Cos’è l’ergastolo ostativo?

Torna all’indice della sezione